giovedì 28 febbraio 2013

Butto guaio

  • ho freddo.
  • Anche io.
L'uomo giovane ritirò ancora di più il collo dentro il pesante cappotto nero e accese una sigaretta.
Quello più anziano, che era al posto di guida, fece lo stesso.
Avevano parcheggiato nella viuzza laterale alcune ore prima ed erano ancora in attesa. Erano arrivati al calar della sera, adesso la notte era fonda.
Il quartiere residenziale dormiva placido, tutte le luci delle villette rimanevano spente. Ogni tanto, un auto passava veloce. Nel vialone poco lontano.
  • Sicuro che è qua?
  • È qua, non ti agitare. Prima o poi ci farai l'abitudine.
Il giovane ne dubitava, però tacque. Lottava per non addormentarsi, non aveva mai pensato di dover attendere così a lungo. Il suo compagno era un taciturno, non se la sentiva di incominciare una conversazione. Cercava di mostrarsi a suo agio, ma tutti i suoi sforzi parevano vani. Lo sapeva bene, non aveva bisogno delle occhiate di biasimo che l'altro gli mandava ogni poco.
Fu l'alba e la stradina divenne bellissima, con flebile chiarore di un buongiorno delicato. Qualche tapparella iniziò ad alzarsi, un gatto bighellonò per la via.
L'uomo anziano mise in moto senza dire niente.
Sarebbero tornati l'indomani, già lo sapeva. Iniziò a pensare di essersi cacciato in un brutto guaio ma ormai era tardi.

martedì 26 febbraio 2013

Gianni


Si chiamava Gianni. Gli venne in mente quella note in cui il sonno non voleva venire. Se ne ricordò come fosse ieri. Michele stregò la notte con quel fatto lontano.
Aveva diciotto anni e ancora riusciva a gioire per nulla. Gianni e lui erano inseparabili, tutti gli amici scherzavano di questo, tutti gli amici lo conoscevano. Che bello quel periodo, se avessi tempo ve ne parlerei di più. Volarono quei mesi, come altri mai nella sua vita, furono gli unici mesi in cui non si divisero mai. Poi Michele capì che era tempo di dire basta. Era finito il tempo per Gianni, solo nei giorni più importanti sarebbero stati insieme.
E così fu.
Gianni andò con lui alla maturità, in quel viaggio in camper con tanti amici, Gianni c'era al suo matrimonio e anche il giorno in cui comprò casa. Nacquero i suoi figli e Gianni era lì, e in tutti gli altri momenti che lo segnarono davvero.
I vecchi amici lo incontravano e sempre gli chiedevano, ma lui dov'è? Nessuno se ne era dimenticato.
Andò in India e Gianni con lui, andò in Senegal e accadde lo stesso.
Poi fu la volta della Cina, Gianni c'era ma non tornò a casa. Michele se ne accorse solo in aeroporto e la consapevolezza si fece strada tra i pensieri.
Non aveva perso Gianni, aveva perso gli ultimi barlumi di spensieratezza ormai smarrita, nulla poteva riportarla indietro.
Gianni, il suo accendino Gianni, era rimasto in Cina, e la gioventù di Michele con lui.

I delfini hanno un nome | noelife.it

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Una casa per gli orsi malesi | noelife.it

