giovedì 31 gennaio 2013

I due uomini


L'uomo parlava ma l'altro uomo non lo ascoltava più, conosceva troppo bene quelle parole vane. Appartamento luminoso, infissi nuovi, ben riscaldato, parquet.
Lasciamo che parli.
Marco aveva già deciso, Marco era un nomade, aveva vissuto in decine di case diverse, sapeva come sceglierne una.
Quest'appartamento di periferia lo aveva chiamato e lui rispondeva, non poteva fare altro.
L'uomo attendeva una risposta, spiacente ripassi più tardi, Marco non è più lì con lei.
Gli agenti immobiliari sono vestiti tutti uguali, sembra che abbiano tutti la stessa vita. Che fandonia è questa, di sicuro che no. Ne era sicuro, tuttavia mai ne aveva avuto uno per amico.
Marco non aveva amici, o meglio, ne aveva avuti tanti, amici che passavano come le città in cui aveva vissuto. 
Anche le case erano state molte, ma lì è diverso, le case erano amanti, ognuna con la sua anima. Tutte lo avevano sedotto, conquistato, amato e poi lasciato. Era successo sempre così.
Marco, con grandi passi nel silenzio, percorre le stanze, solo la suola delle sue scarpe sembra avere qualcosa da dire.
L'altro attende, ha detto quello che poteva, adesso il suo stipendio è nelle mani di un uomo che non lo ha ascoltato. Marco.
Marco passa la mano sopra il divano in ecopelle, guarda le stampe alle pareti, il robusto mobile all'ingresso, ma nulla lo interessa. È stato altro. Quell'odore di umido, ma di buono insieme, questo è l'odore che vorrò sentire scendendo in cantina.
È bastato questo, Marco si è innamorato. E voi non lo capirete mai.

Centri anti violenza

Centri anti violenza

mercoledì 30 gennaio 2013

Quella mail


Ricordo tutto come fosse ieri. Stavo lavorando ed ero in assetto pomeridiano; per chi ancora non lo sapesse il mio assetto pomeridiano è il seguente, divano, portatile aperto, sette otto penne, bottiglia d'acqua, quattro o cinque blocchetti di appunti. E per terra un tè e un caffè, che mi aspettavano entrambi. Non so decidere a priori quale mi andrà prima, tanto li bevo freddi.
Mi squillò il telefono ed era lui.
Stavo lavorando bene, ed ero anche scocciata dall'interruzione, tuttavia risposi. Parlammo del più e del meno, avevo posato la penna, e scorrevo stancamente le ultime notizie dei siti d'informazione, che seguo più regolarmente. 
Niente di interessante era uscito di nuovo.
Aprii allora la posta e digrignai. Forse lui mi sentì anche. In quelle poche ore, un numero troppo alto di mail era venuto a turbare la mia serenità; cominciai a scorrerle con noia calcolata, alcune le cancellai a priori, ad altre diedi prima una veloce occhiata, altre ancora le misi da parte per leggerle poi, con maggiore calma.
Poi vidi quella. E non esisteva più niente. 
Finalmente, da mesi l'attendevo. Adesso dovevo solo leggerla. Avrebbe potuto cambiare la mia vita, non era facile.
Aprila, disse lui e il computer sembrava aver iniziato a navigare assai lento.
Attendo un tuo scoppio di ira, disse poi, pensando il peggio.
Ma non ci fu, era quella, la bella notizia che aspettavamo.

Capolavoro a chi?

