Frasi che volevano uscire, pensieri a metà, dialoghi rubati, descrizioni bloccate in volo, incipit mai continuati, personaggi vissuti un giorno, stralci di capitoli che non ci sono più, articoli postati... e qualcosa di me
lunedì 31 dicembre 2012
Uccellini emozionati al suono della musica | noelife.it
Goa: in calo la nidificazione della tartaruga olivacea | noelife.it
Gertrude, mascolina ed imponente
domenica 30 dicembre 2012
Classico e tradizionale! NatalAnno in giro per il mondo
sabato 29 dicembre 2012
Foce del Tevere. Alemanno promette ma non si torna a casa.
venerdì 28 dicembre 2012
La fuga
Camminavano sul bagnasciuga senza
troppa fretta, confondendosi con i turisti, in quel periodo numerosi.
Lei aveva fretta, voleva accelerare il
passo, lui la tratteneva, talvolta la guardava con astio.
Possibile che non capisci, dicevano,
quegli occhi. Avevano appena deciso che mischiarsi tra la folla era
la cosa più naturale, più sicura.
Non daremo nell'occhio, vedrai, aveva
assicurato lui. Lei gli aveva creduto; adesso, però, aveva paura. Si
sentiva schiacciare, voleva correre via. Ma diede retta e proseguì
il copione.
Parlò del tempo, del verso dei
gabbiani, del sole che scotta e della crema che era finita. Risultò
più facile del previsto. Sembravano davvero una coppietta felice.
Poi fu la volta di lui. Parlò di un
ristorante, dove sarebbero andati, parlò di un collega che si era
ammalato, parlò di una gita che voleva fare. Anche lui fu
bravissimo.
Lei parlò di un costume che aveva
visto in una vetrina, della parrucchiera cui voleva andare, di sua
sorella che mandava i saluti. Iniziava a sentirsi rilassata, si
dimenticò persino che stavano scappando, si divertiva quasi, con
l'acqua del mare che le accarezzava le caviglie.
Una sirena sentirono. In lontananza, ma
verso di loro sembrava venire.
Lui la prese per mano e la spinse verso
l'acqua. Una voglia improvvisa di fare un tuffo, niente di male,
niente di strano.
Con calma lentezza si avviarono a largo,
un mare gremito gli faceva compagnia. Saremo al sicuro, disse di
nuovo lui, lei oramai si fidava ciecamente. Si allontanarono ancora
dalla costa pericolosa, solo allora lei si ricordò. Non sapeva
nuotare.
giovedì 27 dicembre 2012
Derek è salvo | noelife.it
Feng
Dormo, la testa reclinata e le braccia
distese, morbidamente appesa in un sonno tranquillo. È un rumore che
mi sveglia, qualcosa che forse è lontano, qualcosa che forse è
dentro me. È flebile ma mi sveglia, ha il potere del ricordo, che è
forte e chiaro, anche quando bisbiglia.
All'inizio mi era sembrata lei, prima
di capire che non era possibile. Chilometri da qui, un'altra casa, un
altra famiglia, un altro nome.
Dovetti per forza così, eppure ti
penso, nei momenti più strani.
Ti chiamai fenice, gatta dalle mille
vite. Ti ricordo cucciola, a malapena guardavi stupita tutto quel che
ti circondava. Con la linguetta ruvida mi leccavi le dita e premevi
il musetto nel palmo della mano.
Mi venivi a svegliare ogni mattina,
miagolavi sotto il letto per farmi alzare. Camminavi tra i miei passi
e quanto mi odiavi quando, assonnata, ti pestavo la coda.
Nelle notti d'inverno ti accoccolavi
sulla schiena, e con il tuo pelo scaldavi anche me. Proprio là, dove
sento sempre freddo.
Tornavo a casa la sera tardi, venivi
alla porta ad aspettarmi. Ruffiana, lo sapevi che ti portavo la
pappa. Se ero triste mi saltavi tra le braccia, ti facevi cullare dai
miei pensieri.
