mercoledì 24 luglio 2013

Attesa


Il caldo era atroce. Il sole batteva a picco e le due ragazze erano accalcate in mezzo a tante altre come loro. Finalmente le fecero entrare, ma furono costrette tutte entro lunghi corridoi bui, la situazione non era affatto migliorata.
"Io te lo avevo detto che era così!"
Sara si rivolse all'amica che aveva perso la spavalderia della mattina.
"Aspetteremo, non è un problema."
Rosa voleva apparire fiduciosa, in realtà un grande sconforto bussava alla sua porta.
"Devi venire prestissimo, aspetti delle ore e poi quanto? Due tre minuti al massimo, e non ti richiamano mai."
Rosa le credeva, Sara non era nuova a quel tipo di audizioni, ma voleva comunque la sua possibilità. Per lei era molto importante, Sara non lo ignorava, era andata là solo per accompagnarla. Rosa sapeva benissimo di non essere brava tecnicamente come lei e quella era la sua prima audizione, mentre l'amica aveva iniziato a fare i primi provini quando era piccolissima. E non era mai stata presa. Però Rosa aveva qualcosa in più, aveva la forza della determinazione, Rosa aveva davvero bisogno di essere accettata. Rosa doveva ottenere il suo riscatto, Sara non ne aveva bisogno.

Le due ragazze si erano conosciute anni addietro, quando Rosa era stata iscritta per la prima volta a un corso di ballo. Indossava scarpette strette e un tutù color confetto, e saltellava di gioia nella grande sala con gli specchi alle pareti. Era la più grande delle allieve del suo corso, quell'anno aveva vinto la sua prima grande battaglia contro i genitori, smetterla con la piscina e iscriversi a danza classica, come avrebbe sempre voluto. Non era colpa sua se Viola, maggiore di lei di molti anni, era una nuotatrice provetta. Lei odiava l'acqua e non invidiava minimamente le tante medaglie della sorella. Rosa voleva ballare.
Ben presto fu chiaro che era dotata di un talento innato, faceva progressi sorprendenti e venne promossa a un corso avanzato. Con il passare degli anni iniziò a frequentare anche altri corsi e conobbe la figlia del titolare della scuola, Sara appunto. Crebbero insieme e divennero molto amiche, ma Rosa non smise mai di provare una segreta invidia.
Sara non aveva mai dovuto lottare per poter ballare, da quando compì sedici anni iniziò a insegnare nei corsi per principianti, e una volta adulta avrebbe preso la gestione dell'intera scuola. La danza era la sua vita, lo era sempre stata e lo sarebbe stata per sempre, se avesse voluto. Per Rosa non era così semplice; Rosa era la sorella minore di Viola, quella buona, quella bella, quella intelligente, quella capace, quella che non si perdeva in stupide frivolezze come la danza.
La passione di Rosa per ballare, per il teatro, per la recitazione e quant'altro non era mai andata a genio ai suoi genitori, che l'avrebbero voluta seria e diligente come la sorella. In quei giorni Viola era appena partita, dopo una brillante laurea in economia, aveva trovato un ottimo impiego a Stoccolma. I genitori erano orgogliosissimi di lei, quanto delusi dalla figlia minore. Dopo aver finito la scuola, Rosa si era subito cercato un impiego ma, qualsiasi cosa trovasse, non riusciva a tenersi il posto per più di qualche mese.

È svogliata, distratta, maldestra, incapace e per di più continua a perdere tempo dietro a frivolezze.
Rosa sapeva benissimo che non era così, aveva avuto solo tanta sfortuna, la rabbia di non riuscire a dimostrarlo bolliva in lei e la portava a combinare solo altri disastri; la settimana prima, che esempio lampante, aveva perso la sua ultima occupazione e ancora non aveva avuto il coraggio di dirlo ai genitori. Lavorava part time in un salone di parrucchieri ed era arrivata in ritardo a causa dell'ennesima lite con la madre, sulla danza precisamente. La donna voleva che la figlia la smettesse di insegnare nella scuola dell'amica, anche lei come Sara aveva iniziato a fare da maestra alle allieve più piccole, giusto un paio di ore la settimana, per cercarsi un'occupazione seria dato che anche il salone di bellezza non le piaceva molto. Tra il ritardo e un increscioso errore sulla tintura di un'anziana signora, Rosa proprio non riusciva a concentrarsi, pensava e ripensava con rabbia alle parole della madre, che sembrava disprezzare il suo mondo, e cercava la maniera per riscattarsi, fu mandata via senza tanti complimenti. Proprio la sera stessa che trovò l'annuncio dell'audizione sul giornale e, fattolo vedere all'amica, la convinse a partecipare.