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domenica 24 febbraio 2013

Cornelia, esempio immortale

Cornelia, esempio immortale

GossiPolitica: la farsa italiana è di scena

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La discarica

Aveva una giacca a vento marrone e il vento gli scompigliava i lunghi capelli grigi. Con un'età indefinita, in piedi vicino al piccolo gazebo, un mozzicone di sigaretta nella mano callosa e il suo piccolo bastardino che gli saltellava intorno.
Non aveva un nome, il cane, e, in fondo, non era nemmeno suo. Un giorno era comparso lì e di una carezza aveva fatto la sua casa. Compariva ogni mattina con la sua andatura sghemba e, fattosi buio, si ritirava tra le ombre della notte. L'uomo non sapeva dove andasse a dormire e, in fondo, non gli interessava. Gli faceva un poco di compagnia nei giorni più vuoti e questo era.
Alcuni giorni erano mortali, non passava neppure un auto. In altri andava meglio, arrivavano in fila dalla città a pochi chilometri e lasciavano i loro ferri vecchi. Lui indicava i cassoni giusti, dava una mano a scaricare anche.
Guardava le facce, studiava i sorrisi, calcolava gli accenti. Si sentiva in compagnia, anche solo per un minuto.
Poi le auto ripartivano, riportavano i guidatori alle loro vite, belle, brutte e mediocri. Lui rimaneva là con il suo cane che non era nemmeno suo, il suo mozzicone sempre a metà e quel volto che non conosceva tempo. Da anni era questa la sua vita.

martedì 19 febbraio 2013

La neve


Chi ha detto che la neve non fa rumore? Bhè, magari non l'aveva mai vista, la neve. O mai sentita.
La neve è il rimbalzo ovattato sopra la tenda, è il raschiare sordo delle pale, la neve è il passo leggero della meraviglia delicata di un bambino. La neve è l'impropero sottovoce del guidatore bloccato, sono le urla di divertimento dei ragazzi nel prato.
La neve sveglia con il silenzio, ma nelle orecchie una melodia lontana: la neve è un rumore che assomiglia a una forma indistinta.
La neve è bianca? Ma non è vero. Il cielo è bianco semmai, quando nevica fitto, le neve risalte e un colore proprio suo non esiste. Giallo del sole, rosso del sangue, blu del cielo. Sebra grigia, quando a grossi fiocchi viene giù, ma vi sbagliate; neppure grigia uando sporca è rimasta giorni sulla strada.
La neve ha il colori dei sogni del bambino e dei ricordi del vecchietto.
Oggi nevica, non vedo colori, non sento rumori, forse farei megio a ricercare la ia meraviglia.

Puntata Lid 19/02

Puntata Lid

Una brutta notte per Luna | noelife.it

Una brutta notte per Luna | noelife.it

Rischio ipotermia per gli istrici | noelife.it

Rischio ipotermia per gli istrici | noelife.it

Intervista Bobba, Tisselli, Besana

Intervistona!!

lunedì 18 febbraio 2013

Il racconto

La donna camminava con passo svelto e sicuro, incrociando altre donne come lei, rallentate dalla borsa della spesa, incrociava uomini in giacca e cravatta al rientro di una giornata in ufficio, incrociava ragazzi a gruppetti lungo la via.
Non prestò a nessuno la minima attenzione, proseguì per la sua strada, precisa e sicura. In fondo alla via il passaggio era meno intenso, luci spente alle finestre e silenzio nella sera. Girò a sinistra e si perse ancora di più nel nulla.
Rocky le trotterellava vicino, silenzioso e zampettante, come un bassotto qual era. La donna accelerò l'andatura, girò di nuovo a sinistra, procedette un poco poi si sedette su una vecchia panchina arrugginita.
Sembrava che conoscesse bene la zona, come il cane sembrava che conoscesse molto bene la sua parte. Non si mise a scorrazzare felice ma si accucciò ai piedi di questa.
Rimasero un po' in silenzio, poi il cane alzò la testa, molto, molto lentamente, e la guardò.
Lei non aspettava altro.
"Sai" gli disse carezzandogli il pelo "la prima sera mi portò qua. Non era così abbandonato come ora, era bello, era primavera ed era tutto un fiore".
Rocky non la guardava più, ma ormai era partita, sarebbe arrivata fino alla fine della storia. Era così tutte le sere, da anni che più non si contano.
Almeno, quella sera non pioveva.
Pelle bianca