Adesso te lo posso anche dire, tutto
quel pelo che tanto odiavo e che ovunque andava a finire mi manca, e
mi manca un bel po'.
mercoledì 26 dicembre 2012
Matrimonio a regola d'arte. Ian Hunter e Leith Semmens
Femen. Nuovi Soldati Femministi.
domenica 23 dicembre 2012
giovedì 20 dicembre 2012
Una donna
Un negozio con l'insegna illuminata, la
saracinesca è abbassata a metà.
All'interno una donna scopa per terra,
sta chiudendo anche oggi, anche oggi spazza i minuti che da casa la
dividono.
Con la polvere raccoglie i pensieri, ne
fa un monticello, vicino all'ingresso. Pensa alla casa in cui
tornerà, pensa alla vita di cui noi tutto ignoriamo.
Vive sola la donna? Dalla casa pulita e
ordinata ticchetta un orologio. Nella casa disordinata di chi vive a
caso. Nella casa polverosa, gialla di squallore, grigia di tristezza.
Ha un marito la donna? Un uomo che la
ama e vive con lei. Un uomo che l'ha abbandonata tanti anni fa. Un
uomo che le rimane accanto sebbene non ci sia più.
Ha dei figli la donna? Due ragazzi
modello che le han preparato la cena. Un giovane scapestrato che le
reca solo pensieri. Una bambina studiosa che l'aspetta alla sua
giovane scrivania.
Ha amici la donna? Questa sera uscirà
a cena con vecchi compagni. Da molto non riceve una telefonata. Il
cane Fido è l'unica amico suo.
La saracinesca adesso è totalmente
abbassata, la donna esce e si dirige verso casa. Noi continuiamo a
non sapere niente su di lei, se non che ha finito di spazzare e con
la polvere ha raccolto i suoi pensieri.
Il guidatore nella notte
"Dove andiamo?"
L'uomo guida e non risponde. Scuote la
testa appena, come a voler scacciare un pensiero insolente.
"Dove andiamo?"
Di nuovo la voce, e quella nota di
preoccupazione che la contraddistingue.
"Andiamo".
La voce sembra essere soddisfatta.
"Torneremo?"
"Torneremo".
"Prima di sera, intendo".
"È già sera".
Le ombre hanno ormai ricoperto tutto,
la voce intuisce l'inutilità delle sue domande. Tace. Per un po'.
Poi ritorna.
"È lontano?"
"Non lo so".
Fissi gli occhi sulla strada, le luci
delle altre macchine sembrano appartenere ad altri mondi. Il traffico
è scorrevole, è un piacere scivolare via.
Poi tutto accadde velocemente, i fari
che lo precedevano, inchiodarono, li vide illuminarsi, un grido di
allarme che non ha voce.
Inchioda, ma è troppo tardi.
Il suo corpo venne estratto dalle
macerie. L'uomo, nell'auto, era solo.
mercoledì 19 dicembre 2012
Arte e potere
L'aneddoto
Chiacchieravamo del più e del meno, nel
traffico scorrevole della sera. Raccontavo a lui un aneddoto lontano,
niente di particolare, ma ci faceva ridere. Anche se non ero arrivata
alla parte divertente.
"Pioveva quella sera, sai, proprio
come oggi, ma non faceva troppo freddo. Come oggi".
Le fitte goccioline cadevano veloci,
bagnavano appena, eteree.
Percorrevamo quella via a noi nota, e
pensavamo solo al racconto.
Fermi al semaforo, un rumore ci
distrasse. Un rumore sordo e una lieve vibrazione.
Cos'è?
Chiesi. Lui si strinse nelle spalle, io
scesi a controllare. Fermi al semaforo con la pioggerellina fitta,
nella via assai nota.
Arrivai all'altezza del portabagagli e
lo vidi. Era un ragazzo alla fermata del tram, prendeva a calci quel
che aveva intorno ed urlava, urlava a squarciagola. In quel momento
un altro colpo, un altro sordo rumore vicino a noi. Anche il secondo
sasso colpì l'auto, rimbalzando poco lontano.
Prima di mettermi a correre per
raggiungere lo sportello -sembrava lontano nel terrore- ne vidi
molti. Sassi allineati accanto a lui. E ne ebbi paura. Quei due passi
infiniti percorsi, incolume, un terzo colpo vibrò tutto intorno.
