mercoledì 24 aprile 2013

Continuo accadere


L'uomo si alzò e tornò a versarsi un altro bicchiere di burbon. Sedette nuovamente sul dondolo della veranda, tramontava piano e quella luce rendeva quasi bello quel modesto giardino. La vita scorreva attutita lungo la strada di campagna, lieve, per non disturbare.
Lasciò il bicchiere ai suoi piedi e si accese una sigaretta.
Era pensieroso dal mattino Manuel, tale nome portava l'uomo, non era troppo intelligente ma se la cavava abbastanza bene tra le piccole difficoltà che la vita gli proponeva.
Talvolta però si arenava, come oggi.
Come è possibile vivere per anni, una vita quasi, accanto a persone che dovrebbero conoscerti ma che in realtà niente capiscono mai, di quello che tenti loro di dire, poi appariva uno sconosciuto qualsiasi, uno a caso, una mattina di una qualunque primavera e in un attimo comprendeva quello che nella mente hai più nascosto.
Ciò era accaduto e Manuel non se ne dava pace. Ignorava però, che ciò nel mondo è un continuo accadere.

lunedì 22 aprile 2013

Angelo

Certe volte vorrei esser trasparente e volare, volare lontano.
Assistere al tuo risveglio e osservare mentre prepari la colazione.
Mi assicurerei che i tuoi figli vadano a scuola in orario e che tu arrivi puntuale in ufficio. Ti starei vicino, così il lavoro ti sembrerebbe meno pesante.
Ascolterei le parole dei tuoi colleghi per scoprire finalmente di cosa parlate e a pranzo sarei sempre là, controllerò che tu finisca tutto quello che hai nel piatto.
Nella sera seguirei tuoi passi precisi, non vorrei che tu ti perdessi, e con te rientrerei a casa.
Non darei noia, non farei rumore, rimarrei con te fino a quando, con la luce spenta, scivolerai nei tuoi sogni, nei quali vorrei esserci anch'io.
Poi me ne andrei quieta quieta, e anche così non ti direi le cose che non ti ho detto mai.
Io ci sono, son venuta alla fine. Mi senti?

venerdì 19 aprile 2013

La donna che legge


Una lampada illumina fiocamente la stanza. È vuota.
Un tavolino, con i resti di una cena.
Una poltrona scucita.
Un gatto dorme, su un tappeto sfilcacciato.
Oltre non si vede. I rumori della notte giungono attutiti.
Un uomo salì sul palco, spostò un poco la poltrona, avvicinò il tavolo al tappeto. La lampada stava bene al suo posto. Da quella distanza il gatto risultava chiaramente quel che era, un peluches. Anche se ben fatto.
Poi scese dal palco.
Ricominciarono i rumori di sottofondo. Da dietro le quinte entrò una donna, in pigiama. Aveva un libro in mano, si mise a leggerlo, seduta sulla poltrona. Di lì a poco altri attori fecero il loro ingresso nella scena, recitavano la loro parte ignorando la donna.
Due uomini ebbero una violenta discussione, lei continuava a leggere, solamente, nient'altro.
Lei era l'inerzia, la spettatrice passiva che non può intervenire.
La sua parte era quella più difficile.

mercoledì 17 aprile 2013

La melodia


Ricordo perfettamente quella notte.
Rincasai molto tardi, più tardi del solito; questo non mi mise fretta. Pedalavo tra le vie deserte e godevo della leggera brezza, dopo tutto il caldo della giornata estiva. L'aria delle notti di Giugno ha il profumo del sogno e il sapore della magia.
Giunsi a casa, in quegli anni abitavo lontano, un quartiere isolato, strappato al suo tempo. Lo avevo scelto perché tutti i palazzi avevano una loro corte, a me piaceva molto; nessuno riusciva a capire il motivo di questo mio attaccamento.
La notte era leggermente stellata, ma limpida, palpabile come una presenza.
Non avevo voglia di andarmene a letto, di chiudermi tra quella angusta quattro mura che avrebbero soffocato i miei sensi, e sopito la mia immaginazione, non avevo voglia di uccidere anzitempo quella nottata. Mi sedetti su di un pilastro, la schiena su di una colonna aderiva, appoggiarsi lievemente, è come tenersi su a vicenda.
Una musica lontana mi colpì improvvisamente. Era iniziata placida ma ancora non l'avevo colta. Era una musica delicata e selvaggia insieme, aveva odori e sapori esotici, ritmi di strumenti dimenticati, proveniva da ogni parte del mondo e insieme era là, concreta. Mi assaliva da ogni lato ma non ne capivo la fonte, completamente catturata dalle sue note.
E poi... fu come se ci fosse più luce, la musica illuminava quel cortile, non accennava a smettere, acquistava corpo, coraggio.
Rimanevo inchiodata, chiusi gli occhi, restare sola con quella melodia, mi cullò finché non scivolai in quieti sogni.
Il primo raggio di sole rischiarò il mio risveglio, la melodia rimaneva in me come un eco lontano.

