giovedì 10 ottobre 2013

Sotto la pioggia


Sono uscito senza ombrello sotto la pioggia fitta, camminando senza ombrello sono arrivato da lei. La luce era accesa ma non mi apriva la porta.
Sentivo la sua voce, al di là dei muri, cantare a voce alta per non udirmi.
Di nuovo l'ho chiamata, implorata, scongiurata. Niente da fare. Rimanevo là sotto a impregnarmi di pioggia, avevo smesso anche di urlare. All'improvviso si è affacciata, bella come sempre, si è sporta dalla finestra rimanendo senza parole.
Per lungo, lungo, tempo.
Spero che non sapesse cosa dire, spero che stessa valutando la possibilità di farmi entrare. Poi il volto si è trasformato, odio e furore, e mi ha detto di non farmi più vivo, di sparire dalla sua vita.
La sua voce non era più la sua. Nel mio cuore, fino all'ultimo secondo lei ha valutato altre parole da dire. Purtroppo sono solo io a pensarlo, non ho niente per affermarlo con certezza.
È tornata dentro e io sono riamasto là.
L'ho sentita piangere da dietro le mura, e a questo suono sono andato via.
Solo, senza un ombrello, sotto la pioggia.

venerdì 20 settembre 2013

Il terrazino


La grande casa è silenziosa, una quiete irreale regna tutt'intorno. Il prato al'inglese perfettamente curato, la magnolia mostra al mondo le prime gemme della stagione; nel luminoso salotto una giovane, cingendosi le gambe al petto, sul morbido divano bianco, legge un voluminoso libro.
È sola.
I rumori più insignificanti prendono forma per sottolineare la sua solitudine, ogni suo gesto è lento, fluttuante. Quella villetta è bella, certo, ma a lei non piace; quell'esistenza lussuosa è allettante, sì, ma lei preferirebbe la sua vita di prima.
Aspetta con ansia il suono del citofono, un'anziana signora rotondetta e gioviale, maestra elementare in pensione, nonchè sua vicina, verrà a farle visita per il tè. Insieme mangeranno la crostata di more, infornata nella mattinata, e la giovane penderà da quelle rugose labbra, prosaiche confidenze di inestimabile valore.
Anni prima lei era una pasticcera, giovanissima, bellissima, sempre stanca, una pasticcera che lavorava nel cuore di New York. È ancora giovane ma guarda la sua vita scorere inerte, è ancora bella ma spenta, non è stanca ma non c'è più niente da fare in questa terra straniera. Ha seguito un uomo e continua ad aspettarlo, ogni giorno, ogni sera, lui tornarà per chiudersi nella piccola palestra in taverna o in uno dei tre studi al piano superiore.
Ilary ha sposato un uomo di successo. Ilary è la moglie di Giacomo.

mercoledì 24 luglio 2013

Attesa


Il caldo era atroce. Il sole batteva a picco e le due ragazze erano accalcate in mezzo a tante altre come loro. Finalmente le fecero entrare, ma furono costrette tutte entro lunghi corridoi bui, la situazione non era affatto migliorata.
"Io te lo avevo detto che era così!"
Sara si rivolse all'amica che aveva perso la spavalderia della mattina.
"Aspetteremo, non è un problema."
Rosa voleva apparire fiduciosa, in realtà un grande sconforto bussava alla sua porta.
"Devi venire prestissimo, aspetti delle ore e poi quanto? Due tre minuti al massimo, e non ti richiamano mai."
Rosa le credeva, Sara non era nuova a quel tipo di audizioni, ma voleva comunque la sua possibilità. Per lei era molto importante, Sara non lo ignorava, era andata là solo per accompagnarla. Rosa sapeva benissimo di non essere brava tecnicamente come lei e quella era la sua prima audizione, mentre l'amica aveva iniziato a fare i primi provini quando era piccolissima. E non era mai stata presa. Però Rosa aveva qualcosa in più, aveva la forza della determinazione, Rosa aveva davvero bisogno di essere accettata. Rosa doveva ottenere il suo riscatto, Sara non ne aveva bisogno.

