Caro Bonsai,
devo narrarti un'estate quanto meno
singolare.
Triste? Rassegnata? Lenta letizia?
Non lo so, la mia vita è un puzzle
dove finalmente si scorge l'immagine principale.
Mi aspettavo mesi terribili, mi
aspettavo il ricordo dei miei cari genitori pugnalarmi in ogni mio
gesto, mi aspettavo di non bere più caffè alla mattina, adesso che
non è più mia madre con le sue piccole mani forti a stringere la
moka per il dolce risveglio della famiglia.
Eppure a fine inverno ho potato
l'altea, così come mio padre mi aveva spiegato. Le mie mani si
muovevano guidate dalla sua voce, la sua voce di quando stava bene,
non la voce rotta dalla malattia che ho sentito l'ultima volta. A
luglio è fiorita per lui, per l'amore di mia madre, per la mia vita
che deve, nonostante tutto, andare avanti. Non credevo di riuscire,
anche quest'estate, di allevarla con amore, senza sentire la costante
e quieta presenza materna, nell'orto alle mie spalle. Ma lei è
cresciuta, fiera, dichiarazione di eterna speranza.
Anche la mia piccola serra sta
crescendo, e un giorno diventerà una grande serra rigogliosa, di una
bellezza senza pari. Io vi entro dentro e sono nel mio mondo, sono a
casa, sono circondata dalle persone che amo di più. La serra è il
mio passato, è la mia esistenza presente, è il grido di vita verso
il futuro.
A Laguna tutti sono molto gentili con
me, il loro cambiamento di atteggiamento mi ha stupito. Fino a un
anno fa ero la figlia di Mauro, l'amabile giardiniere, adesso sono la
donna dei fiori, ho anch'io un'identità propria. Hanno capito la mia
scelta e, credo, tacitamente approvata; hanno lenito il mio dolore con
il silenzio e il rispetto.
Quando qualche signora, scusandosi
impacciata per il disturbo, viene a chiedermi consigli sul suo
giardino, o quando qualche innamorato, muovendosi sula punta dei
piedi, entra da me per comprare un regalo alla sua dama, capisco la
stima che mi sono guadagnata. Mi sento Laguna fino al midollo,
vivendo quasi fuori dal loro mondo.
La serra di Sonia, indicando la mia
casa, lo dicono sottovoce. Sonia, la ragazza delle piante. Questo
sono e non potrebbe essere altrimenti.
Talvolta mi capita di pensare
all'esperienza di un anno fa, alle parole rivelatrici di mio padre,
alla lettera di confessione di mia madre, ma sono solo attimi. Sono
gli attimi in cui ho più chiaro, nella pelle, il motivo per cui sono
diversa. Immagino mia nonna, chissà se anche lei provava quel che
sento io. Ho partecipato a consiglio tre volte, adesso so che non
devo averne paura, non c'è niente di preoccupante.
Quando, la sera, finisco con le mie
piante, spesso è così tardi che non ho voglia neppure di cenare,
rimanere in casa, col cielo buono e le stelle amiche è uno spreco
per la natura; spesso vado a respirare la solitudine del mare.
È in queste sere che ho fatto amicizia
con Marino, un uomo solo quanto me, un uomo che come me non è mai
solo perché ha una passione che dimora dentro; Marino vive di mare,
di pesca e di sapore salmastro sulla pelle. È giovane, ma sembra già
vecchio; sembra senza età.
Mi ha fatto subito una buona
impressione perché assomiglia, fisicamente, molto a mio padre, lo
stesso piccolo corpo coriaceo, le mani dal lavoro indurite, ma,
appena ha aperto bocca, ho capito che tra lui e il buon Marino c'è
in comune solo la bontà. Parole lente, avvolgenti, cullano come la
litania delle onde, la litania della sua vita. Le parole di mio padre
erano fresche, vivaci, premevano per uscire, erano le parole dei
virgulti di primavera.
Marino trascorre le sue serate seduto a
riva, ripensando a certe leggende passate, di cui è gran
conoscitore. Non sapevo, ma già, io del paese non so nulla, che ci
fossero ancora uomini che pescano sulla loro piccola barchetta a
remi. Lui, Noce, non l'abbandonerà fino a che non colerà a picco,
anche se dovesse rimanere l'unico uomo non imbarcato sui pescherecci.
Nella notte ne custodisce il sonno, una mamma con il bambino.
Noce?
"Mio padre la chiamava così,
molti anni da farmi dimenticare quanti, per farmi ridere. Diceva
perché era che andava veloce; è sopra lei che mi ha insegnato a
pescare; è sopra lei che ho capito quale sarebbe stato l'unico senso
della mia vita."
Non c'è amarezza nelle sue parole, nè
gioia, nè delusione nè felicità, solo una placida passione
rassicurante.
Quante sere abbiamo passato insieme!
Due atomi a condividere una solitudine di pace. Poche parole
coprivano lo sciabordio, costante sottofondo dei nostri delicati
convegni...
E qui il libro si spense, agonizzò un poco, sembrò riprendersi, ma ormai... niente da fare...
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