Capolavoro a chi?

martedì 29 gennaio 2013

La Pasionaria

La Pasionaria

La biblioteca

L'uomo chino, al centro della stanza.
Sedeva come tutti, ma la sua postura appariva diversa. Concentrato su quel libro, un'altra pila al fianco.
La biblioteca era piena, piena di persone che, come lui, chine studiavano intente, nei propri libri sprofondati. La biblioteca era piena di silenzio, il silenzio denso che si può anche toccare. La biblioteca era piena di odori, odori di chiuso e di respiri incrociati.
Molti erano studenti, con i loro jeans strappati e le loro magliette colorate; mentre l'uomo sudava nella sua camicia a righe.
Continuava a cercare, a leggere, nessuno guardava, sfogliava le pagine e, con rabbia, il suo labbro mordeva. Una ruga di preoccupazione segnava il suo volto, nessuno di lui si curava.
La ragazza al suo fianco mordicchiava una matita, il giovane dietro di lui su un saggio di filosofia sbadigliava.
Lui irremovibile, leggeva e leggeva, cercava.
La porta che si apre, la porta che si chiude, passi leggeri condotti sottovoce, il sole che va giù, il rche si alza. Poi la trovò, tra tante altre, simile era quella la frase che voleva.
Provò molte cose,allora, ma fra esse mancava la soddisfazione.

lunedì 28 gennaio 2013

Lasciare la città


Doveva cambiare città molto spesso per lavoro, ma non così spesso da non riuscire ad affezionarsi. 
Per lui cambiare città era bello, ma era anche strano, era strano lasciare quella vecchia, una sorta di lungo addio che dura mesi e mesi, mesi dal gusto agro di un frutto acerbo.
Il problema non stava nella città in sé, le città si assomigliano tutte, in fondo. Il problema era il bar lungo la via, il supermercato all'angolo, la strana cadenza delle persone del posto, l'acidità costante della vicina di casa, il profumo particolare delle giornate di festa.
Il problema erano le piccole cose che la rendevano viva, gli si attaccavano dentro e gli chiedevano di rimanere. Ogni giorno era quel lungo addio, che si ripeteva fino a che non giungeva il momento di partire, ed allora era come se da quelle cose non si fosse staccato mai.

domenica 27 gennaio 2013

La MIA giornata della memoria

la MIA giornata della memoria

Identità Golose 2013

Identità Golose 2013

il tramonto


Il tramonto, cos'è il tramonto?
Uomini che finiscono di lavorare e finalmente possono tornare a casa, ragazzi che lasciano il campetto e gli amici con le scarpe fangose, almeno fino all'indomani, pentole che sobbollono sui fornelli, in attesa della cena, negozi che chiudono i battenti contando l'incasso giornaliero, cani che scodinzolano all'ora della passeggiata tanto attesa, palestre che si riempiono, dopo il vuoto del pomeriggio, traffico impetuoso che invade la città, un paesaggio da ammirare stupiti, abbracciati a qualcuno, turisti che fanno colazione, in procinto di cominciare la giornata, anziani che vanno a dormire, dopo la loro parca cena, televisioni che si accendono, togliendo spazio alle parole.
Per Maria il tramonto era questo, era sempre stato questo, niente di più, niente di diverso, niente di particolare.
Quella sera no, quella sera cambiò tutto.
Una gialla luce invase la stanza, una luce irreale di giorno che se ne va. Le prese un gran freddo, insieme alla luce, e si costrinse ad alzarsi da lì.
Nel vecchio armadio delle coperte ne prese una, cercando di non far cadere tutto. Era bassa Maria, non arrivava in cima alla pila. Le rimase in mano un vecchio plaid blu, le altre restarono per magia al loro posto.
Con il plaid volò via una fotografia, era la foto del suo errore. La colpì violenta, come una lama.
Quello fu il tramonto in cui Maria cambiò strada.