Di finire l'aneddoto non avevamo più
voglia.
martedì 18 dicembre 2012
Le origini del formaggio
lunedì 17 dicembre 2012
Aroma di caffè
Frizzante la mattina, con un'aria da
neve che mozza il respiro. Plumbeo il cielo, densa l'atmosfera,
carica di una promessa non certo velata.
Il sole che non aspettavo accompagna
ora i miei passi lievi, nei grandi viali con morte foglie di vecchi
alberi, colori autunnali e Natale alle finestre, il tono sommesso del
Natale di periferia. È freddo ma non lo sento, non più, non ancora.
Auto che sgommano al mio fianco, la
trasmissione televisiva esce dalla casa di ringhiera, il fischiettare
dell'uomo. Non li odo, solo i pensieri nella mia mente. Ma oggi non
sono preoccupazioni, sono idee vaghe, volteggiano in equilibrio tra i
disegni delle mie sensazioni.
Lo smog fitto, la friggitoria
all'angolo, un take away cinese, sono odori che non mi giungono.
È caffè. Caffè, non uno strisciante
profumo che scivola via sotto la porta di un bar, ma un aroma forte,
intenso, palpabile. Chicchi tostati e come appena macinati sembra che
mi scorrano tra le dita, avvolge e rapisce senza che io capisca dove.
Ignota la provenienza, mi sposto ed è medesimo. Non accenna a
scemare, né a crescere, non demorde, mi segue.
Sprezzantemente fuori luogo, mi chiedo
se sia io l'unica a percepirlo e continuo il mio percorso. Foglie
gialle, tracce sull'asfalto, scarpe di vernice rovinata, ruvidi
cappotti, ambulanti lungo la via, e caffè, murales scoloriti,
cartelloni strappati, semafori rossi. E caffè. Clacson innervositi,
un ombrello rotto, un passante distratto. E caffè.
Mi insegue fino a casa, non da tregua.
Salgo le scale con la lenta consapevolezza dei deja vu, la porta si
apre, cigolando silenziosa, tutto appare come l'avevo lasciato, e sul
fornello la moka pongo.
Tu caffè, forte e pungente, non
capisco come, sei ancora con me.
Fischi moka, mi chiami, arrivo, ma ciò
che bevo non sa di nulla. Mi rimane quel buon odore con cui cullare
il mio pomeriggio.
Rita Levi Montalcini
Una sottile differenza
Immerso nei miei pensieri mi accorsi
che il treno si era fermato solo quando ripartì. Alzai gli occhi, e,
per qualche istante, non notai la differenza. Fissavo la poltrona di
fronte a me, vuota, e mi chiedevo cosa non andasse nella mia visuale,
giravo gli occhi nello scompartimento, smarrito.
Ero solo, nulla che non andasse, il
treno lentamente acquistava velocità, sempre di più il paesaggio
scorreva rapido alla mia destra, la luce della mattina coccolava i
colori.
Poi lo vidi, che non c'era, cioè, non
lo vidi e allora capii.
Il mio compagno di viaggio era sceso,
in silenzio mi aveva abbandonato al mio andare, aveva sfiorato la mia
vita con le sue esperienze ed era saltato giù.
Un peccato non averlo potuto salutare.
E fu allora che ebbi un comportamento alquanto ridicolo; mi alzai e
andai a sedermi là, dove prima galleggiava lui, per percepire il
calore del suo corpo, per convincermi che non avevo soltanto sognato
la sua presenza. Le mie valige, da quella prospettiva, apparivano
estranee, enigmatiche, freddi esseri senza storia.
Rialzandomi lo trovai, era il quaderno
che custodiva la sua scrittura veloce. Lo soppesai tra le mani, lo
osservai meglio...
domenica 16 dicembre 2012
Pantaleon e le visitatrici
Autistico ma con un arsenale, è tragedia
Autistico ma con un arsenale, è tragedia
Massacro bambini Usa
Massacro bambini Usa
Ghostwriter, fantasmi della scrittura
Ghostwriter, fantasmi della scrittura
Gli scrittori in ombra
Gli scrittori in ombra
Zighinì
Zighinì
Il piatto tipico eritreo
Il piatto tipico eritreo
sabato 15 dicembre 2012
La benedizione all'omofobia.
La benedizione all'omofobia.
