OGGI NOCE STANCA, IL RE
DEL MARE E MOLTO FURIOSSO
La prima e una delle pochissime scritte
di Marino.
Andò così.
Era di nuovo inverno e, per il secondo
anno di fila, inverno voleva dire freddo, pioggia e vento.
I vecchi dicono che, ai loro tempi, le
stagioni erano più miti, frottole, si sono scordati diverse annate,
a quanto mi risulta. In quella, di mite, c'era ben poco.
Pioveva, come se tutta l'acqua del
cielo dovesse abbattersi su di noi in una sola notte, il vento non
era troppo freddo ma implacabile, il mare in bufera. Ogni tanto mi
sembrava che le onde mi entrassero nel bar, magari si sarebbero
portate via quel vecchio biliardo.
In tale sera, erano tutti rintanati
nelle loro casette, fatta eccezione per qualche incallito di TV, che,
evidentemente, non ne possedeva ancora una, seduto nella seconda
sala.
Ai tempi c'era ancora quella piccola in
bianco e nero, che trasmetteva solo se di buon umore.
Una testa sbucò da dietro il vetro, ho
tempo di vederlo e riconoscerlo, ma è solo un attimo, poi il vecchio
Marino fece il suo ingresso, pulce bagnata. Prima aveva controllato
che non ci fosse troppa gente, con il locale pieno non entrava mai.
Almeno in quegli anni era cosi, poi,
sposandosi, è diventato meno eremita, ma di poco.
"Scusa se ti infradicio tutto."
Si scusò con quel modo impacciato di
rivolgersi alle persone, che non è migliorato molto; poi mi stupì.
Ancora non sapevo che negli anni mi avrebbe continuato a stupire. Si
avvicinò al Diario e scrisse la sua frase. Aveva una grafia storta e
incerta, da bambino.
"E scusa se c'è qualche errore ma
non sono mai davero andato a scuola."
Abbozzò uno dei suoi rari sorrisi, era
più un ghigno che un sorriso ma, dificilmente mi crederete, i suoi
sorrisi erano rassicuranti.
Era infreddolito, lo si vedeva bene,
nonostane il suo piccolo corpo abituato a ogni intemperia. Preparai
un tè, per me e per lui, e mi accostai per ascoltarlo. Si trattava
di una delle rare occasioni in cui era propenso a parlare, di sè
voglio dire.
Marino era un uomo senza amici, credo
di essere stato l'unica persona che più si avvicinava a quel ruolo,
nella sua vita. Dico uomo anche se non credo arrivasse alla trentina,
lui era uno di quelli che la giovineza non sapeva come fosse fatta,
nè ove si nascondesse.
Di questo strano personaggio sapevo ben
poco, almeno della sua vita passata.
Viveva solo, in una delle case più
vecchie di Laguna, quelle al limitare sud, tutte in legno, avete
presente? Non vi sono mai andato ma là si assomigliano tutte, le
poche rimaste in piedi, piccole, umide e scalcinate. Credo fosse
orfano da molti anni, perchè mai ho visto i genitori, tantomeno
sentiti rammentare. Suo padre, questo sì, era un pescatore, aveva
trasmesso al figlio l'amore per il mare e per le sue leggende.
Marino non pescava, come faceva la
maggior parte, da molti anni, sui grandi pescherecci ormeggiati al
porto; no, lui ogni mattina partiva con Noce, la piccola barca a remi
paterna, e buttava la sua ancora solitaria.
Ignoro anche come e a chi vendesse i
pesci pescati, però, ogni sera, lasciava il suo piccolo gioellino
vicino al mio bar, come pochi altri facevano, e rimaneva, se il tempo
lo consentiva, ad annusare il suo mare.
Tornava a casa poche ore, uno degli
uomini che dormiva meno di me; in quella casa che mi immagino odorosa
di muffa, e, prima dell'alba, era già a largo, lui e la sua misera
canna. Spero non avesse dato un nome anche a questa.
A nessuno sarebbe mai passato per la
mente di rubare il suo vecchio gioiellino, ridotto a una bagnarola.
"Noce non ce la fa più."
Era affranto, come se parlasse di una
persona, non di una barchetta da due soldi.
"Ogni pochi giorni devo riparare
qualche falla, il legno è provato. Ho anche tentato di portarla da
Gabriele, quello dell'officina navale."
Lungo silenzio. Attesi. Con Marino non
si deve chiedere, si ammutolirebbe di colpo.
"Gabriele ha parlato molto della
moglie, che è di nuovo incinta, e mi ha consigliato, dopo ciance
vane, di cambiarla."
Altro silenzio. Mi diede il tempo per
un rapido conto mentale. Ancora incinta? Deve essere il quarto o il
quinto, ormai. E solo pochi anni più di me.
"Lui non sa che mio padre mi
insegnò a pescare da sopra Noce, la cambierò quando cadrà a
picco."
Per lungo tempo si dedicò al suo tè,
ormai freddo, poi cambiò, d'un tratto, argomento.
"Hai visto il tempo di oggi? È un
vento strano, un vento che si alza molto raramente."
Aveva ragione, io non sono mai stato
uomo di mare, e di venti ne so poco, ma per quel poco qui abbiamo di
solito caldi venti da est o sudest, proprio al massimo quelli umidi
da suovest. Quello soffiava da norest, non ricordavo un vento
simile; non importava molto, credo di avervi già spiegato come è la
mia memoria.
"È il vento dell'ira del Re del
Mare, soffierà per tre giorni poi svanirà nel nulla, di colpo."
Mi narrò la leggenda.
Il Re del Mare è ghiotto di
pesci e ha i suoi allevamenti personali, nel fondo degli abissi. Sono
pesci magici, più buoni di tutti gli altri e con lische che
spariscono da sole con la cottura, sono sani e forti. Uno di quelli
può sfamare una famiglia una settimana. Sono la più grande
prelibatezza esistente, ma nessun pescatore desiderebbe mai tirarne
su uno.
Talvolta, un pesce magico
sfugge all'allevamento del Re e finisce nella rete di uno sventurato.
Il poverino si dibatterà nel letto per tre giorni, in preda ad
atroci dolori, mentre il Re soffierà la sua collera infinita, da
nordovest, facendosi sentire da tutto il paese dello sventurato. Dopo
tre giorni, in cui nessun pescatore avrà preso niente, la sua ira si
placherà all'improvviso, il pescatore sventurato potrà rimettersi
in piedi, senza patire le pene più tremende, il vento calerà
all'istante e la pesca riprenderà.
Questa mattina qualcuno di noi ha
avuto una pesca infruttuosa, non vorrei mai essere nei suoi panni.
Il vecchio Marino sapeva raccontare
leggende, eccome. Tutta la goffaggine spariva all'istante ed era
capace di farti sognare. E, in più, ne era il massimo conoscitore in
paese, io rimango segretamente convinto che Marino cerdesse realmente
all'esistenza del Re del Mare. Molti Laguni venivano a cercarlo per
le sue storie, lui ne era orgoglioso.
Una sera mi disse che era bello
consolare le persone con le storie. Aveva questo strano istinto qui,
anche se non capiva gli altri uomini, non riusciva a penetrare i loro
sentimenti, ma sapeva che le sue leggende avevano un potere lenitivo,
o forse la sua voce, e gli piaceva narrarle.
"Le leggende me le narrava mio
padre. Volevo bene a mio padre."
Ed era il volevo bene più infantile e
dolce che avevo mai sentito.
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