SPECIALE ELEZIONI 2013

SPECIALE ELEZIONI 2013

giovedì 24 gennaio 2013

NCP Roma nuda

NCP roma nuda

La telefonata


Trillò il telefono e lei non si mosse. Era un vecchio telefono, di quelli neri, pesanti, arrogantemente appoggiato sulla scrivania, con la sua solidità.
Trillò ancora, lei appoggiò la penna e sollevò la cornetta. Attese un attivo, sentiva il respiro dall'altra parte del filo.
Pronto, disse piano.
La voce che le rispose non era quella che si era aspettata. Una manica del maglione le scivolò fino al gomito.
Sì, mi dica.
Iniziò a sfogliare la sua agenda, trovò quello che cercava e lo lesse attentamente.
Ascoltava senza replicare.
Mi dia un secondo.
Disse infine.
Sfogliò di nuovo l'agenda, con una calma furiosa che non le apparteneva. Si può fare.
Iniziò a scrivere, quello che la voce le diceva con una grafia precisa, tonda e veloce, al centro della pagina.
Guardate, è un indirizzo e un numero di telefono. Nessun nome, nessuna nota.
Se non deve dirmi altro, arrivederci.
Ma non c'era astio, in queste parole fredde.
Mise giù la cornetta, sospirando. Sistemò la manica del maglione, e riprese la sua occupazione.
Come se niente fosse.

Pagine e Pennelli

Pagine e Pennelli

mercoledì 23 gennaio 2013

Il nuotatore

Nuota, e niente esiste oltre.
Lui, le leggere onde che lo cullano e il sapore salato sulle labbra.
Il sole non lo disturba, scalda lieve la sua schiena, rinfrescata dalle chiare acque. Qualche pesce sul fondale, placido, nuota.
I movimenti sono una lenta danza, una melodia che si ripete, eleganza del muscolo che da la spinta.
Non fa fatica, non sente nulla, l'uomo è beato. Nuota soltanto.
Pensieri lo accompagnano, ma sono lontani, immagini sbiadite, in fondo alla mente, una storia che narra fatti lontani.
È morbido il mare, quasi un abbraccio, un affetto impersonale che a nessuno si nega.
Attutito il mondo, più lontano di sempre, inerme verso l'uomo, che nuota beato. Come invincibile, prende il largo, ancora un po'.
Nuota, basta poco, e nuotando è felice. Bagnato si sdraierà poi sulla sabbia, cotta dal sole, sentirà la pelle tirare di quel sale che ora assorbe, ma a tornare, ancora non pensa.
Nuoterò ancora, nessuno ha il potere di fermarlo ora. È il padrone di tutti, è il padrone di sé.

Il rifiuto cattolico

il rifiuto cattolico

martedì 22 gennaio 2013

Un aiuto per i randagi | noelife.it

Un aiuto per i randagi | noelife.it

StopAvorio, la petizione del Wwf | noelife.it

StopAvorio, la petizione del Wwf | noelife.it

Gli studenti che insegnarono al prof

gli studenti che insegnarono al prof

Il filo


Un passo dietro l'altro, in equilibrio sopra un filo, fiato trattenuto che senti anche tu. Concentrato su quel filo, non devi sbagliare, ne va del tuo corpo, ne va della tua vita.
Come ogni sera.
Alla fine l'applauso, intenso e scrosciante. Inebria i sensi ma è sempre lo stesso.
Inchini e sorrisi, l'applauso continua. È facile applaudire, quando non si sa la preparazione.
Applaudono un minuto, una vita sopra un filo non riescono a immaginarla. Ora sono felici.
Qual filo non è uno spettacolo, è una vita intera, ore e ore, prove e pericoli. Non lo vogliono sapere, di scordarlo fingono, non guardano dietro una misera esistenza.
Baci distribuire devi, e dietro le quinte sparisci di nuovo.
Levi il trucco con calma precisa poi a letto ti rifugi. Aspettare la fine, dello spettacolo tutto, senso non ha. Alla fine gli applausi non saranno per te.
È meglio che dormi, domani con l'alba su quel filo sarai. Si dice "prova" ma è la tua vita. 
Un'esistenza divisa tra squallore e realtà.