domenica 17 febbraio 2013

Matilde di Canossa

Matilde di canossa

La Poesia

Parlare di politica, in un locale fino a sera.
Camminare nel silenzio, di una mattina di neve.
Guardare fuori da una finestra, senza nessuno da osservare.
Correre in un parco, pieno di bambini felici.
Far impazzire una cameriera, solo perché ha il viso antipatico.
Dormire su un divano, col cane alle caviglie.
Aspettare Natale, lontano da casa, lontano da te.
Bere un caffè insieme a sconosciuti, bere una birra insieme a un vecchio amico.
Riscoprire un segreto, da due anni sopito.
Guardare un camino crepitare nella sera.
Attender l'alba, prima di dormire.
Sognare il tramonto, nelle notti più belle.
Una stella cade, ma io non la vedo, vedere la poesia dove non c'è.

Caro Libraio, ti scrivo...

Caro Libraio, ti scrivo...

venerdì 15 febbraio 2013

Bussing

Bussing

Quanto valgono le orecchie di uno scrittore?

Quanto valgono le orecchie di uno scrittore?

Zingarettopoli, puntata terza


Zingarettopoli, puntata terza

La caccia alle streghe continua

La caccia alle streghe continua

Strana fretta in Vaticano

Strana Fretta in vaticano

Onirico


Un caldo onirico avvolge tutto il corpo, parte dai piedi e risale, immobilizza le gambe, avvinghia il busto con invisibili quanto mortali spire, le braccia cadono inerti senza più altra possibilità. Arriva alla gola e qui esplode, un urlo che mai si librerà, il respiro affannoso ormai. Vorresti chiedere aiuto ma non puoi.
Il volto è una maschera, rossa, gonfia, sfigurata da questa fiamme che non vedi. Ma ci sono, le senti, sono li con te. La bocca è asciutta, gli occhi bruciano, dove sono finite le lacrime che potrebbero lenirli?
Vedi bianco, a tratti, svenire è vicino, lo sai, lo temi, lo vuoi, anche, ma ne hai paura.
Non si deve svenire in questa brace, o sì?
Senti voci, non sono vicine, non sono lontane, sono là. Semplicemente una lingua che non conosci, la musicalità di un ritmo che non riesci a seguire, suoni aspri, suoni melodici, suoni lunghi suoni aspirati. Si accavallano, come studiata precisione.
Niente intorno a te ha senso, le immagini sono confuse, ma non ha importanza. Un particolare ha colpito la tua vista, adesso esiste solo quello. Sono scarpe da donna, alte scollate, volgari. Ti ripugnano quasi, ma non puoi fare a meno di fissarle. Intorno qualcosa succede, ma non è per te. Tu prosegui il tuo viaggio, con quel caldo, con quei suoni, con quelle scarpe. E basta.
Arriverà?

mercoledì 13 febbraio 2013

Zingarettopoli

ZINGARETTOPOLI

Per un ora


Era una donna anziana, con un grazioso cappellino rosa e delle scarpe fuori tempo. Entrò nella metropolitana con passo incerto, cercando con gli occhi un posto cui sedersi. Non c'era.
Un ragazzo si alzò per farle posto, un sorriso bastò per ringraziarlo.
Dalla borsa consunta prese un libro sgualcito e se lo appoggiò sulle ginocchia. Indossò un paio di occhiali di tartaruga, molto, ma molto lentamente. Aprì a caso e iniziò a leggere.
Erano poesie di un artista dimenticato, erano poesie della sua gioventù, erano poesie che la facevano stare bene.
Lesse due pagine, poi ripose tutto, gli occhiali in tartaruga e il libro sgualcito, di un edizione assai vecchia e sconosciuta.
Scese dalla metropolitana con passo sicuro, salì le scale fischiettando con nuova energia, percorse la via a testa alta guardando le vetrine. Ticchettavano i tacchi delle sue scarpe fuori moda.
La donna era malata, e malata grave. Lo aveva detto il medico poche ore prima, le prospettiva non sono buone. Ma questo lei già lo sapeva.
Era bastata una poesia per tornare giovane e sana. Almeno per un'ora.