Il Papa e la parlamentare ugandese Kadaga
Il Papa e la parlamentare ugandese Kadaga
venerdì 14 dicembre 2012
Giovanardi e Cucchi. Visioni!
Giovanardi e Cucchi. Visioni!
Le ultime dichiarazioni
Le ultime dichiarazioni
Mare mosso alla regione Lazio; si salvi chi può
Mare mosso alla regione Lazio; si salvi chi può
Abbandonare la nave, in perfetto stile italiano
Abbandonare la nave, in perfetto stile italiano
Non è mai troppo tardi
Non è mai troppo tardi
Esordire a 88 come scrittrici di polizieschi si può
Esordire a 88 come scrittrici di polizieschi si può
Fifty Kids, sui bambini e per altri bambini
Fifty Kids, sui bambini e per altri bambini
Mostra fotografica a Roma
Mostra fotografica a Roma
giovedì 13 dicembre 2012
Attesa
L'uomo, quello anziano, si avvicinò al
parapetto. Respirava a pieni polmoni, catturando ogni singolo odore.
Inquieto, si guardava intorno.
La distesa di scogli, che solamente lo
separava dalla distesa d'acqua, brillava sotto il sole rosato del
tramonto.
L'altro uomo non sembrava essersi
accorto della sua presenza; fissava un punto lontano e muoveva appena
appena la labbra.
È fresco, oggi.
E l'uomo, quello giovane, si girò
verso di lui, lo sguardo rimaneva fisso, come se non avesse inteso.
Si è alzato un bel vento frizzante,
tentò di nuovo l'uomo, quello più anziano.
L'altro si strinse nelle spalle, non
sembrava propenso alla conversazione.
L'uomo anziano pensò che la scena
ricordava qualcosa, anche se non riusciva a capire.
Una foglia autunnale si staccò da un
albero lì vicino e, con spaventosa lentezza, raggiunse i piedi dei
due uomini. Entrambi non distolsero lo sguardo dal mare. Una barca
procedeva lentamente verso il porto, un peschereccio, carico di reti,
di gabbiani e di mani rovinate dal sale.
L'uomo anziano accese una sigaretta e,
nuovamente, tentò di attirare l'attenzione dell'altro.
Ne vuole?
Ottenne, in cambio, uno sguardo
stupito, un lungo sguardo che lo scrutò da capo a piedi,
intensamente. Ma non rispose.
Poi, dopo un minuto di silenzio.
Mi dice chi è lei?
Fu la volta dell'uomo anziano a tacere.
Aveva occhi gialli, da gatto, macchie sul viso e un vecchio cappello
calato sulla nuca.
Un uomo, soltanto un uomo.
Viene spesso qua?
E lei?
Poi le parole divennero superflue, si
strinsero per ripararsi dal vento che iniziava a farsi più
imponente. Giù, nel mare, schizzi salivano nel rinfrangersi delle
onde sulla scogliera.
Ricominciarono ad attendere, cosa e
chi, non lo sapremo mai.
Andateli a vedere, sono ancora là,
attendono, mentre le loro vite scorrono via, trascinate dal vento.
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Gaber - Luporini, esperimenti particolari.
Gaber - Luporini, esperimenti particolari.
Il libro ricordo a dieci anni dalla morte del signor G
Il libro ricordo a dieci anni dalla morte del signor G
mercoledì 12 dicembre 2012
Vacanza finite
Le vacanze appena terminate. Penombra
della casa, chiusa tre settimane, odore di loro, di pelle salata e
capelli bruciati dal sole. Li aspettava, con le loro valigie piene e
il loro sapore di mare.
Lei si lascia cadere sul divano, chiude
gli occhi, pace, lui prosegue lungo il corridoio, inquietamente in
cerca di qualcosa.
Rumori familiari ma dimenticati,
sospesi nel limbo del ritorno alla normalità. Rito di
riappropriazione.
Ma chi sono io, lui o lei?
Non ora, ti prego, c'è tempo, adesso
facciamo l'amore. È lei ma non lo dice, lo pensa soltanto, una luce
nei suoi occhi dipinge i suoi pensieri. È una luce che sente anche
lui, dalla camera, è una luce che lo fa tornare indietro a cercarla.