Maria Gaetana Agnesi

http://www.senzabarcode.it/2013/01/22/maria-gaetana-agnasi/

lunedì 21 gennaio 2013

Compagno di viaggio


Michele uscì da casa, era la stessa ora di tutti i giorni, indossava la stessa triste tenuta da lavoro, una tuta blu macchiata di vernice, come ogni giorno si diresse alla stazione.
L'aria era ancora buia e un poco frizzante, fumò una sigaretta di passi lenti, nel breve tragitto che lo conduceva al treno. Si sedette al solito posto, di fianco al finestrino. Di fronte c'era un uomo, molto elegante.
Qualcosa in quel viso gli era familiare, lo guardò a lungo prima di capire. L'altre sembrava non accorgersene neppure, assorto in chissà quali importanti pensieri. Poi capì, si conoscevano, molti anni prima, una vita fa, oserei dire; lo riconobbe ma non lo salutò.
Erano ragazzi e abitavano vicini, nel paese lontano della loro infanzia. Michele spesso vittima e lui -Mauro? Marco? Bho!- carnefice continuo. Quanto male aveva desiderato ai tempi a lui. Michele se ne ricordava bene, come ricordava bene le botte e i lazzi che questi gli tirava.
Adesso Michele è un povero operaio, lui sembrava aver fatto strada. Non capendo il motivo, era felice per lui, nessun rancore, nessuna invidia.
Ciò nonostante non lo salutò.

domenica 20 gennaio 2013

I quadri


In salotto avevo due quadri, vicino stavano appesi.
In uno un lago, e mai ho capito se era alba o tramonto. L'ambiente era scuro e una luce illuminava le acque. Frastagliata la costa, sassosa la costa, brulla la costa intravedevi in primo piano.
In lontananza un bosco rifletteva le sue cime sulle calde acque; una barchetta di legno, incagliata tra gli scogli, un remo dimenticato, il silenzio dell'immoto.
Nell'altro un pianeta dai colori troppo accesi; luce satelliti e stelle a fargli compagnia, anche loro con i colori assai sgargianti.
Nessuno dei due mi piaceva. Una sera mio marito era tornato, e li aveva con sé. Li appese senza dire nulla, ancora non so come se li era procurati. Non l'ho mai chiesto.
Il terremoto di ieri, ero fuori, lungo la via. Sono tornata, ed era in ordine la casa, i vetri di quei quadri sparsi per terra.
In quel momento ho capito che mi sarebbero mancati.

Se son belle è meglio

Se son belle è meglio

Peperoncino

Peperoncino

giovedì 17 gennaio 2013

Quando l'inquinamento si fa serio

http://www.senzabarcode.it/2013/01/18/quando-linquinamento-si-fa-serio/

Festeggiare


Quella sera dovevamo festeggiare, non l'avevamo deciso, era implicito. Passo a prenderti alle nove, le dissi soltanto.
Alle nove ero già là, e lei per una volta non mi fece attendere, scese le scale di corsa, era bellissima, nel vestito nero e con i tachi alti. Si era truccata poco, proprio come piace a me, ma profumava intensamente, fiore di bosco o qualcosa di simile.
Mi buttò le braccia al collo.
Festeggiamo?
Certo.
Dove mi porti?
È una sorpresa.
Inizia a guidare per fuori città, le strade ancora piene del rientro serale.
L'eccitazione le si leggeva in volto, trattenerla era impossibile. Mi parlò della sua amica, del vestito nuovo e di quello che avevo visto in vetrina, del gatto del vicino, dei film al cinema e di quelli in TV e di tutte quelle altre cose di cui parlano le donne se lasciate senza freno.
Quella sera non la bloccai, ma l'ascoltai anche abbastanza interessato.
Mi chiamò il mio capo e lei non sbuffò. Attese paziente giocherellando con gli orecchini luminosi. Approfittando del suo buonumore le parlai della partita a calcetto con gli amici, della cena di lavoro, del figlio di mio cugino. Per una volta almeno, mi stette a sentire.
Presi l'uscita a nord, adesso il traffico si era fatto più scorrevole, accelerai.
Lei accese la radio e si mise a canticchiare un pezzo degli Europe. Non sapeva l'inglese ed era stonata. Era bello ugualmente, però.
Alzai il volume e imboccai una curva.
Poi il vuoto, il nero. Da allora non so più niente.

