lunedì 10 dicembre 2012

Una visita inaspettata


Sii forte, ragazzo.
Calligrafia precisa, morbida, armoniosa. Sembrava più femminile, non scritta da un uomo; eppure così sicura, così perfetta.
Questo messaggio è stato un dono prezioso, inaspettato.
Era passato precisamente un anno, dal giorno in cui persero la vita i miei genitori, alle dieci della sera il bar già vuoto, eccetto me.
Una sera lugubre, un'aria spiacevolmente frizzante, rara da noi; la sera adatta per il dolore di un ragazzo.
Ero, come ho detto, solo. Non posso biasimare i miei amici, quel giorno si erano fatti vivi tutti, nessuno escluso; più di metà della popolazione di Laguna era entrata nel locale, anche solo per un caffè, per una scatola di caramelle. Eppure era diverso. Nessuno era entrato per caso; tutti avevano la loro scusa, i miei clienti, tutti quelli che la sera si fermavano anche solo per un saluto; nessuno aveva scherzato, nessuno si era trattenuto più del necessario, nessuno, dopo una furtiva occhiata al mio volto, aveva osato alludere a niente. Sembrava che tutti si fossero dati appuntamento per starmi vicino, e non me lo volessero far sapere, oppure non se la sentissero di farlo fino in fondo.
Laura, invece, non era apparsa. Neppure una telefonata che, d'altronde, ero stato il primo a non fare. Ma lei è mia sorella, capivo il suo contegno, fin troppo bene sentivo, dentro di me, le sue motivazioni.
Forse insieme ci saremmo consolati, forse non saremmo stati abbastanza forti.
Mentre meditavo, su questo ed altro, una figura, che non avevo sentito entrare, di fronte a me. Stupore, imbarazzo, vergogna, timidezza, sì anche timidezza, avvolsero i miei gesti quel tanto che bastava, a me per recuperare il fiato, a lei per salutarmi con un sorriso e chiedere, come ti senti?
Nessuno, ancora, era riuscito a porgermi quella domanda, sgorgata così naturalmente dalle labbra di Don Giò.
Ci sedemmo insieme e ben presto l'imbarazzo svanì. Il motivo della mia reazione forse vi sembrerà puerile; era quasi trascorso un anno, per la precisione 363 giorni, dal mattino in cui non ebbi il coraggio di recarmi a un funerale tanto importante per me, e, in quella fredda giornata, né io né mia sorella, pensammo a far dire una messa in memoria, e, per di più, in tutto quel lasso di tempo, io evitai, accuratamente, la parrocchia e il giovane parroco.
Don Giò non dava a intendere di essersene preso a male; discorremmo fino a tarda notte. Non ricordo esattamente di cosa, non sembrava un prete, piuttosto un vecchio amico.
Nel momento di andarsene mi lasciò il suo saluto sul libro e uscì; il fastidioso vento non era affatto smesso, anzi sembrava alzarsi sempre di più. L'ultima immagine che vidi di lui, quella sera, fu la sua corsa in bicicletta verso casa sua, là alla chiesa. Pedalava come un forsennato, tenendo delicatamente in mano un lembo della sottana che mai si levava. Poteva sembrare un'immagine ridicola, ma a lui donava dignità. Andai a letto molto più sereno.

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