venerdì 29 marzo 2013

Lunga attesa


Si trovò del tutto bloccato, inerme nella sua condizione. Non poteva far altro. Gli ordini erano stati chiari e netti, non era difficile. Aveva fatto quello che doveva e poi aveva aspettato l'autorizzazione per procedere. Questa autorizzazione non arrivava e ciò costituiva il problema.
Certo, se avesse avuto più libertà non avrebbe agito a quel modo, ma gli ordini erano fin troppo chiari e precisi.
Prostituzione intellettuale, una mera mano esecutiva, altro che libertà.
Ma il tempo stringeva e lui non poteva procedere. Già da prima non ce ne era tanto, adesso poi, con questa inutile attesa, sarebbe stato un tour de force. Incredibile riuscire a finire entro i limiti. Ma fino a che non arrivava il via libera non poteva. Odiò la sua posizione, per la centesima volta in quei mesi, e si sedette ad attendere.
Ormai lo sapeva, finché non aveva una risposta non riusciva a fare altro, non sarebbe riuscito ad organizzarsi in niente.
Sedette vicino al telefono, lo sguardo fisso al muro, armato della più grande pazienza.
Un certo languorino gli solleticava lo stomaco e si accorse che era ora di pranzo, ma non si alzò. Anche recuperare qualcosa da magiare era fuori dalle sue attuali capacità. Eppure dopo, nelle lunghe ore di lavoro frenetico e senza sosta, questo pasto gli sarebbe tornato uitle. E i suoi superiori erano probabilmente davanti a un tavolino. Non importava, non riusciva a concentrarsi su nient'altro non fosse l'attesa, la lunga attesa che caratterizzava quel suo dannato modo di essere.

mercoledì 27 marzo 2013

Maggy


Quella notte non dormì, come le precedenti. Appena la luce fece capolino tra le fessure della tapparella, con passo stanco si diresse verso il bagno. Formaggio, tutta la casa odorava di formaggio da quando Maggy l'aveva lasciato. Lui se ne rendeva conto e non riusciva a mandarlo via, era questo il punto.
Si bagnò la faccia e nello specchio vide solo l'ombra dell'uomo che era stato. Che era solo fino a poco tempo fa, finché c'era lei.
Maggy, ancora la sua saponetta colorata sopra il lavabo, ancora i suoi asciugamani con il ricamo in fondo, ancora il suo accappatoio di spugna pesante.
Quelle occhiaie lo facevano sembrare un fantasma, occhiaie blu sul bel viso sciupato.
Con gli occhi semichiusi aspettò che fosse pronto il caffè, anche il fischio della moka pareva un lamento. Prima che Maggy se ne andasse gli preparava tutte le mattine la colazione e lui la guardava, appoggiato alla porta, ebbro di gioia. Poi si sedevano e mangiavano insieme.
Uscì di casa come uno spettro e non gli interessava di tornarci presto. Quando lei lo aspettava a sera agognava il tramonto ogni minuto.
Nulla le rimaneva di tutto ciò che aveva prima, solo una pietra cui portare fiori.

lunedì 25 marzo 2013

Stephen King, tra gatti e biblioteche

Stephen King, tra gatti e biblioteche

Fuori posto


Entrammo e, a poco a poco, gli occhi si abituarono all'oscurità. Nella leggera penombra riuscivamo a distinguere chiaramente le sagome degli oggetti che ci circondavano.
Ricordo che solo una cosa mi colpì davvero, una cosa di cui mi accorsi all'ingresso e che mi accompagnò per tutte le ore trascorse all'interno. Mi scosse con violenza e la mente incominciò a vagare cercando di trovare un collegamento.
Fu l'odore, un buon odore, e nel contempo un odore sbagliato. Una palazzina disabitata da anni, una palazzina dimenticata, una palazzina diroccata non dovrebbe avere quell'odore. Dovrebbe essere muffa, chiuso e umidità. Stantio e olezzo. L'odore della vita lasciata morire all'interno di vecchie mura. Odore di cantine e di ricordi persi nel tempo, ma non era quello.
Odore di erba tagliata, odore di sole e di luce, odore dei pomeriggi di primavera di un'infanzia lontana. Odore di marmellata e di pic-nic su di un prato. Odore di un aquilone che non vuole ubbidire. Odore delle risate di ingenua felicità.
Era un bell'odore, denso di ricordi e di immagini lontani, ma quell'arroganza di trovarsi fuori luogo nauseava, puzzava ipocrisia.
Samuele estrasse una torcia e iniziammo la visita, Simone rimaneva in disparte come se non fosse interessato. Io, dal canto mio, mi chiedevo se anche gli altri percepissero quello stesso mio odore. Neppure Catia aveva detto una parola, lei che zitta non stava mai. Almeno a quell'epoca.
Salimmo lungo una scala pericolante e una serie di camere si aprì al nostro sguardo. Tutte distrutte. Macerie, calcinacci e qualche topo insofferente. Una era più grande delle altre, vi entrammo.
Era parimenti malmessa. I resti di un comò rimanevano, senza ragione palese, in piedi. Su questa intatta, senza motivo apparente, una bottiglia di vino coperta dalla polvere.
La pulii alla meglio e la presi in mano. Una buona annata di un buon vitigno. Non c'era alcun motivo per essere lì, intatta poi. Neppure noi quattro avevamo alcun motivo e neanche quell'odore, che persisteva.
Era come se quel luogo fosse il tempio delle azioni fuori posto.