martedì 12 febbraio 2013

Piffero


Tutto fu molto strano.
La via era stretta nel piccolo paese di mare, di cui non ricordo il nome. Era arroccato su un promontorio, questo sì.
Una via vecchia con i muri di pietra, dove solo i vecchi possono abitare.
"Mi scusi signora".
E lei si voltò. Chiesi allora l'indicazione che mi serviva.
La donna arricciò il naso e disse qualcosa, non so perché, non l'ascoltai. Guardavo quegli occhi, così vivi e azzurri, immersi in quel mare di rughe infinite.
"È lontano, venga a prendere un tè".
Era freddo ed accettai. La scala, ancora in pietra, scivolava di ghiaccio. Arrivai fin su con fatica.
"Già la scala" commentò lei "non è così comoda".
Ma si muoveva sicura, nelle vecchie gambe gonfie.
Entrammo in una stanza buia, ma arredata con cura. Soprammobili profumavano di gusto antico.
Dal retro un forte aroma invitava, e una pentola sul fuoco bolliva.
Cuoce il pranzo?
Sì, è per Piffero.
Dunque pensai che fosse il cane, ma tracce non ve ne erano. Né certamente un giardino, nella stretta strada di pietra.
Chiesi, ma disse che no, scosse la testa lentamente, non era il cane. E quasi rise della mia idea.
"Adesso è fuori, la mattina girovaga".
Sarà il gatto, mi venne in mente, non chiesi più.
Conversammo, e poi.
"Venga glielo presento" spenta la zuppa sul fuoco. Teste di pesce in un brodo denso, per un gatto, è ovvio.
Uscimmo nel terrazzo in pietra,gelato, e la donna fischiò. Forte e nitido, un fischio da uomo. Fischiò e nitido il suolo volò via, per ritornare sulle ali di Piffero che si appollaiò sul suo braccio.
Beato, mangiò la sua zuppa.
Quello era Piffero, l'anziano gabbiano di compagnia.

Zingaretti, nuovo scandalo nel Lazio

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lunedì 11 febbraio 2013

Connivenza poteri

connivenza di poteri

Ricordi


Mi sveglio, dove sono?
È buio, non lo so. Vorrei, vorremmo, ma sì. Non ricordo perché, non ricordo quando né come. Ma qualcosa deve essere successo per davvero.
Non riconosco questo letto su cui mi trovo, nel buio non vedo nulla.
Niente è inutile star così.
Forse è meglio rimettersi a dormire. Ma il sonno non viene, i ricordi affiorano, ma ricordi non sono. Immagini sconnesse che non mi appartengono.
Chi è quella bambina che corre felice nel prato? Chi è quel bambino gioioso sull'altalena? Il ragazzo col pallone? La donna in costume al sole? Non conosco l'uomo nell'elegante vestito grigio, né la signora con le buste della spesa. Una vecchia davanti alla Chiesa, un anziano sul dondolo, la pipa in bocca.
Guardo le vostre facce lontane e la memoria mi abbandona. Vi conosco? Non lo so, non so neanche più che sono io. Invoco il sonno e, con esso, le risposte.

Lieto fine per i cavalli sequestrati nel Lazio | noelife.it

Lieto fine per i cavalli sequestrati nel Lazio | noelife.it

domenica 10 febbraio 2013

Frida kahlo

Frida Khalo

Rumore


Questo rumore assordante che non mi permette di fare niente.
Entra nella testa, paralizza le mani, blocca i pensieri.
Cambio stanza ma è inutile, persiste, forse ancora più forte di prima.
C'è molto lavoro da fare, scadenze che premono, devo trovare il modo. Poi d'impprovviso svanisce ed è il vuoto, stavo abituandomi, ora mi sento sola, vulnerabile, rivoglio il mio rumore.
Come se lo avessi chiamato, ricomincia, più intenso di prima, e l'impossibilità di fare alcunché si riappropria della mia persona.
Mi arrendo, aspetto che esso cessi definitivamente, ma il tempo non scorre, le lancette ferme non ticchettano più, ferme, bloccate a bloccata nel nulla, attendo.
Maledetta aspirapolvere.