Sei qui. Già.
La corta gonna di lei, il costume di
lui, la maglietta che scopre la nuda schiena di lei, e quella di lui
che non copre più il giovane corpo abbronzato. Fuori da quelle mura
un mare di cemento e di asfalto, ma loro non sono là. Non ancora.
Lui sa cosa la sua donna vuole, lo sa
sempre. Lei sa cosa il suo uomo farà, non chiede mai, basta il suo
volto a parlare.
Quella vacanza non poteva che finire
così, con un ultimo gesto d'amore, sul divano della loro normalità,
la sabbia ancora nascosta tra le pieghe dei loro corpi.
Si tuffa in lei, come insieme quella
mattina, si erano tuffati dalla scogliera, prima di partire, le
emozioni si confondono e si amplificano.
Gli umidi capelli di lei in auto quella
mattina, l'umidità del suo desiderio, il sapore di quel bacio in
acqua, il sapore del loro piacere, il rumore delle onde e del divano,
chiudere gli occhi e farsi portare, sempre.
Adesso la vacanza è davvero finita.
Noi non beliamo col gregge rosa. Intervista ad Adriana Tisselli
Noi non beliamo col gregge rosa. Intervista ad Adriana Tisselli
Fondatrice e presidente del Movimento Femminile Parità Genitoriale
Fondatrice e presidente del Movimento Femminile Parità Genitoriale
martedì 11 dicembre 2012
La lettera..accadde che...
Il treno si fermò con una brusca
frenata e stridio di rotaie. Io e il mio compagno di viaggio alzammo
gli occhi contemporaneamente, e questi s'incrociarono.
"Fumi una sigaretta insieme a me."
E prese dalla tasca della sacca da
viaggio un pacchetto logoro. Lo seguii sulla banchina.
"Ho smesso anni fa" parlando
guardava lontano, oltre la stazione "ma quando sono in viaggio,
fumo di nuovo. È un momento a sé, capisce?"
Annuii, ancora ma non parlavo. Non
volevo ammetterlo apertamente, ma anche a me quel giovane uomo metteva
in soggezione, proprio come faceva Jack.
La banchina era quasi deserta, il
treno, giunto in anticipo, non sarebbe partito prima di venti minuti.
"Forse faremo bene a prendere un
caffè."
Probabilmente lo disse solamente per
rompere il silenzio. Ci avviammo nel piccolo bar della stazione di
quell'anonimo e sonnolento paese di provincia. Intorno un'aria di
risveglio, sembrava strano a noi, che eravamo in viaggio già da
qualche ora.
Un barista dall'aria distratta ci servì
due caffè bollenti.
"Va lontano?"
Gli dissi il nome della cittadina, che,
non me ne stupii, non conosceva.
"È in Germania, l'ultima fermata
del nostro treno."
"È lontano; deve essere un viaggio
stancante."
"Ogni viaggio è stancante; più
che altro a livello morale e simbolico."
Mi uscì detto. L'altro non diede a
vedere di essersi stupito delle mie parole.
"Io mi fermerò molto prima, ma
tra poco dovrò cambiare."
Ogni sua parola era cadenzata di una
strana serietà.
"Senta, scusi se sembro
sfacciato...posso farle leggere una lettera"
Mentre ci avvicinavamo al treno mi
spiegò. Se fosse stato un fumatore abitudinario ne avrebbe accesa
un'altra, dopo il caffè.
"Circa un mese fa dovetti fare una
trasferta di lavoro, un paio di giorni, niente di particolare, ogni
tanto mi capita. Durante il viaggio di ritorno ebbi la sfortuna di
imbattermi in uno sciopero dei trasporti, rimasi fermo in una piccola
stazione, come questa, molte ore."
Non capivo, sinceramente, cosa lo
induceva a raccontarmi tutto ciò, ma sono curioso, e il mio mestiere
è riferire storie, non dimenticatelo, ogni spunto è gradito,
infine, e sopratutto, la sua voce lasciava una scia da inseguire.