mercoledì 16 gennaio 2013

Esco


Lui disse "esco" ed uscì.
La donna rimase in casa ad attenderlo.
No, forse no, rimase in casa, semplicemente. Non pensava a lui.
Lesse qualche pagina della rivista che era sul divano, preparò un tè ma non lo bevve, chiamò un amica e si ricordò del tè. Ne bevve un sorso, fece una doccia e finì il tè.
Poi non sapeva più che fare. Iniziò a sperare che lui tornasse. Da sola era inutile fare qualsiasi cosa. Giusto? 
Cioè, lui sarebbe tornato e lei avrebbe dovuto smettere. Era inutile anche cominciare.
Si sedette di nuovo sul divano, grande, comodo, ma lui non arrivava. Fissava l'orologio, quel vecchio regalo di un tempo felice, e quello, tacito insulto, pareva procedere ancora più piano. Aspettarlo la logorava, decise di non attendere più.
Adesso aveva tutta la libertà davanti a sé. Poteva fare quello che voleva. Poteva fare tutto quello che si negava da anni, poteva uscire adesso oppure dopo. Niente mai da valutare. Smise di sperare che lui tornasse, anzi no, iniziò a sperare che non si presentasse mai più.
Però... come faceva ad avere la sicurezza? Un'ora, un giorno, una settimana, quanto doveva aspettare per sapere che lui non sarebbe più tornato? Non poteva vivere così, appesa nell'incertezza, senza potere sapere mai se quello che sperava si sarebbe avverato. Lui sarebbe sempre potuto tornare, in qualsiasi momento.
Alla fine decise che, tornato o no, per lei non sarebbe cambiato nulla.

Un pacchetto di divorzio insieme al pane. Sui figli vedremo.

Un pacchetto di divorzio insieme al pane. Sui figli vedremo.

martedì 15 gennaio 2013

Era elegante


Successe così, più  meno.
Lui beveva il caffè, in piedi in cucina. Lei arrivò con molto entusiasmo e gli raccontò di cosa aveva letto.
Andiamo?
Certo, disse lui, che non le negava mai niente. Non è che mi interessa per quel che è, ci tenne lei a precisare, però approfitterei, per approfittare.
Che frase chiara aveva detto, ma lui la capì.
Quella sera arrivò e scesero in strada. Lei era elegante, più del dovuto, mi porterà fortuna, aveva pensato. Non c'era nessun motivo per essere eleganti, quella sera. Ma non importava.
Erano in anticipo. Lei ci teneva ad arrivare puntuale. Presero l'auto, ferma da giorni, in mezzo al traffico scivolarono silenziosi.
Rimasero bloccati, e vi rimasero a lungo.
Quando arrivarono era molto tardi e non c'era più niente.
Non potevano tornare a casa così, lei era elegante e non lo era per niente. Si fermarono in un locale, lungo la via. Scelto a caso, tra i tanti vicini. E fu per caso che fecero quell'incontro. Quello che gli avrebbe cambiato la vita. Ad entrambi. Per sempre.

Le 11 Orche sono salve | noelife.it

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The Yellow Dog Project | noelife.it

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Femen contro il Papa

Femen contro il Papa

lunedì 14 gennaio 2013

Sapere a priori


Ho molto tempo, non sarà un problema, dunque non mi preoccupo, guardo fuori dalla finestra, raccolgo i pensieri, mazzetti graziosi come quei fiori.
Bevo un caffè, mangio un biscotto, girovago per casa cercando qualcosa.
L'orologio dice che non devo preoccuparmi.
Indugio ancora in un mondo fatto da azioni a metà.
Forse è tempo che mi concentri, no ancora no, ancora un po'.
Spazzolo i capelli, lavo i denti con la precisa lentezza di chi non ha fretta. Anche se adesso dovrei averne.
Ticchetta la lancetta, mi ricorda, il mio impegno inesorabile viene, si avvicina e avvicina a me la consapevolezza.
Non ce la farò, lo so di già, magari se fossi pronta. Ma no, non lo sono, non ancora. Sarebbe una lotta contro il tempo, eppure lo sapevo, lo sapevo già.
Di nuovo, così.
Quante cose che a priori sapevi, nulla hai fatto per cambiarle?