lunedì 22 luglio 2013

Lavoro a maglia


È intenta nel suo lavoro a maglia, l'anziana signora, ogni tanto alza lo sguardo e lo fissa sulla vecchia pendola, ormai ferma. È solo un ricordo.
Un auto in lontananza, nella testa, voci dal passato la rincuorano nella lunga sera.
Con fatica si alza, movimenti lenti di chi ha già vissuto, in cucina versa un bicchiere di acqua fresca e, con gusto, la beve. Tenta nuovamente la telefonata, non ha fortuna, squilli a vuoto, una voce registrata dopo l'attesa. Torna al suo maglione, tenterà più tardi, senza illudersi di ottenere risposta.
Riuscire a parlare con suo figlio è difficile, vederlo ancora di più.
Quel ragazzo era un genio, lei lo aveva sempre saputo, anche quando era molto piccolo lo sospettava, adesso poteva ben vedere di aver ragione. Il suo grande successo lo dimostrava. Un talento innato, suo figlio. Il carattere di fuoco, la freddezza e la mancanza di scrupoli non apparivano tali ai suoi occhi stanchi.
Continuava a sferruzzare, in attesa di poter parlarci, di poter parlare con Giacomo.

venerdì 19 luglio 2013

Sala d'aspetto


Nella sala d'aspetto del dentista, l'uomo, a disagio, cercava conforto dall'arredamento. Stampe di famosi quadri lo circondavano ma non riuscivano a lenire l'ansia dell'attesa. Tra esse anche la riproduzione di una foto, molto famosa, l'uomo lo sa senza riuscire a collegarla a niente di preciso.
Un palloncino rosso, un cielo azzurro, sopra una veduta aerea di New York in bianco e nero. Davvero impressionante.
Si perde in ogni dettaglio, è come volare insieme al palloncino colorato di quel cielo troppo blu, lontano dall'immensa città grigia. Fluttua anni luce distante dalla sua carie e dalla spaventevole poltrona cui dovrà sedere. L'uomo conosce l'immagine, l'ha già vista, ma mai guardata così, non si è mai soffermato tanto, non si è mai accorto della forza che v'è dentro.
D'un tratto è convinto di ricordare.
Quella foto fece il giro del mondo, una decina di anni prima, un giovane sconosciuto ebbe successo con una velocità impressionante, per quello scatto. Non gli sovviene il nome, ma è convinto di averne sentito ancora parlare.
La foto è il primo capolavoro di Giacomo.  

mercoledì 17 luglio 2013

Sul tavolo


Appare surreale, la situazione tutta.
Un denso odor di fumo impregna l'aria e mi impedisce il lavoro. Ma forse non è quello il fattore principale. Un timer ticchetta lontano e da una parvenza di vita a un luogo di abbandono. Non conto i calcinacci e i rifiuti accanto a me, diverrei matta. Faccio finta che non esistano, così è meglio.
I rumori dall'altra stanza potrebbero provenire da un altro mondo, e per me lo è quasi. Colpi di martello, passi ovattati, voci di donne. Forse. Non mi interessa.
Su questo tavolo cui mi appoggio, vita quotidiana alla rinfusa. Parti di un futuro, parti di un passato, oggetti di passaggio che non inquadrano "l'ora". Due bottiglie d'acqua, un bicchiere sporco, un rotolo di scotch, biglietti da visita in carta sottile, una plafoniera, un portamonete turchese, un libretto di istruzioni, forbici, un portacenere annerito dal tempo e qualche foglio di appunti. I fogli sono miei, tutto il resto mi sfiora come vento lontano.
Scrivo, ma il mio scrivere è solo un attendere. Attendo qualcuno, attendo il momento, attendo le idee.
Il sole va giù, inesorabile come suol fare, e alla mia porta ancora non ha suonato nessuno. Chissà se mai lo farà.
Cercare di capire se attender ancora è utile o no.

