La grande stanza caoticamente ordinata,
brulicante e indaffarata, gioviale e stressata, accogliente e
asettica, familiare sì e no.
Via Della Cenere, un viale alberato
della capitale, al numero 38 una palazzina di sei piani in stile
liberty. Quattro di questi piani, gli ultimi quattro di questi piani,
sono occupati dagli uffici della redazione del noto mensile.
Ore 12:30 di una tiepida mattina di
Maggio, andiamo.
Uomini brizzolati, ma dall'aria
giovanile, scrivono con la testa china e lo sguardo fisso nei loro
pensieri, giovani stagiste dalla pelle fresca scivolano tra le
scrivanie con tonnellate di fotocopie, due redattori chiacchierano,
in coda alla macchinetta del caffè. Imbevibile, come in ogni altro
ufficio di quella città.
Un telefono squilla e la risposta non
si fa attendere, squilla un secondo e il suono si perde tra i tanti
suoni del locale.
I colori sono chiari, la luce che entra
dalle veneziane accarezza i tavoli, lievemente, come per non essere
troppo invadente. Una segretaria prende appunti, al suo fianco, il
giornalista appena assunto rilegge il suo pezzo.
Lentamente, la redazione inizia a
svuotarsi.
Si allontanano a gruppetti, parlando
del più e del meno, lasciano vuote le scrivanie, che vuote non sono,
ad attenderli. Alcuni devono ancora alzarsi, intenti in qualche
compito impegnativo, altri sono già tornati, una riunione per i
redattori della sezione viaggi è in programma per le 13, due
ragazze, poco più che bambine hanno sgranocchiato una mela, nel
corridoio parlando fitto, passano due uomini, diretti non saprei, con
sonora voce commentano una partita di calcio.
Questa è la redazione in cui lavora
Giacomo, in un'imprecisata giornata di metà settimana.
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