La medusa immortale | noelife.it

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Le origini del cibo

Le origini del cibo

Che sia famiglia per ogni bambino. Arcigay Vs Chiesa

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Maria Sklodowsk

Maria Sklodowsk

giovedì 10 gennaio 2013

La camera vuota


La stanza da letto illuminata dal sole mattutino. È bella, è grande, è luminosa. Ma è enorme, troppo enorme. In un certo senso, mette i brividi.
Il letto è rifatto con cura, al centro della stanza, le mensole ordinate, con i libri di scuola, la scrivania vuota. Non c'è niente fuori posto. Non un paio di scarpe, non un giocattolo, non un giornalino. È una camera senza nome e senza volto.

Magari è la camera di Sofia. Sofia ha dieci anni, un vecchio barboncino per compagno di giochi e da grande vorrebbe fare la ballerina. È brava Sofia, per la sua giovane età, volteggia leggera, si alza sulle punte di quei piedi da bambola.
Magari è la camera di Giuseppe. Giuseppe ha quindici anni e un fratello lontano. Corre nel prato insieme al pallone, pieno di amici al fratello non pensa mai. Torna a casa la sera, con la sua bicicletta, pedala spensierato per la città.
Magari è la stanza di Milena. Milena ha dodici anni e si sente già grande. Si trucca con le amiche, davanti allo specchio, ride per niente, si arrabbia con nulla. Ha un grande orsacchiotto, dentro l'armadio e ben nascosto.

Non arriva nessuno in questa camera vuota. Questo silenzio si fa più fitto. M'inquieta. Potrebbe essere di tutti, forse non lo è di nessuno.

mercoledì 9 gennaio 2013

Calma e precisione


Inforcò gli occhiali e continuò al suo lavoro. Con calma e precisione, aveva una precisione incredibile per i suoi novant'anni. È ben vero, lavorava lentamente, ma solo perché aveva imparato in età avanzata e non era ancora pratico.
Udì un rumore e saltò sulla sedia, ingenuamente direi. Era solo in casa, nessuno poteva vederlo, nessuno doveva vederlo. Questo era molto importante.
I suoi figli forse avrebbero capito, i suoi nipoti lo stesso, magari meno. Pensa invece se lo avessero saputo gli amici del circolo, o i vicini di casa, o la signora Rosa che ogni giorno cucinava per lui.
Sarebbe caduto nel ridicolo.
Tutti avevano conosciuto sua moglie, Margherita, tutti l'avevano amata. Lei e le sue mani d'oro che ricamavano senza posa.
Cosa c'è di ridicolo se lui adesso, per sentirsi meno solo, ha imparato a ricamare? Non bene come lei, lo sappiamo. Un omino piccolo e canuto con gli occhiali sul naso, il filo in mano e il ricordo della moglie nel cuore.
Niente di ridicolo, ma così si sente, e salta sulla poltrona al minimo rumore.

Chi è Maurizio Cattelan

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Da Padre a Patner se è una donna!