lunedì 15 luglio 2013

Ilary


La grande casa è silenziosa, una quiete irreale regna tutt'intorno. Il prato al'inglese perfettamente curato, la magnolia mostra al mondo le prime gemme della stagione; nel luminoso salotto una giovane, cingendosi le gambe al petto, sul morbido divano bianco, legge un voluminoso libro.
È sola.
I rumori più insignificanti prendono forma per sottolineare la sua solitudine, ogni suo gesto è lento, fluttuante. Quella villetta è bella, certo, ma a lei non piace; quell'esistenza lussuosa è allettante, sì, ma lei preferirebbe la sua vita di prima.
Aspetta con ansia il suono del citofono, un'anziana signora rotondetta e gioviale, maestra elementare in pensione, nonché sua vicina, verrà a farle visita per il tè. Insieme mangeranno la crostata di more, infornata nella mattinata, e la giovane penderà da quelle rugose labbra, prosaiche confidenze di inestimabile valore.
Anni prima lei era una pasticcera, giovanissima, bellissima, sempre stanca, una pasticcera che lavorava nel cuore di New York. È ancora giovane ma guarda la sua vita scorrere inerte, è ancora bella ma spenta, non è stanca ma non c'è più niente da fare in questa terra straniera. Ha seguito un uomo e continua ad aspettarlo, ogni giorno, ogni sera, lui torearà per chiudersi nella piccola palestra in taverna o in uno dei tre studi al piano superiore.
Ilary ha sposato un uomo di successo. Ilary è la moglie di Giacomo.

venerdì 12 luglio 2013

Rosa


Ancora la luce pomeridiana invadeva la casa, si sedette Rosa, crollando il corpo inerte, nella poltrona sotto la finestra. Lentamente prima, sempre con più foga poi, disperatamente infine, proruppe in un pianto che non aveva eguali. E continuò sotto il cielo arrossato del tramonto, e continuò quando tutta la stanza fu invasa da una tiepida oscurità. Nonostante qual pianto la margherita tra i suoi capelli resisteva.
Quando le lacrime si furono asciugate rimase solo un gran freddo un gran vuoto che faceva paura e troppe domande che non davano tregua.
Andò in cucina e si preparò un caffè; ascoltava l'acqua bollire e ancora due lacrime scesero sulle sue guance. Tutto il dolore che aveva covato negli ultimi mesi oggi esplodeva, solo oggi si rendeva conto di quanto grande fosse la sua angoscia, oggi aveva aggiunto l'ultimo tassello e non aveva più il coraggio di guardare quell'immagine.
Versò nella sua tazza preferita una generosa dose della bevanda nervina, aspettando di calmarsi. Sobbalzò invece, come morsa da serpente, quando il suo cellulare notificò l'arrivo di un messaggio. Tramando lo lesse, sperando e non sperando insieme, Guido, il marito, avrebbe tardato in ufficio, aveva più tempo per pensare a cosa fare.
Dopo quel pomeriggio doveva accantonare l'idea di far finta di niente, ci aveva provato, aveva tentato per mesi, ma adesso tutto era peggiorato. Non si poteva più. Per un attimo, ma fu un attimo solo, balenò a lei l'idea che era una scelta già fatta, e già sbagliata. Poi la soppresse.
Nuovamente, e con insistenza, il pensiero di raggiungere la sorella a Stoccolma, Viola la maggiore, era difficile impedirselo, Viola quella perfetta, non voleva fuggire così, Viola che avrebbe saputo come comportarsi.
Forse l'unica azione possibile era parlare con lei. Già, ma cosa dire? E perché poi? Cosa avrebbe voluto ottenere?
Rosa guardava il vuoto cercando suggerimenti forse dalle mute lampade, e ancora quel senso di irrealtà invase ogni sua cellula, come sangue scorrendole nelle vene. Possibile che fosse la stessa persona? Meno di un anno fa quella foto sulla libreria. A metà tra Joyce e Stendhal. Il leggero vestito azzurro sulla pelle abbronzata, quel corpo da quarantenne che quarant'anni non li sentiva, quel sorriso puro e genuino come il sole pronto a sbocciare in ogni dove. Al braccio del marito nella sera di tarda estate, passeggiando tra le vie della città deserta.
Dopo quindici anni di matrimonio erano felici e spensierati, ciò a loro ovvio pareva. Lui noto avvocato, lei insegnante di ballo in una scuola in centro. Abitavano una villa vicino ai Parioli, e nulla più avrebbe chiesto dalla vita. L'amarezza di quando aveva scoperto di non poter aver figli era svanita, rimanevano solo un marito che amava e un lavoro meraviglioso. Anche il contrario. Le bambine, con le loro scarpette e i loro tulle le regalavano un briciolo di quell'amore materno che lei mai avrebbe provato; inventare le coreografie nei corsi serali la illudeva di poter volltegiare ancora, come se la sua gamba stesse bene. E poi le serate cui il marito la conduceva, cene di gala con illustri signori, per in tarda serata finire, loro due soli, in squallidi bar di periferia, a bere e parlare. Come due adolescenti innamorati, l'alba seduti su di un prato.
Niente più di tutto ciò.
Avrebbe voluto cancellare i suoi ultimi vent'anni di vita o poco più.
Tutto ma non lui.
Cominciò tutto che era una ragazzina.