"Entrai in un bar e vi rimasi
tutto il tempo, cercando di isolarmi dal mondo che mi circondava,
avevo documenti di lavoro con me e la giornata scorreva veloce. Poco
dopo il mio arrivo, a un tavolo vicino, sedette una donna, dagli
occhi scuri, penetranti. Li sentivo nella schiena, puntura di una
lama affilata; aveva un libro tra le mani, udivo il frusciare della
carta quando girava pagina, e di nuovo, quando interrompeva la
lettura la sensazione di essere osservato da quegli occhi belli
quanto inquietanti, neri, brillavano, per quel poco che avevo potuto
vedere, di viola. Chiamarono il mio treno, mi ero leggermente
assopito, di corsa raggiunsi il binario, che la voce metallica
pronunciava con insistenza."
Quasi potevo vedere la scena, il
giovane aveva un vivo modo di narrare, molto coinvolgente.
"Avevo lasciato nel bar una
piccola valigetta, me ne accorsi solo giunto a casa, conteneva solo
vecchi appunti di cui potevo fare a meno, non avevo perso niente di
importante e non me ne crucciai."
Si dipinse ai miei occhi una
ventiquattr'ore in ecopelle marrone, con una semplice chiusura a
scatto, qualche graffio di antica data ma nel complesso ben tenuta.
Giaceva appoggiata su di un tavolino rotondo, tra macchie di caffè e
briciole di brioches.
"Non pensai più alla valigetta,
ma quegli occhi tornarono a tormentarmi spesso. Volevo dare un nome a
quello sguardo che mi toglieva il sonno, ponendo interrogativi che
non udivo."
Potevo benissimo immedesimarmi.
"Sulla valigetta avevo messo una
banale targa con nome e indirizzo; adesso sto andando a prenderla,
l'ha presa la donna con gli occhi viola."
L'uomo rimase a guardare a terra per
qualche tempo.
"Forse sto solo andando a
rincorrere quello sguardo. Non so."
Udimmo il fischio della partenza e,
salendo sul treno, mi porse un foglio spiegazzato.
"La legga, ma la prego, non dica
anche lei che sono matto."
Uccelli riciclatori | noelife.it
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Dai nostri rifiuti a nidi più igenici
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Centro di Primo Soccorso per tartarughe | noelife.it
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Progetto Veneto per la tutela dei cetacei
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Andrea Serra e il coraggio della Passione
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Sculture di coraggio
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Le feste e i suoi dolci
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Le leggende sui dolci di Natale
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La decisione
Avevo ventidue anni, e come a tante
persone succede in ogni momento, mi capitò un fatto curioso, strano
oserei dire, la prima esperienza davvero strana della mia vita. Fu il
primo momento in cui intuii di essere in qualche modo diverso, ma
durò un attimo.
Fu troppo poco.
Più tardi seppi che era il primo
segno. Di un uomo che sa sognare.
Studiavo medicina da tre anni, e
continuavo a prendere il mio traghetto ogni mattina e ogni sera per
tornare dal mio taciturno padre. Rispetto agli anni passati cambiava
solo in fatto che di sabato potevo dormire.
È strano; il vecchio medico sperava
con tutto se stesso che io seguissi le sue orme, ma dei miei studi
non voleva sapere niente. Mai che mi avesse fatto una domanda al
riguardo, se iniziavo a parlarne io mi zittiva. Neppure i voti dei
miei esami conosceva, e me ne dispiaccio, erano tutti voti molto
belli, sarebbero stati una piccola consolazione.
Ma a me non interessava affatto.
Studiavo, mi tenevo al pari con gli esami, collezionavo i miei trenta
sul libretto, tutto come se vivessi la vita di un altro. Dovevo
ancora convincermi, era con il mio futuro e la mia vita che stavo
giocando.
Quell'estate mi ero lasciato solo un
esame per Settembre, era un esame semplice e mi sentivo già
preparato; credo l'avessi posticipato solo per evitare la traversata
sotto il cocente sole di fine Luglio.
Carlo sarebbe venuto a trovarmi solo al
termine dell'estate, dopo il suo torneo a Praga, uno davvero
importante e famoso. Mi rimaneva molto tempo, aiutare il vecchio
Gaspare, quelle lunghe ore al mare schiarivano i miei pensieri.
