Avevo ventidue anni, e come a tante
persone succede in ogni momento, mi capitò un fatto curioso, strano
oserei dire, la prima esperienza davvero strana della mia vita. Fu il
primo momento in cui intuii di essere in qualche modo diverso, ma
durò un attimo.
Fu troppo poco.
Più tardi seppi che era il primo
segno. Di un uomo che sa sognare.
Studiavo medicina da tre anni, e
continuavo a prendere il mio traghetto ogni mattina e ogni sera per
tornare dal mio taciturno padre. Rispetto agli anni passati cambiava
solo in fatto che di sabato potevo dormire.
È strano; il vecchio medico sperava
con tutto se stesso che io seguissi le sue orme, ma dei miei studi
non voleva sapere niente. Mai che mi avesse fatto una domanda al
riguardo, se iniziavo a parlarne io mi zittiva. Neppure i voti dei
miei esami conosceva, e me ne dispiaccio, erano tutti voti molto
belli, sarebbero stati una piccola consolazione.
Ma a me non interessava affatto.
Studiavo, mi tenevo al pari con gli esami, collezionavo i miei trenta
sul libretto, tutto come se vivessi la vita di un altro. Dovevo
ancora convincermi, era con il mio futuro e la mia vita che stavo
giocando.
Quell'estate mi ero lasciato solo un
esame per Settembre, era un esame semplice e mi sentivo già
preparato; credo l'avessi posticipato solo per evitare la traversata
sotto il cocente sole di fine Luglio.
Carlo sarebbe venuto a trovarmi solo al
termine dell'estate, dopo il suo torneo a Praga, uno davvero
importante e famoso. Mi rimaneva molto tempo, aiutare il vecchio
Gaspare, quelle lunghe ore al mare schiarivano i miei pensieri.
Gaspare viveva in una villetta vicino
all'aranceto, anche se il comune gli dava, oltre allo stipendio, una
piccola casetta sulla spiaggia. Casetta è un termine troppo
importante, diciamo capanna. Aveva il pavimento di terra battuta, ed
era alimentata a gas. Un letto duro e stretto, gli utensili più
elementari l'arredavano; il bagno era fuori, dalla doccia scendeva
solo acqua fredda. Troppo scomoda per un vecchio con i suoi
acciacchi. Da anni la usava solamente per lasciarci le sue cose,
neppure per qualche isolato sonnellino, si recava là.
Iniziai a usarla io.
Nei mesi estivi, quasi mi ci
trasferivo, tornando a casa raramente, sempre in orario in cui il
dottore era in ambulatorio. Non lo vedevo da quasi un mese, un mese
di pace; il distacco da lui mi faceva dimenticare, ancora un poco di
più, quale fosse, in realtà, la mia vita.
Durante l'estate io era il guardiano
della spiaggia; lo studente di medicina lo nascondevo dietro le dune,
sperando di non ritrovarlo più. A ogni Settembre tornava sempre
fuori, sonnacchioso e spettinato, ma ancora non si era mai perso.
Riuscivo a dimenticarlo, lo dimenticavo sul serio, ed era come se
fare il guardiano fosse realmente tutta la mia vita.
Tutto ciò sebbene mi portassi sempre
dietro il mio libro, era un manuale di gastrologia o qualcosa di
simile. Non perché vi studiassi davvero, era più un vezzo e
un'abitudine.
Gaspare si fidava di me, trascorreva le
estati in casa per riposarsi dal lungo inverno in cui nessuno lo
aiutava. Tornava in spiaggia quando riteneva che avessi bisogno di
una dormita.
Le mie giornate erano abitudinarie;
quella mattina, come sempre, ero seduto sulla riva, alle prime luci.
Mi piaceva farmi lambire dalle onde, rosate dall'alba, la carezza
materna mancatami nella vita. Karol, stai guardano anche tu questo
mare? Sei davvero così bella, come ti dipingono i miei pensieri?
Il libro sulle ginocchia, chiuso
ovviamente.
Pace.
Ad un tratto accadde qualcosa.
Ebbi la sensazione di non essere solo,
mi guardai intorno ma era deserto, c'ero solo io e quella strana idea
di sogno, un vago intorpidimento. Tornò la normalità, con lo stesso
cambio repentino con cui mi aveva salutato prima. L'idea del sogno
rimase. Vidi la mia vita come dall'esterno e non mi parve la mia.
Un'idea comparve nella mia mente, senza
che io l'avessi minimamente evocata. Era già compiuta in se stessa
quando la scorsi.
Nei tuoi sogni la tua vita è governata
da ciò che ami, perché dunque non seguirli?
Il libro pesava sulla mie ginocchia,
percepii lo studente di medicina che mi respirava affianco; gli
consegnai il testo e lo congedai per sempre, non poteva esserci posto
per lui, nel mio futuro.
Mi sentivo molto meglio, ma
l'inquietudine non era andata lontano, assopita dentro me, pronta a
svegliarsi al primo passo falso.
Non ero più uno studente di medicina,
anche se nulla era cambiato; non avevo confidato a nessuno la mia
risoluzione; mio padre, convinto che ben presto l'avrei sostituito;
Gaspare si godeva il riposo, sicuro di riprendere il troppo faticoso
lavoro in autunno; a Settembre mi aspettava un viaggio in traghetto
di cinquanta minuti e un esame; il manuale, oramai parole inutili e
frasi vane, continuava a seguirmi dovunque andassi.
Ma tutto era diverso, io ero diverso.
Avevo deciso.
Una risoluzione per essere valida deve
avvenire nell'anima, se il pensiero è saldo cosa importa come a
quando metterlo in pratica? Ne valeva forse più una presa con il
cuore incerto, e resa tempestivamente effettiva per la paura di
tornare sui propri passi? Voi che dite?
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