lunedì 15 aprile 2013

Sul terrazzino

Si sentiva a disagio, in quella casa, si sentiva così, senza saperne il perché. Era grande, ed era stata arredata da una donna che non conosceva, che non aveva nulla a che fare con lei.
Era una casa fredda, era una casa che la respingeva, ovunque camminava in punta di piedi, sentendosi osservata.
Se mai aveva provato disagio in vita sua, era in quella casa, da sola, nei lunghi pomeriggi di quel settembre surreale.
Solo una parte le piaceva, invero, solo in una parte stava bene.
Quella camera in fondo, quella dismessa, quella che usavano come magazzino, sempre buia e polverosa. Non lo aveva scoperto subito, inizialmente non entrava mai là, poi, per trovare un martello, si trovò a spostare qual foglio di compensato.
Dietro, una piccola portafinestra, conduceva a un terrazzino, ancora più angusto. Una specie di sporgenza direi. Non sapeva da quanto tempo fosse chiuso, la polvere gliene dava un'idea. Si affacciava su una strada sul retro, una stradina privata di alberi e tranquillità.
Il sole fendeva le chiome e accarezzava lievemente la pelle, non aver paura, sussurravano le fronde.
Là stava bene, là rimaneva ore a pensare, là le venne in mente la soluzione a quel problema che, da mesi, la tormentava e che, altrimenti, sarebbe stato l'ultimo della sua vita.

venerdì 12 aprile 2013

Sam


Nessuno sa come si chiami per davvero. Lui risponde Sam, ma difficilmente sarà il suo vero nome.
Arriva in paese molto presto, sulla sua bicicletta verde che cigola un poco. Pedala lentamente, mette grande enfasi su ogni colpo della gamba.
Abita nella valle, dove di preciso non lo dice. Secondo molti è un randagio che vive un po' qua e un po' là.
Ha un età indefinibile, sembra essere vecchissimo ma è da molti anni uguale. Io lo ricordo da sempre.
Entra nel bar del paese e vi resta fino alle quattro, poi se ne va, il bar di Gino, quello vicino alla fontana, non quello nuovo dei due forestieri.
Beve un caffè quando arriva e un bicchiere di vino a mezzogiorno, ciò gli basta. Rimane a oltranza a far conversazione. 
Parla bene Sam, a tutti piacciono le sue storie. Sono storie di paesi lontani che dice di aver visitato. Nessuno gli crede ma va bene così, sono storie belle e questo basta.
Non ha mai soldi per pagare, lo sa il buon Gino, ma non importa neanche questo.
Alcune volte gli ha fatto lavare i piatti, altre volte ha spazzato le foglie dal portico, certi giorni qualcuno paga per lui, ma il più delle volte Gino abbozza e si accontenta dei sorrisi che sa far spuntare.

mercoledì 10 aprile 2013

Il Piacere secondo Barney Stinson - Reading Bad

Il Piacere secondo Barney Stinson - Reading Bad

Per caso


Successe per caso, come per caso tute le più belle cose accadono.
Erano i giorni in cui il ferro da stiro mi aveva abbandonato, la pila delle camicie continuava a salire e io continuavo a rimandare l'acquisto. Quel giorno mi decisi e andai al negozio di elettrodomestici, furono quei prezzi tropo alti, il commesso scontroso o la gente sempre tropo irritata. Non lo so. Uscii e entrai in un piccolo bar buio e poco invitante.
Dentro c'erano solo un vecchio e un bambino che giocavano a carte.
Ordinai una cioccolata e mi sedetti in disparte. Mentre mi stavo riscaldando con la mia bevanda il bambino venne timidamente verso di me.
Lei è una fata?
Chiese sottovoce. Sulle prime non intesi, pensai di aver capito male.
Lei è una fata?
Chiese di nuovo e, preso coraggio, mi confidò. 
Il nonno dice che le fate bevono la cioccolata per alimentare i poteri magici, lei è una fata, vero?
Vidi il vecchietto sorridere da lontano e annui per far felice il piccolo.
Non ho mai giocato a carte con una fata.
Sembrava un invito, non so se lo era, comunque accettai.
Il pomeriggio trascorse veloce col bambino che sognava di diventare un maghetto e il nonno che gli raccontava storie, inverosimili ma molto belle.
Io parlai dei miei tanti poteri e la sera, tornando sui miei passi, un poco magica mi sentivo davvero.
Può sembrare strano ma quando ripenso al bambino dai grandi sogni e al vecchietto con la candida immaginazione, mi sembra che ogni cosa sia in mio potere.