mercoledì 10 luglio 2013

Ricominciare


Ricominciare, sembra strano. Di nuovo una lunga strada davanti, tra curve e salite, che mi aspetta. Eppure, il sapore della fine me lo sento ancora tra le labbra. Quel sapore che avevo agognato a lungo e che vedevo avvicinarsi a grandi passi. Ma sempre più pesanti e lenti.
Quando arrivò non sembrava vero, il riposo che desideravo, era lì, ma già mi dicevo, non durerà.
E infatti sono qui, di nuovo come davanti a un foglio bianco, la sfida si presenta di nuovo; adesso è lindo e pulito, lo dovrò riempire tutto.
Da questa prospettiva fa quasi un po' paura, i primi segni da tracciare, ecco, quelli là in mezzo, nel nulla sembrano come una macchia, sporcheranno.
Adesso è solo un'avventura da iniziare, è vergine e senza errore.. forse sto diventando vecchio, fino a qualche anno fa le avventura da iniziare erano cariche di aspettative e attese, adesso c'è solo la stanchezza e la speranza che finisca presto.
Questa è invece la gioventù che finisce.

lunedì 8 luglio 2013

Le due ragazze


Le ragazze continuavano ad aspettare, sempre più strette le une alle altre; intorno la stessa impazienza e lo stesso fremito che dominava nei loro corpi. Alcune se ne andarono, stremate, altre scaldavano i loro muscoli, altre ancora, infine, riconosciutesi da lontano, correvano a salutarsi con un misto di cordialità e inimicizia. Molte di esse erano pesantemente truccate, e Rosa, acqua e sapone, si sentiva molto a disagio.
"Questa è un'audizione per professioniste, non ci assumeranno mai."
Osservò Sara e subito si pentì delle sue parole, vedendo la speranza farsi ancora più fievole sul volto dell'amica. Aveva ragione, ma Rosa non intendeva disperare; sentiva le gambe dolere per le lunghe ore ferma in piedi e temeva che l'avrebbero tradita. Si fece nuovamente forza limitandosi a bisbigliare sottovoce
"Ce le faremo!"
Una voce si levò alle loro spalle, forte ed acida.
"Nemmeno quando entrai a far parte del corpo di ballo di Cats ho atteso così a lungo. Me ne vado."
Un mugolio d'assenso segui le parole della sconosciuta ragazza. Con una gomitata, Sara attirò l'attenzione della compagna.
"Che ti dicevo? Sono professioniste."
"Tra poco ci siamo."
Fu l'unica risposta che ottenne in cambio.
Lentamente avanzavano lungo il corridoio e la determinazione di Rosa, che prima si era fatta sconforto, iniziava ad assumere i tratti dell'emozione.
Non ti bloccare, non ti bloccare, non ti bloccare. 
Una voce dentro sé continuava ripetendo la litania, mentre Rosa grandi respiri inalava per mantenere la calma.
Quella mattina aveva ricevuto una lettera dalla sorella. Viola le raccontava di come era andato il viaggio, del suo nuovo lavoro così entusiasmante, della casa aziendale dove era andata a vivere, piccola ma decisamente carina, di quanto sono gentili ed educati gli scandinavi. Ripensando a quelle parole, Rosa cercava di assorbirne tutto l'entusiasmo e far suo l'ottimismo della sorella, sapendo che le sarebbero serviti.
Ancora qualche passo avanti.
Percepiva il suo corpo sudare e un lieve imbarazzo per l'odore non buono che probabilmente emanava.
"Non ti preoccupare" Sara con un sorriso stentato "siamo tutte nelle tue condizioni."
Ma anche nelle sue parole Rosa vedeva salire la tensione. Furono fatte entrare in uno spogliatoio, erano in dieci. Così potevano prepararsi. Rosa indossò il suo body e le scarpette imitando la sicurezza dei gesti dell'amica. Consegnarono loro un questionario da riempire con i propri dati, le esperienza passate e le motivazioni che l'avevano spinte là.
La condussero infine sul palco. Le luci erano accese, si soffocava. Una manciata di uomini, e donne, sedevano davanti con delle schede in mano.
Forse le loro.