Le due ragazze si erano conosciute anni addietro, quando Rosa era stata iscritta per la prima volta a un corso di ballo. Indossava scarpette strette e un tutù color confetto, e saltellava di gioia nella grande sala con gli specchi alle pareti. Era la più grande delle allieve del suo corso, quell'anno aveva vinto la sua prima grande battaglia contro i genitori, smetterla con la piscina e iscriversi a danza classica, come avrebbe sempre voluto. Non era colpa sua se Viola, maggiore di lei di molti anni, era una nuotatrice provetta. Lei odiava l'acqua e non invidiava minimamente le tante medaglie della sorella. Rosa voleva ballare.
Ben presto fu chiaro che era dotata di un talento innato, faceva progressi sorprendenti e venne promossa a un corso avanzato. Con il passare degli anni iniziò a frequentare anche altri corsi e conobbe la figlia del titolare della scuola, Sara appunto. Crebbero insieme e divennero molto amiche, ma Rosa non smise mai di provare una segreta invidia.
Sara non aveva mai dovuto lottare per poter ballare, da quando compì sedici anni iniziò a insegnare nei corsi per principianti, e una volta adulta avrebbe preso la gestione dell'intera scuola. La danza era la sua vita, lo era sempre stata e lo sarebbe stata per sempre, se avesse voluto. Per Rosa non era così semplice; Rosa era la sorella minore di Viola, quella buona, quella bella, quella intelligente, quella capace, quella che non si perdeva in stupide frivolezze come la danza.
La passione di Rosa per ballare, per il teatro, per la recitazione e quant'altro non era mai andata a genio ai suoi genitori, che l'avrebbero voluta seria e diligente come la sorella. In quei giorni Viola era appena partita, dopo una brillante laurea in economia, aveva trovato un ottimo impiego a Stoccolma. I genitori erano orgogliosissimi di lei, quanto delusi dalla figlia minore. Dopo aver finito la scuola, Rosa si era subito cercato un impiego ma, qualsiasi cosa trovasse, non riusciva a tenersi il posto per più di qualche mese.

È svogliata, distratta, maldestra, incapace e per di più continua a perdere tempo dietro a frivolezze.
Rosa sapeva benissimo che non era così, aveva avuto solo tanta sfortuna, la rabbia di non riuscire a dimostrarlo bolliva in lei e la portava a combinare solo altri disastri; la settimana prima, che esempio lampante, aveva perso la sua ultima occupazione e ancora non aveva avuto il coraggio di dirlo ai genitori. Lavorava part time in un salone di parrucchieri ed era arrivata in ritardo a causa dell'ennesima lite con la madre, sulla danza precisamente. La donna voleva che la figlia la smettesse di insegnare nella scuola dell'amica, anche lei come Sara aveva iniziato a fare da maestra alle allieve più piccole, giusto un paio di ore la settimana, per cercarsi un'occupazione seria dato che anche il salone di bellezza non le piaceva molto. Tra il ritardo e un increscioso errore sulla tintura di un'anziana signora, Rosa proprio non riusciva a concentrarsi, pensava e ripensava con rabbia alle parole della madre, che sembrava disprezzare il suo mondo, e cercava la maniera per riscattarsi, fu mandata via senza tanti complimenti. Proprio la sera stessa che trovò l'annuncio dell'audizione sul giornale e, fattolo vedere all'amica, la convinse a partecipare.

lunedì 22 luglio 2013

Lavoro a maglia


È intenta nel suo lavoro a maglia, l'anziana signora, ogni tanto alza lo sguardo e lo fissa sulla vecchia pendola, ormai ferma. È solo un ricordo.
Un auto in lontananza, nella testa, voci dal passato la rincuorano nella lunga sera.
Con fatica si alza, movimenti lenti di chi ha già vissuto, in cucina versa un bicchiere di acqua fresca e, con gusto, la beve. Tenta nuovamente la telefonata, non ha fortuna, squilli a vuoto, una voce registrata dopo l'attesa. Torna al suo maglione, tenterà più tardi, senza illudersi di ottenere risposta.
Riuscire a parlare con suo figlio è difficile, vederlo ancora di più.
Quel ragazzo era un genio, lei lo aveva sempre saputo, anche quando era molto piccolo lo sospettava, adesso poteva ben vedere di aver ragione. Il suo grande successo lo dimostrava. Un talento innato, suo figlio. Il carattere di fuoco, la freddezza e la mancanza di scrupoli non apparivano tali ai suoi occhi stanchi.
Continuava a sferruzzare, in attesa di poter parlarci, di poter parlare con Giacomo.