venerdì 22 marzo 2013

L'altalena


Al grande albero c'era appesa un'altalena. Era la sua. Per ore si dondolava, scorrevano i pomeriggi, passavano le stagioni, quell'altalena era sempre con lui.
Qualsiasi problema l'altalena lo risolveva. La mamma arrabbiata, le note della maestra, la minestra cattiva. Non importava, piegava le gambe e andava più su.
Si sentiva vivo, dimenticandosi di esserci. In mezzo ai fiori in primavera, sotto il sole dell'estate, nel vento dell'autunno, con il freddo dell'inverno.
Poi comparvero le scatole e casa sua pian piano si svuotò, parlavano i genitori di cose che non capiva. Si rifugiava sull'altalena e stava bene, quello che non capiva non esisteva più
lo fecero salire in macchina, vedrai che bella la casa nuova. Era vero, era bella, era in una città diversa, più grande e più bella ancora. Ma non c'era l'altalena, pianse un poco, i primi tempi, poi non ci pensò più.
Si era rassegnato, ma non aveva dimenticato.
Divenne grande ed ebbe un figlio, e la casa divenne troppo piccola. Comparvero nuovamente le scatole e lui e la moglie parlarono di cose che il bambino non capiva.
Tornarono nella vecchia città, in una casa vicino all'altalena.
Il bambino era cresciuto con i videogiochi di guerra, non ci volle mai salire.
Gli faceva paura.

mercoledì 20 marzo 2013

Autobus


E mi ritrovo di nuovo a scrivere parole che forse nessuno leggerà.
L'autobus è pieno di volti della sera, la strada dritta sotto noi scorre.
Sbanda rallenta accelera di nuovo, noi tutti qua e l'arrivo ancora non lo sappiamo. Un volto mi guarda, è familiare, ma non so chi sia, ancora non so.
L'aria è fredda al di là del finestrino, allettante invita a nascondersi tra le ombre della sera.
Forse potrei non arrivare, scendere e nascondermi in bui androni della città che riposa. Potrei vagare, complice l'oscurità, e trovare una meta che non aspetto. Ma non sarà così.
Fischia l'autobus e i treni stridono, in questa strada così uguale, per ognuno diversa un po'.
Andare, venire, tutti hanno un dove, forse anche io, sparso in qualche posto.
Siamo arirvati? Questo è dunque il capolinea? A me non piace, sarò sincera, credo che rimarrò qua ancora un poco, a cercare una fermata che rechi il mio nome.

lunedì 18 marzo 2013

Gocciole


Erano biscotti, per la precisione gocciole. Mi guardavano dal loro contenitore arancione, nuovo nuovo e bello lucido. Suvvia tutta la cucina era rifinita di arancione quindi quelle gocciole erano esattamente dove dovevano essere.
Avevo molte cose in quel momento, men che mai fame però, per un arcano e oscuro, quanto prosaico e ovvio, motivo mi ritrovai a pensare a quale sapore hanno mai le gocciole.
Non lo sapevo, nella mia mente avevano molti sapori, ma nessuno in particolare. È forse sbagliato dire sapori, sensazioni appare più giusto.
Le gocciole erano il tardo raggio di sole della domenica mattina e il pigiama rosa di una bimba. Un termometro sul comodino e il vecchio vassoio rosso sbeccato, con il tè ormai tiepido. Le gocciole erano le colazioni da liceale con l'ansia per il compito e una musica martellante nelle orecchie. Il sapore del latte che non posso più bere. Le gocciole avevano il sapore di una città lontana e di una birra con sconosciuti nel cuore della notte. Le gocciole erano la scrivania della tesi, colma di appunti e briciole. Erano anche il profumo di un amore lontano, la penombra quieta di un'angusta cameretta. Furono anche quel viaggio, chilometri e chilometri nell'autostrada della notte.
Le gocciole del bambino cui davi lezione, le gocciole con la vecchia amica, rivista dopo tanto.
Prevalse la curiosità e ne assaggiai una, la porta si aprì in quel preciso momento e lei entrò.
Da allora le gocciole ebbero un solo sapore, il sapore del suo volto bagnato dalla pioggia.