venerdì 5 luglio 2013

Attesa


La sto aspettando, spero solo che non faccia tardi. Un tempo era puntuale. La pioggia gelida mi colpisce il volto e le spalle, e il busto e le gambe senza dar tregua neppure un minuto. Ho sempre più freddo e l'oscurità sempre più fitta.
Non so perché son venuto, perché ho ceduto alle insistenze, perché sono qui che aspetto e soffro per il freddo.
Devo parlarti.
Di cosa.
Devo farlo di persona.
Questo fare duro, scontroso e secco le è proprio, non mi ha né stupito, né offeso.
Potevo dire no, potevo rifiutarmi, sono ancora in tempo ad andarmene. E poi quella voce, quella che, talvolta dal cuore, talvolta dal cervello, talvolta dallo stomaco, continua a parlare. Per sempre chiederà cosa era, e perché non son rimasto.
Magari è importante, magari no, ma non ho voglia più di pentirmi per non aver fatto qualcosa.

mercoledì 3 luglio 2013

Il direttore


Il direttore della rivista sfoglia svogliatamente l'ultimo numero, posato sulla sua scrivania. Nel suo ufficio, a sera tarda, la redazione è quasi deserta. Inavvertitamente urta il bicchiere del caffè, ormai freddo, che si rovescia sulla moquette bodeaux. All'ingresso della stanza un divanetto con un tavolino basso, i resti di un bicchiere di burbon. Sulla parete destra una grande libreria è colma di riviste. Davanti a sé, oltre l'ampia scrivania, due poltroncine di pelle nera, non più nuove.
L'uomo trascorre in quella stanza gran parte del proprio tempo, è bravo e diligente nel suo lavoro, non è un caso che la rivista goda di un ottimo successo.
Ha già congedato la sua segretaria, scrive gli ultimi appunti, poi andrà a casa. Dalla strada giunge attutita una melodia rock.
Chiusa la rivista, la guarda con un sospiro sordo. La foto di copertina ha dell'incredibile, scattata con una maestria assoluta. Il suo fotografo più bravo, entrato nel team solo da pochi mesi, dopo un lungo corteggiamento. È un maestro, il direttore deve dargliene atto, in fondo è stato lui che lo ha voluto, a ogni costo. Adesso, però, deve fare i conti con l'uomo, con il presuntuoso, con l'irrascibile, con l'altezzoso. Si chiede, per l'ennesima volta, se il suo non sia stato un errore.
Il direttore è il principale di Giacomo.

lunedì 1 luglio 2013

Il verdetto


La mattina seguente si presentò di nuovo davanti al teatro, Sara con lei, e, con suo grande disappunto, nuovamente fu accalcata insieme a tante altre ragazze, molte delle quali le aveva già intraviste. Non dovettero attendere a lungo, ben presto le fecero accomodare nella platea deserta. Sul palco le stesse persone che il giorno precedente sedevano loro di fronte. Rosa guardò l'amica e le strinse la mano, nell'occhiata che ricevette in cambio sembrò leggere, rilassati, abbiamo fatto tutto il possibile, adesso dobbiamo solo aspettare.
Per l'ennesima volta prese la parola la governante inglese. Parlò a lungo della produzione e della tourneè imminente, enfatizzandone l'importanza. Passò poi a spiegare i dettagli più tecnici. Il corpo di ballo sarebbe stato composto da quindici elementi, cinque ballerini, già selezionati, e cinque ballerine.
Molte ragazze si guardarono intorno, erano circa un centinaio.
Tornato il silenzio la governante proseguì. Disse che in tournèè sarebbero partite quindici di loro, dieci titolari e cinque sostitute, e queste ultime non avrebbero avuto la garanzia di esibirsi.
Sembrava parlasse volutamente con estrema lentezza per perdere tempo e aumentare la tensione. Rosa la odiava, iniziava a sudare freddo.
Arrivò finalmente il momento di leggere i nomi delle prescelte.
"Le altre possono andare a casa."
Precisò la governante.
Non sarebbe accaduto neppure nei sogni, sia Rosa sia Sara si trovavano sul palco, ma qualcosa non quadrava.
Le ragazza erano ben più di quindici.
Alcuni bisbigli si levarono dal gruppo compatto, la relatrice li zittì nuovamente e continuò il suo discorso. Le ragazze prescelte, dal lunedì seguente avrebbero seguito, sei giorni la settimana, un corso di preparazione per imparare le coreografie, al termine del quale, lei, la responsabile del corpo di ballo, nonché loro prossima insegnante, avrebbe scelto le titolari e le riserve. Le ballerine avrebbero dovuto allenarsi sei ore al giorno e quei due mesi non sarebbero stati in alcun modo retribuiti. Nuovamente chiese a chi non se la sentiva di andarsene e questa volta tre ragazze si allontanarono dal gruppo. Tra queste c'era Serena.
Sara e Rosa rimasero.