giovedì 7 febbraio 2013

La cittadella delle armi

The citadel

Scrivere


Scrivere ah, ci vuole poco, è una semplice parola.
Cosa sarà mai scrivere, riempire d'inchiostro bianche pagine ingiallite, consumare mine di matite stanche, ticchettare nel silenzio della sera.
Non lo so cos'è. È di per sé diversa da sé stessa. Sempre. Comunque.
Magari hai un'idea e di getto la butti giù, non hai appigli, niente cui attaccarti, ma lei eccola lì, compare sul foglio ti guarda e saluta l'immagine sua nella tua testa e non sai come ha fatto a scivolare lì.
Oppure la conosci. La tua idea, ne sai l'inizio e ben chiaro è il traguardo cui arriverai. Il percorso è tracciato, limpido appare, ma la penna ti porta altrove. Rileggi un pezzo che non sapevi di possedere. Aspro combatte con quel che erano i tuoi pensieri.
E poi c'è quando, ed è il più bello, tu non sai proprio nulla. C'è una frase, dentro te, che t'invoglia, che t'invita, che accarezza la tua mano. E da questa frase nasce un mondo. Tu lo segui, non puoi far altro, non sai dove ti condurrà. Ma il mondo è là, è nato da quella frase, da solo si è fatto spazio sul foglio bianco.
È proprio allora che scrivere diventa qualcosa in più.

mercoledì 6 febbraio 2013

Simone


In cantina ha un ombrello rotto, ma non lo butta, potrebbe servire. Una lampadina fulminata, non si sa mai, un album di fotografie, in un cassetto che non apre. Su un foglio ha scritto un importante indirizzo, l'ha perduto, forse per sempre.
Vive in una casa, in un vecchio condominio, vicino ad altri condomini, simili al suo. La finestra della camera è rotta, la tiene insieme con dello scotch. Un anta dell'armadio non si chiude, ormai è anni che è così. Su quella sedia tiene solo riviste, ha una gamba zoppa.
Ha una moglie che lo tradisce. Un vecchio cane che gli mangia le pantofole. Un amico che non sente da anni. Desidera dei figli che forse non avrà mai.
Lavora in una fabbrica che sta fallendo da sempre. Ogni mattina esce, senza troppa voglia, senza troppo rimpianto. Ogni sera torna a casa, misurando i passi lenti.
La domenica passeggia per le vie del centro, incontra sempre le stesse facce, che non saluta mai. Si ferma nello stesso bar per bere un caffè, e già sa che non lo apprezzerà.
Mangia cibi precotti, arrosti riscaldati e quel povero pomodoro rimane là, da solo nell'immensità del frigo vuoto.
Si chiama Simone, è un uomo come tanti, sospeso in una vita più stretta di lui.

Il mio voto conta

Il mio voto conta

Allarme Gorilla | noelife.it

Allarme Gorilla | noelife.it

Elton è vivo! E ha una nuova padrona | noelife.it

Elton è vivo! E ha una nuova padrona | noelife.it

La Biblioteca? En plein air!

La Biblioteca? En plein air!

martedì 5 febbraio 2013

Svegliarsi


Svegliarsi la mattina col profumo di caffè. Svegliarsi la mattina con la fragranza delle brioches. Svegliarsi la mattina con la luce che ti accarezza.

Svegliarsi la mattina ma gli occhi non si aprono, impastati ancora degli incubi notturni, la luce che non vuoi vedere, fuori significa vita, dentro è una fredda lampadina asettica che ti fissa e ti scruta.
Il caffè è finito, mangiare non vuoi, il letto è scomodo, non ti accoglie più, ma non pensi ad alzarti. Le difficoltà sono troppo grandi, gli ostacoli insormontabili, tu sei inerme, del dormiveglia prigioniero.