venerdì 15 marzo 2013

L'addio


Una fioca luce illumina l'ambiente, sulla sedia pieghevole la schiena duole, continua solerte il suo lavoro.
Un foglio che il tempo aveva reso giallo, una penna da poche lire, come molte altre, una tovaglia con le macchie di sugo. Vecchie.
Erano anni che l'uomo non scriveva così tanto, gli doleva la mano, il cervello ancora di più. Trovare le parole non era facile, lo sapeva già da prima, gli era parso di averle tutte nel chiarore del tramonto, quando si era seduto.
Illuso, non vanno così le cose, i pensieri s'inceppano, proseguire è complicato.
Le gocce che dal rubinetto del bagno, da anni non si chiudeva bene, inesorabili scendevano gli ricordavano la sua solitudine, nella grande casa vuota.
Lei sarebbe tornata solo al mattino, finito il suo turno, lui non ce la faceva più, crollò, addormentato sulla tavola ancora apparecchiata.
Aprì la porta, la donna stanca con le pesanti occhiaie. Lo vide lì, con la testa abbandonata accanto alla lettera, terminata a metà.
La lettera in cui la lasciava.
Lei la lesse e la stracciò, poi fino al letto riuscì a portarlo, finalmente poté dormire. Furono sogni tranquilli..
Di quella mattina non parlarono mai, ma ancora insieme felici, vivono.

mercoledì 13 marzo 2013

La stanza


Era comica la situazione, davvero non pensavano di finire a quel modo.
Tutto doveva concludersi in un paio di giorni, di questo erano sicuri. Lo erano stati sempre. Quella camera doveva servire solo per appoggio, niente di più.
Vuoi vederla, aveva chiesto lui.
Lei aveva scosso la testa e quel chilo di lacca che si portava sempre dietro si era fatto sentire. Come ogni volta. Lui storse il naso. Come ogni volta.
Poi dovette vederla, altroché, e più di una volta, dovette prenderci confidenza.
Le coincidenze furono molte, avete presente tutta quella serie di circostanze per cui non sembra vero, non sembra possibile che stia accadendo tutto insieme, tutto a quel modo? Andò proprio così.
Si ritrovarono senza un posto cui stare e andare là fu l'unica soluzione possibile, per entrambi.
Trascorse un mese ed erano sempre là, quella stanza era diventata una sorta di casa per loro. Non vi era niente, di loro, solo l'essenza, quella sorta di profumo che non si sente ma che impregna ciascuno di noi; si era trasferita a quegli squallidi muri.
Pochi oggetti personali sparsi in giro completavano il quadro.
Anche le risposte attese rimanevano nell'aria e quel senso d'instabilità, che da sempre gravava sulle loro vite, non si era ancora dissipato.
Ripartiremo, pensava lei a ogni risveglio, ma ogni giorno le sembrava sempre più lontano, impossibile, inutile, il partire, il lasciare quella stanza.

domenica 10 marzo 2013

La torta dei 3

La torta dei 3

Il concerto

Paolo entrò nella stanza e le fece volare un cartoncino da sopra la testa. Con lentezza micidiale atterrò sul tavolo, da lì era solo un anonimo foglio come altri uguali.
Il biglietto del concerto che ti sei persa, le disse e se ne andò.
Ricordava quella sera, lontana, la ricordava con affetto, seppure ai tempi vivesse nell'amarezza.
Giorgia lo prese in mano per guardarlo bene, non aveva nulla di speciale, anonimo biglietto di un concerto come tanti.
Paolo l'aveva lasciata, voglio il mio tempo, aveva spiegato. Ma gli occhi erano bassi e lei non aveva mai creduto. Un'altra donna, dicevano le sue mani, rigide nel tener quelle di lei. Aveva letto così e crederci non voleva, viveva nel dubbio, nel desiderio e nell'incertezza e quei giorni non passavano mai.
Che lui andasse a quel concerto ne era sicura, era una certezza che non aveva bisogno di prove.
Prese la macchina e partì, verso quella discoteca fuori città. Era sabato sera e pioveva, ognuno aveva un programma per quella notte. Lei voleva solamente rivedere quell'uomo che un tempo era suo e adesso non sapeva di chi.
Le si fermò l'auto e altro non potè che chiamare l'assistenza. Lui era lontano e si divertiva, non voleva chiamarlo e ricordargli della sua presenza, così, in panne.
Attese a lungo e tra le trame di quella pioggia fitta vide le linee del suo futuro. Adesso sapeva cosa fare.