venerdì 19 luglio 2013

Sala d'aspetto


Nella sala d'aspetto del dentista, l'uomo, a disagio, cercava conforto dall'arredamento. Stampe di famosi quadri lo circondavano ma non riuscivano a lenire l'ansia dell'attesa. Tra esse anche la riproduzione di una foto, molto famosa, l'uomo lo sa senza riuscire a collegarla a niente di preciso.
Un palloncino rosso, un cielo azzurro, sopra una veduta aerea di New York in bianco e nero. Davvero impressionante.
Si perde in ogni dettaglio, è come volare insieme al palloncino colorato di quel cielo troppo blu, lontano dall'immensa città grigia. Fluttua anni luce distante dalla sua carie e dalla spaventevole poltrona cui dovrà sedere. L'uomo conosce l'immagine, l'ha già vista, ma mai guardata così, non si è mai soffermato tanto, non si è mai accorto della forza che v'è dentro.
D'un tratto è convinto di ricordare.
Quella foto fece il giro del mondo, una decina di anni prima, un giovane sconosciuto ebbe successo con una velocità impressionante, per quello scatto. Non gli sovviene il nome, ma è convinto di averne sentito ancora parlare.
La foto è il primo capolavoro di Giacomo.  

mercoledì 17 luglio 2013

Sul tavolo


Appare surreale, la situazione tutta.
Un denso odor di fumo impregna l'aria e mi impedisce il lavoro. Ma forse non è quello il fattore principale. Un timer ticchetta lontano e da una parvenza di vita a un luogo di abbandono. Non conto i calcinacci e i rifiuti accanto a me, diverrei matta. Faccio finta che non esistano, così è meglio.
I rumori dall'altra stanza potrebbero provenire da un altro mondo, e per me lo è quasi. Colpi di martello, passi ovattati, voci di donne. Forse. Non mi interessa.
Su questo tavolo cui mi appoggio, vita quotidiana alla rinfusa. Parti di un futuro, parti di un passato, oggetti di passaggio che non inquadrano "l'ora". Due bottiglie d'acqua, un bicchiere sporco, un rotolo di scotch, biglietti da visita in carta sottile, una plafoniera, un portamonete turchese, un libretto di istruzioni, forbici, un portacenere annerito dal tempo e qualche foglio di appunti. I fogli sono miei, tutto il resto mi sfiora come vento lontano.
Scrivo, ma il mio scrivere è solo un attendere. Attendo qualcuno, attendo il momento, attendo le idee.
Il sole va giù, inesorabile come suol fare, e alla mia porta ancora non ha suonato nessuno. Chissà se mai lo farà.
Cercare di capire se attender ancora è utile o no.

lunedì 15 luglio 2013

Ilary


La grande casa è silenziosa, una quiete irreale regna tutt'intorno. Il prato al'inglese perfettamente curato, la magnolia mostra al mondo le prime gemme della stagione; nel luminoso salotto una giovane, cingendosi le gambe al petto, sul morbido divano bianco, legge un voluminoso libro.
È sola.
I rumori più insignificanti prendono forma per sottolineare la sua solitudine, ogni suo gesto è lento, fluttuante. Quella villetta è bella, certo, ma a lei non piace; quell'esistenza lussuosa è allettante, sì, ma lei preferirebbe la sua vita di prima.
Aspetta con ansia il suono del citofono, un'anziana signora rotondetta e gioviale, maestra elementare in pensione, nonché sua vicina, verrà a farle visita per il tè. Insieme mangeranno la crostata di more, infornata nella mattinata, e la giovane penderà da quelle rugose labbra, prosaiche confidenze di inestimabile valore.
Anni prima lei era una pasticcera, giovanissima, bellissima, sempre stanca, una pasticcera che lavorava nel cuore di New York. È ancora giovane ma guarda la sua vita scorrere inerte, è ancora bella ma spenta, non è stanca ma non c'è più niente da fare in questa terra straniera. Ha seguito un uomo e continua ad aspettarlo, ogni giorno, ogni sera, lui torearà per chiudersi nella piccola palestra in taverna o in uno dei tre studi al piano superiore.
Ilary ha sposato un uomo di successo. Ilary è la moglie di Giacomo.