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Amicizie tra bonomo

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Bravo Ashapoo! | noelife.it

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Metalgassi. Street art

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martedì 8 gennaio 2013

Alle 16


Doveva andare qual pomeriggio, alle 16:00 essere là. Questo comportava innumerevoli conseguenze.
Si era svegliato all'alba per concludere alcune questioni importanti di lavoro, aveva disdetto alcuni appuntamenti che aspettava da molto, avrebbe perso discreto tempo, per raggiungere la meta.
Abbastanza comico, in fondo l'uomo non sapeva cosa andava a fare, né dove di preciso. Andava là, e qualcosa sarebbe successo.
Aveva scoperto il tutto per caso, non aveva capito cos'era ma non riusciva a toglierselo dalla mente.
Decise di andare, verso un'opportunità, verso una grande fregatura.

lunedì 7 gennaio 2013

L'avventura


La città sembra un'altra, profuma di diverso, le distanza cambiano.
Pedalando in bicicletta, uno slalom tra le auto, una gara contro i tram. Le guance si arrossano, le mani si gelano, fermi al semaforo, in fondo alla via.
Scopri strade che non avevi mai visto, ti ricordi di angoli che avevi dimenticato.
Fermi nel traffico, gli automobilisti stressati, in piedi alla fermata i pedoni attendono.
Tu hai una bicicletta e si chiama libertà. Devii di fronte al fornaio, solo per sentirne l'odore, ti fermi a osservare il colore dei fiori, pedali leggero o fai fatica, svolta a sinistra, vediamo cosa c'è.
La musica nelle orecchie e non senti più il traffico, due piccole cuffiette ti riparano dal mondo.
Appoggi a un palo il tuo mezzo trionfale, lo chiudi con cura, è spessa la catena, sicuro il lucchetto, sperando anche oggi di ritrovarla là.
Quando la rivedi, c'è ancora per fortuna, subito controlli che le gomme stiano bene. Poi riparti alla volta di casa, non è un tragitto, non è un percorso, bensì un'avventura.

366 giorni in 366 secondi

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La pizza più grande del mondo

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La storia di Flora Tristàn

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Attendere


Attendere è una parola sempre uguale a sé stessa. Aspettare, rimanere in attesa.
Come quando chiami un numero verde e attendi per ore di parlare con l'operatore. Oppure dal dentista, attendi per ore, ma volano veloci e la tortura è già lì.
Un bambino che attende il Natale, uno studente che attende le vacanze, un operaio che attende le ferie.
Attende la moglie, nella casa muta, il ritorno del marito, a sera.
Attende l'uomo, infreddolito alla fermata, che l'autobus psasi e lo porti via da lì.
Attende anche il cane, che qualcuno lo porti a passeggio.
Tutti attendono una qualche cosa, in modi diversi, ma è sempre uno aspettare. Ogni attesa è viva nel suo mondo, indipendente dal mondo.
C'è l'attesa delle unghie rosicchiate, l'attesa delle lancette che non si muovono, l'attesa che con il calendario sfoglia i giorni, e quella fumata su un balcone di periferia.
Attese cariche di gioia o già dense di delusione, per ogni attesa che finisce ne inizia un'altra, come se non fosse ancora giunto il momento di vivere davvero.

venerdì 4 gennaio 2013

La neve


Chi ha detto che la neve non fa rumore? Bhè, magari non l'aveva mai vista, la neve. O mai sentita.
La neve è il rimbalzo ovattato sopra la tenda, è il raschiare sordo delle pale, la neve è il passo leggero della meraviglia delicata di un bambino. La neve è l'impropero sottovoce del guidatore bloccato, sono le urla di divertimento dei ragazzi nel prato.
La neve sveglia con il silenzio, ma nelle orecchie una melodia lontana: la neve è un rumore che assomiglia a una forma indistinta.
La neve è bianca? Ma non è vero. Il cielo è bianco semmai, quando nevica fitto, le neve risalta e un colore proprio suo non esiste. Giallo del sole, rosso del sangue, blu del cielo. Sembra grigia, quando a grossi fiocchi viene giù, ma vi sbagliate; neppure grigia, quando sporca è rimasta giorni sulla strada.
La neve ha il colore dei sogni del bambino e dei ricordi del vecchietto.
Oggi nevica, non vedo colori, non sento rumori, forse farei megio a ricercare la mia meraviglia

