martedì 11 dicembre 2012

La decisione


Avevo ventidue anni, e come a tante persone succede in ogni momento, mi capitò un fatto curioso, strano oserei dire, la prima esperienza davvero strana della mia vita. Fu il primo momento in cui intuii di essere in qualche modo diverso, ma durò un attimo.
Fu troppo poco.
Più tardi seppi che era il primo segno. Di un uomo che sa sognare.
Studiavo medicina da tre anni, e continuavo a prendere il mio traghetto ogni mattina e ogni sera per tornare dal mio taciturno padre. Rispetto agli anni passati cambiava solo in fatto che di sabato potevo dormire.
È strano; il vecchio medico sperava con tutto se stesso che io seguissi le sue orme, ma dei miei studi non voleva sapere niente. Mai che mi avesse fatto una domanda al riguardo, se iniziavo a parlarne io mi zittiva. Neppure i voti dei miei esami conosceva, e me ne dispiaccio, erano tutti voti molto belli, sarebbero stati una piccola consolazione.
Ma a me non interessava affatto. Studiavo, mi tenevo al pari con gli esami, collezionavo i miei trenta sul libretto, tutto come se vivessi la vita di un altro. Dovevo ancora convincermi, era con il mio futuro e la mia vita che stavo giocando.
Quell'estate mi ero lasciato solo un esame per Settembre, era un esame semplice e mi sentivo già preparato; credo l'avessi posticipato solo per evitare la traversata sotto il cocente sole di fine Luglio.
Carlo sarebbe venuto a trovarmi solo al termine dell'estate, dopo il suo torneo a Praga, uno davvero importante e famoso. Mi rimaneva molto tempo, aiutare il vecchio Gaspare, quelle lunghe ore al mare schiarivano i miei pensieri.
Gaspare viveva in una villetta vicino all'aranceto, anche se il comune gli dava, oltre allo stipendio, una piccola casetta sulla spiaggia. Casetta è un termine troppo importante, diciamo capanna. Aveva il pavimento di terra battuta, ed era alimentata a gas. Un letto duro e stretto, gli utensili più elementari l'arredavano; il bagno era fuori, dalla doccia scendeva solo acqua fredda. Troppo scomoda per un vecchio con i suoi acciacchi. Da anni la usava solamente per lasciarci le sue cose, neppure per qualche isolato sonnellino, si recava là.
Iniziai a usarla io.
Nei mesi estivi, quasi mi ci trasferivo, tornando a casa raramente, sempre in orario in cui il dottore era in ambulatorio. Non lo vedevo da quasi un mese, un mese di pace; il distacco da lui mi faceva dimenticare, ancora un poco di più, quale fosse, in realtà, la mia vita.
Durante l'estate io era il guardiano della spiaggia; lo studente di medicina lo nascondevo dietro le dune, sperando di non ritrovarlo più. A ogni Settembre tornava sempre fuori, sonnacchioso e spettinato, ma ancora non si era mai perso. Riuscivo a dimenticarlo, lo dimenticavo sul serio, ed era come se fare il guardiano fosse realmente tutta la mia vita.
Tutto ciò sebbene mi portassi sempre dietro il mio libro, era un manuale di gastrologia o qualcosa di simile. Non perché vi studiassi davvero, era più un vezzo e un'abitudine.
Gaspare si fidava di me, trascorreva le estati in casa per riposarsi dal lungo inverno in cui nessuno lo aiutava. Tornava in spiaggia quando riteneva che avessi bisogno di una dormita.
Le mie giornate erano abitudinarie; quella mattina, come sempre, ero seduto sulla riva, alle prime luci. Mi piaceva farmi lambire dalle onde, rosate dall'alba, la carezza materna mancatami nella vita. Karol, stai guardano anche tu questo mare? Sei davvero così bella, come ti dipingono i miei pensieri?
Il libro sulle ginocchia, chiuso ovviamente.
Pace.
Ad un tratto accadde qualcosa.
Ebbi la sensazione di non essere solo, mi guardai intorno ma era deserto, c'ero solo io e quella strana idea di sogno, un vago intorpidimento. Tornò la normalità, con lo stesso cambio repentino con cui mi aveva salutato prima. L'idea del sogno rimase. Vidi la mia vita come dall'esterno e non mi parve la mia.
Un'idea comparve nella mia mente, senza che io l'avessi minimamente evocata. Era già compiuta in se stessa quando la scorsi.
Nei tuoi sogni la tua vita è governata da ciò che ami, perché dunque non seguirli?
Il libro pesava sulla mie ginocchia, percepii lo studente di medicina che mi respirava affianco; gli consegnai il testo e lo congedai per sempre, non poteva esserci posto per lui, nel mio futuro.
Mi sentivo molto meglio, ma l'inquietudine non era andata lontano, assopita dentro me, pronta a svegliarsi al primo passo falso.
Non ero più uno studente di medicina, anche se nulla era cambiato; non avevo confidato a nessuno la mia risoluzione; mio padre, convinto che ben presto l'avrei sostituito; Gaspare si godeva il riposo, sicuro di riprendere il troppo faticoso lavoro in autunno; a Settembre mi aspettava un viaggio in traghetto di cinquanta minuti e un esame; il manuale, oramai parole inutili e frasi vane, continuava a seguirmi dovunque andassi.
Ma tutto era diverso, io ero diverso. Avevo deciso.
Una risoluzione per essere valida deve avvenire nell'anima, se il pensiero è saldo cosa importa come a quando metterlo in pratica? Ne valeva forse più una presa con il cuore incerto, e resa tempestivamente effettiva per la paura di tornare sui propri passi? Voi che dite?

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