Il treno si fermò con una brusca
frenata e stridio di rotaie. Io e il mio compagno di viaggio alzammo
gli occhi contemporaneamente, e questi s'incrociarono.
"Fumi una sigaretta insieme a me."
E prese dalla tasca della sacca da
viaggio un pacchetto logoro. Lo seguii sulla banchina.
"Ho smesso anni fa" parlando
guardava lontano, oltre la stazione "ma quando sono in viaggio,
fumo di nuovo. È un momento a sé, capisce?"
Annuii, ancora ma non parlavo. Non
volevo ammetterlo apertamente, ma anche a me quel giovane uomo metteva
in soggezione, proprio come faceva Jack.
La banchina era quasi deserta, il
treno, giunto in anticipo, non sarebbe partito prima di venti minuti.
"Forse faremo bene a prendere un
caffè."
Probabilmente lo disse solamente per
rompere il silenzio. Ci avviammo nel piccolo bar della stazione di
quell'anonimo e sonnolento paese di provincia. Intorno un'aria di
risveglio, sembrava strano a noi, che eravamo in viaggio già da
qualche ora.
Un barista dall'aria distratta ci servì
due caffè bollenti.
"Va lontano?"
Gli dissi il nome della cittadina, che,
non me ne stupii, non conosceva.
"È in Germania, l'ultima fermata
del nostro treno."
"È lontano; deve essere un viaggio
stancante."
"Ogni viaggio è stancante; più
che altro a livello morale e simbolico."
Mi uscì detto. L'altro non diede a
vedere di essersi stupito delle mie parole.
"Io mi fermerò molto prima, ma
tra poco dovrò cambiare."
Ogni sua parola era cadenzata di una
strana serietà.
"Senta, scusi se sembro
sfacciato...posso farle leggere una lettera"
Mentre ci avvicinavamo al treno mi
spiegò. Se fosse stato un fumatore abitudinario ne avrebbe accesa
un'altra, dopo il caffè.
"Circa un mese fa dovetti fare una
trasferta di lavoro, un paio di giorni, niente di particolare, ogni
tanto mi capita. Durante il viaggio di ritorno ebbi la sfortuna di
imbattermi in uno sciopero dei trasporti, rimasi fermo in una piccola
stazione, come questa, molte ore."
Non capivo, sinceramente, cosa lo
induceva a raccontarmi tutto ciò, ma sono curioso, e il mio mestiere
è riferire storie, non dimenticatelo, ogni spunto è gradito,
infine, e sopratutto, la sua voce lasciava una scia da inseguire.
"Entrai in un bar e vi rimasi
tutto il tempo, cercando di isolarmi dal mondo che mi circondava,
avevo documenti di lavoro con me e la giornata scorreva veloce. Poco
dopo il mio arrivo, a un tavolo vicino, sedette una donna, dagli
occhi scuri, penetranti. Li sentivo nella schiena, puntura di una
lama affilata; aveva un libro tra le mani, udivo il frusciare della
carta quando girava pagina, e di nuovo, quando interrompeva la
lettura la sensazione di essere osservato da quegli occhi belli
quanto inquietanti, neri, brillavano, per quel poco che avevo potuto
vedere, di viola. Chiamarono il mio treno, mi ero leggermente
assopito, di corsa raggiunsi il binario, che la voce metallica
pronunciava con insistenza."
Quasi potevo vedere la scena, il
giovane aveva un vivo modo di narrare, molto coinvolgente.
"Avevo lasciato nel bar una
piccola valigetta, me ne accorsi solo giunto a casa, conteneva solo
vecchi appunti di cui potevo fare a meno, non avevo perso niente di
importante e non me ne crucciai."
Si dipinse ai miei occhi una
ventiquattr'ore in ecopelle marrone, con una semplice chiusura a
scatto, qualche graffio di antica data ma nel complesso ben tenuta.
Giaceva appoggiata su di un tavolino rotondo, tra macchie di caffè e
briciole di brioches.
"Non pensai più alla valigetta,
ma quegli occhi tornarono a tormentarmi spesso. Volevo dare un nome a
quello sguardo che mi toglieva il sonno, ponendo interrogativi che
non udivo."
Potevo benissimo immedesimarmi.
"Sulla valigetta avevo messo una
banale targa con nome e indirizzo; adesso sto andando a prenderla,
l'ha presa la donna con gli occhi viola."
L'uomo rimase a guardare a terra per
qualche tempo.
"Forse sto solo andando a
rincorrere quello sguardo. Non so."
Udimmo il fischio della partenza e,
salendo sul treno, mi porse un foglio spiegazzato.
"La legga, ma la prego, non dica
anche lei che sono matto."
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