Moby Dick, sicuri di conoscerlo?

Moby Dick, sicuri di conoscerlo?

venerdì 8 marzo 2013

Donna del passato


Erano trascorsi molti anni, e molte cose erano cambiate da quando prese quella decisione così difficile, la più difficile in assoluto.
Erano stati anni belli e dalla vita aveva ottenuto tutto quello che aveva desiderato e anche più, ma, c'era un ma.
C'erano notti in cui non riusciva a dormire e in cuor suo il tarlo rodeva e rodeva, mai sazio di far male, c'erano momenti in cui le sembrava di udir quella voce, confusa tra tante altre, quella voce dimenticata e da dimenticare ancora. C'erano giorni in cui si ricordava di altri giorni e un groppo alla gole le impediva il respiro.
C'era, cosa c'era poi?
C'era un marito che amava, c'erano tre bambini che crescevano belli e sani, c'era un lavoro che le piaceva, c'era una casa grande e accogliente e c'era una donna del passato che tentava ancora di sopravvivere.

martedì 5 marzo 2013

Addio a Chàvez, tra populismo e dittatura

Addio a Chàvez, tra populismo e dittatura

Seconda vita

Mi piace da sempre, ritrovare appunti che il tempo aveva fatto suoi. Ritrovarli dopo anni e provare a ricordare, e cercare di capire, e imparare a immaginare. Mi piacciono le pagine ingiallite e le parole che si distinguono appena, dove la fantasia tutto può ancora.
Sono storie di momenti passati, istantanee di mattine, pomeriggi e sere e notti pure, con la penna nella mano e le gamba accavallate, come adesso.
Io li appunti non li ricordo mai, però i momenti, quelli sempre.
Ricordo il maglione verde bottiglia, il freddo di quella sera, la luce gialla di quella notte che non finiva mai, ricordo tavoli ingombri e rumori dalla strada. Vivono ancora, attuali, tra le righe di frasi senza più perché.
Già, perché conservarli? A che fine leggere "16:00 casa di Gigi"? Chi è Gigi e dove abita? In quale città? Non lo so più, posso inventarmelo, nessuno me lo vieta. È una vita diversa e nuova, è una seconda vita di cui non saprei l'esistenza.

Emma e Black di nuovo insieme | noelife.it

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Avvocati per animali | noelife.it

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Elezioni e parallelismi. Italia e Kenya

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domenica 3 marzo 2013

16 Gennaio

Maria si svegliò di buon ora e si vestì con cura. Preparò un caffè e lo bevve tutto, poi ne mise a fare un altro, subito dopo.
La casa era vuota, come ogni mattina, ma le pareva strana, 16 Gennaio, lo aveva segnato sul calendario con un cerchio rosso e un punto esclamativo per ricordare.
Tra tante altre era una data speciale, doveva però ancora scoprirne il motivo. Aveva chiesto un giorno di ferie per essere libera da ogni incombenza.
Iniziò a rassettare l'ambente, anche se era tutto in ordine e lindo.
La telefonata l'aveva ricevuta mesi prima da una voce sconosciuta ma familiare, suadente e gentile da non farla riattaccare subito, come di solito faceva.
Non le aveva detto però il nome, prima si era accertato che fosse lei. Molte domande di un tempo remoto, accenni precisi a fatti lontani.
Chiunque fosse doveva averla conosciuta davvero bene, un tempo, oppure conoscere qualcuno a lei assai vicino.
Fu molto bravo ad evitare le sue domande, le disse solo di attenderlo il 16 del mese Celeste, come lei chiamava Gennaio da bambina, attenderlo e aspettare una bella sorpresa.
Maria era impaziente e un po' arrabbiata, se il suo ospite avesse tardato ancora il caffè si sarebbe freddato.
Lo squillo alla porta la fece sobbalzare.

La pagina che non c'era

La pagina che non c'era