mercoledì 2 gennaio 2013

La stanza


La stanza è vuota, già, non c'è nessuno. Ma la stanza è anche piena, già, è colma di oggetti che sono di per sé una presenza, una testimonianza della vita che la impregna.
Dunque, la vuota stanza è in un certo qual modo piena, una morbida penombra avvolge l'ambiente.
Un appendiabiti all'ingresso è quasi vuoto, una sciarpa è appesa storta, si sostiene magicamente.
Dietro la porta, uno stendibiancheria, calze nere e un tappeto sfilacciato. Ti chiedi come si possa aprire. Parlo della porta.
Due poltrone addossate al muro, una è rotta, giace nella solitudine dell'inutilità. L'altra raccoglie oggetti di qualcuno che non c'è.
Sul tavolo, i fiori della tovaglia chiedono un prato, ma, ahimè, abbiamo solo due pacchetti di cracker, qualche bicchiere di plastica, un telecomando rotto, una bottiglia d'acqua piena per metà.
Il divano è vuoto, compatto e rigido, attende.
La portafinestra non si chiude, è tenuta accostata da un altro stendibiancheria. Vesti variopinte gridano nel silenzio, la loro gioia.
Un armadio chiuso. Non sai cosa possa esserci nascosto dietro.
Un tavolo in un angolo, quieto sopporta il peso di oggetti per caso. Un ferro da stiro, riviste abbandonate, una confezione regalo di saponette, biglietti dimenticati, insieme a tutto ciò che vi era appuntato sopra. Un elenco telefonico di anni addietro, ancora incartato. Un mazzo di carte dove manca la regina di cuori.
La TV muta osserva il vuoto. Una lampada per terra aspetta il momento che qualcuno la pesterà.
Al centro, abbandonate, un paio di scarpe. Una giace stesa, insolentemente in disordine. E sono proprio queste due scarpe fuori luogo, che ti fermerai a fissare.

La russia vuole gli orfani

La russia vuole gli orfani

Le due birre


Lei gli disse, torno subito, e si alzò.
Il locale era affollato, un prato ingombro di tavolini e sedie. Gente ovunque, accalcata a gruppetti, sdraiata sui morbidi cuscini appoggiati sull'erba. Non si passava.
Lui rimaneva lì, a guardare i loro due bicchieri vuoti.
La notte era tarda ma il calore non aveva abbandonato l'aria, una musica soffusa si diffondeva tutt'intorno.
Fendette il muro di persone, sgusciò tra braccia gambe e busti di conversazioni che non le appartenevano, si fece largo tra vite che non conosceva.
Raggiunse il bancone, troppo alto anche per i suoi scomodi tacchi. Una folla le si radunava davanti, compatta le sbarrava la strada.
Solo due birre, pensava, ma pare un'impresa. Il barista lo conosceva, provò a chiamarlo, inghiottita da altre voci. Si sbracciava la ragazza, tentando di destare l'attenzione.
Era bella, e ben vestita, un po' fuori luogo in quella confusione. Il ragazzo al tavolo aspettava, paziente, attendeva con ansia il ritorno di lei. Lei che da così poco aveva conosciuta, lei che così tanto nella vita era entrata, lei che davanti a quel bancone nessuno considerava.
Urtò il braccio dell'uomo che le stava di fronte, e questi si girò. Occhi chiari, capelli scuri e un sorriso bellissimo quando la riconobbe. Trent'anni o giù di lì.
"Quanto tempo, che piacere!" baciandole le gote abbronzate.
Lo incontrava sul tram, qualche anno prima, presero un caffè qualche volta insieme, lui era così dolce, e così bello. Qualche volta la chiamava, mai niente d'importante.
Era qualche mese che non s'incrociavano.
"Lui è il mio fidanzato" le disse appena dopo, e lei una mano strinse, forte e callosa.
Probabilmente non ero il suo tipo, pensava lei, tornando al tavolo.
Alla birra aveva rinunciato.

Caffè

Caffè

Shakespeare è Shakespeare

Shakespeare è Shakespeare