lunedì 8 aprile 2013

Non so


C'è qualcosa di strano in tutto ciò, anche se cosa non capisco.
Vorrei, ma.
Cosa mi blocca? Difficile rispondere.
Forse è solo pigrizia mentale o il sapere che così può andare. Non è il massimo, ma va bene ugualmente.
Calcolo, cinismo, pura macchinazione. Non m sento così gretta alla fine.
Certo che lo so, quello che mi proponi è la fine del mondo. Un desiderio che cresce dentro da anni e poi... mi manca il coraggio? Non voglio osare?
Entrambi direi, ma non ne sono sicura.
Rimango qui a distruggermi il cervello, aspetti una risposta che non so più darti.
Questa è una confessione a lungo attesa che, già lo so, nulla può, per lenire le tue ferite. Neppure le mie.
Soffriremo in silenzio, fino alla fine dei giorni, lontani o vicini non so.
Soffirremo senza la possibilità di aiutarci.

venerdì 5 aprile 2013

L'incubo


Mi sono svegliata con il cuore in tumulto e una leggera nausea. L'incubo aleggiava ancora nell'aria, malgrado ciò non ho acceso la luce, volendo godermelo appieno, non perdere neppure un briciolo di quella brutta sensazione.
Eravamo io e te, al solito. Non nel campo di grano dove ci incontriamo tutte le notti, in tutti i miei sogni, e spero anche nei tuoi. No, non questa volta.
Eravamo su un prato, sulla riva di uno stagno. Uno stagno ben strano a dire la verità. Lindo e limpido, lucente come un mare cristallino.
Un cerbiatto beveva, guardando le nostre persone, giubilo di colori e canto di uccelli. L'amenità di quel luogo era da brivido, nel contrasto con le nostra facce scure.
Mi volevi parlare, lo so, negli occhi te lo leggevo, ma non riuscivi ad aprir bocca, non volevi o non potevi. Non riuscivo a capirlo, con gli occhi mi imploravi di parlare io per te, ma neppure io riuscivo.
Siamo rimasti così a lungo, e nemmeno sfioraci le membra ci era permesso. Vicini e lontani, schiacciati nella morsa di un volere non nostro.
Poi d'un tratto mi son persa in un bosco e tu non c'eri. Cercarti volevo ma la paura m'immobilizzava, sentivo la tua voce chiamarmi, forse era nella mia testa soltanto. A lungo, tra le tenebre, aspettavo e la tua voce mai cessava.
Ancora adesso, e sono sveglia, me la sento nelle orecchie.

mercoledì 3 aprile 2013

Ikea


Sotto il fornello della cucina, una grossa busta Ikea. Nessun motivo preciso per essere lì, eppure tutto ciò aveva senso.
Quel mobile lo aprivo tutti i giorni e tutti i giorni mi andava di ricordare. Non di quella busta in particolare, ma dell'Ikea e di quello che fu per me negli anni.
Un particolare che passa senza mai andar via.
Dapprima fu un pomeriggio, timida e imbarazzata con il solo scopo di poter dire, sì anche io.
Poi fu l'amico e il suo nuovo lavoro, aneddoti raccontati nelle sere d'inverno.
Poi fu un ragazzo conosciuto appena, un auto troppo carica, di cose troppo inutili.
Poi fu la volta della mia prima casa, buste troppo pesanti nella calda sera estiva.
Poi ci conoscemmo e andai con lui, di nuovo senza motivo che fantasticarne uno.
Evitai di andarci, mesi più tardi, e forse dentro di me un motivo già c'era.
Adesso sono qua, in cerca del parcheggio, mia figlia dorme e non la vorrei svegliare. Sembra ieri, è la busta che mi ricorda che il tempo è sovrano.