Il profumo dei fiori, il candore della neve, il romanticismo della pioggia quando ticchetta leggera, ti sei dimenticato quanto li ami, ignori la loro esistenza, fai scudo col lenzuolo, ingenuo, un palliativo della sicurezza che non hai.
Ingenuo sì, siamo tutti un po' ingenui quando la vita non ha ancora ripreso a scorrere in noi e il sonno già ha dato il suo addio.
Ma... dove sono le ciabatte?  

lunedì 4 febbraio 2013

Un giorno così


Era uno di quei giorni che scorrevano piano, come un fiume che ha già visto la foce e non ha altro interesse che indugiare un altro po'.
Era uno di quei giorni in cui i colori sono più accesi, i suoni più forti, i bagliori più accentuati.
Era uno di quei giorni in cui tutto sembrava essere sotto controllo, gli oggetti ai loro posti, anche il cane sonnecchiava beato, e niente pareva disturbarlo.
Era uno di quei giorni senza vento, con il sole che splendeva senza bruciare, la mattina cedeva il passo al pomeriggio scansandosi appena. Era uno di quei giorni in cui i pensieri si fissavano e lei poteva inseguirli senza temere di perdersi lontano.
Era uno di quei giorni in cui i ricordi non facevano male e poteva fantasticare sul futuro, senza rischio di perdersi il presente. Anche il duro pavimento sotto i piedi era meno freddo e il caffè non bruciava.
In quei giorni dimenticava la torta in forno e non carbonizzava, lasciava l'acqua aperta e non straripava, le cadeva un bicchiere e non si rompeva.
Era un giorno così.
Squillò il telefono e tutto d'un tratto nero divenne il mondo, accelerò di colpo fino a farle male. Quanto potere che hanno, poche parole sbagliate, in un giorno così.

Che vinca il più brutto?

Che vinca il più brutto?

domenica 3 febbraio 2013

Suzanne

suzanne

Vestito leggero


Giunse in stazione vestito leggero, sebbene facesse già molto freddo. Si fermò in un bar a bere un caffè, ed era l'unico senza fretta, l'unico senza valigie, l'unico vestito così leggero.
Bevve il caffè. E lo fece con molta calma, mescolandolo a lungo tra le spinte di chi fretta aveva.
Uscì e si mise a guardare il tabellone.
Rimase molto, con gli occhi inchiodati su quelle lettere luminose. Il terzo treno, quello che giungeva da più lontano, sarebbe arrivato tra trenta minuti. Non c'era ancora il binario, egli attese paziente, mentre il ritardo cresceva.
Dopo mezzora, di attesa ancora mezzora. Comparve un binario. Il diciassette. Si recò là e sedette su una panchina gelata.
Stava immobile, fermo nell'attesa, con quella giacca a vento consumata. Ma non sentiva freddo.
Non sembrava neppure impaziente.
Il treno arrivò. Gran stridore di freni e rumore di vecchiume. Con uno sbuffo le portiere si aprirono e frotte di viaggiatori uscirono fuori. Valigie pesanti, borsoni gonfi, bauli carichi. Chi si sbracciava, chi cercava qualcuno, chi smarrito tentava di liberarsi dalla calca.
Saluti, baci, strette di mano, abbracci a lungo rimandati.
Lui, immobile, li guardava tutti sfilare, sembrava non avesse espressione.
Ancora pochi minuti e la banchina fu deserta. Rimase solo lui e la consapevolezza che, anche oggi, lei non era venuta.
Si avviò verso casa.
Forse non sarebbe venuta mai.

Momenti di Gusto

Momenti di Gusto

Appuntamento da Hugo?

Appuntamento da Hugo?