Gaspare viveva in una villetta vicino
all'aranceto, anche se il comune gli dava, oltre allo stipendio, una
piccola casetta sulla spiaggia. Casetta è un termine troppo
importante, diciamo capanna. Aveva il pavimento di terra battuta, ed
era alimentata a gas. Un letto duro e stretto, gli utensili più
elementari l'arredavano; il bagno era fuori, dalla doccia scendeva
solo acqua fredda. Troppo scomoda per un vecchio con i suoi
acciacchi. Da anni la usava solamente per lasciarci le sue cose,
neppure per qualche isolato sonnellino, si recava là.
Iniziai a usarla io.
Nei mesi estivi, quasi mi ci
trasferivo, tornando a casa raramente, sempre in orario in cui il
dottore era in ambulatorio. Non lo vedevo da quasi un mese, un mese
di pace; il distacco da lui mi faceva dimenticare, ancora un poco di
più, quale fosse, in realtà, la mia vita.
Durante l'estate io era il guardiano
della spiaggia; lo studente di medicina lo nascondevo dietro le dune,
sperando di non ritrovarlo più. A ogni Settembre tornava sempre
fuori, sonnacchioso e spettinato, ma ancora non si era mai perso.
Riuscivo a dimenticarlo, lo dimenticavo sul serio, ed era come se
fare il guardiano fosse realmente tutta la mia vita.
Tutto ciò sebbene mi portassi sempre
dietro il mio libro, era un manuale di gastrologia o qualcosa di
simile. Non perché vi studiassi davvero, era più un vezzo e
un'abitudine.
Gaspare si fidava di me, trascorreva le
estati in casa per riposarsi dal lungo inverno in cui nessuno lo
aiutava. Tornava in spiaggia quando riteneva che avessi bisogno di
una dormita.
Le mie giornate erano abitudinarie;
quella mattina, come sempre, ero seduto sulla riva, alle prime luci.
Mi piaceva farmi lambire dalle onde, rosate dall'alba, la carezza
materna mancatami nella vita. Karol, stai guardano anche tu questo
mare? Sei davvero così bella, come ti dipingono i miei pensieri?
Il libro sulle ginocchia, chiuso
ovviamente.
Pace.
Ad un tratto accadde qualcosa.
Ebbi la sensazione di non essere solo,
mi guardai intorno ma era deserto, c'ero solo io e quella strana idea
di sogno, un vago intorpidimento. Tornò la normalità, con lo stesso
cambio repentino con cui mi aveva salutato prima. L'idea del sogno
rimase. Vidi la mia vita come dall'esterno e non mi parve la mia.
Un'idea comparve nella mia mente, senza
che io l'avessi minimamente evocata. Era già compiuta in se stessa
quando la scorsi.
Nei tuoi sogni la tua vita è governata
da ciò che ami, perché dunque non seguirli?
Il libro pesava sulla mie ginocchia,
percepii lo studente di medicina che mi respirava affianco; gli
consegnai il testo e lo congedai per sempre, non poteva esserci posto
per lui, nel mio futuro.
Mi sentivo molto meglio, ma
l'inquietudine non era andata lontano, assopita dentro me, pronta a
svegliarsi al primo passo falso.
Non ero più uno studente di medicina,
anche se nulla era cambiato; non avevo confidato a nessuno la mia
risoluzione; mio padre, convinto che ben presto l'avrei sostituito;
Gaspare si godeva il riposo, sicuro di riprendere il troppo faticoso
lavoro in autunno; a Settembre mi aspettava un viaggio in traghetto
di cinquanta minuti e un esame; il manuale, oramai parole inutili e
frasi vane, continuava a seguirmi dovunque andassi.
Ma tutto era diverso, io ero diverso.
Avevo deciso.
Una risoluzione per essere valida deve
avvenire nell'anima, se il pensiero è saldo cosa importa come a
quando metterlo in pratica? Ne valeva forse più una presa con il
cuore incerto, e resa tempestivamente effettiva per la paura di
tornare sui propri passi? Voi che dite?
lunedì 10 dicembre 2012
Olympe De Gourges
Olympe De Gourges
Per i diritti della donna e della cittadina. Chi era davvero lei?
Per i diritti della donna e della cittadina. Chi era davvero lei?
Una visita inaspettata
Sii forte, ragazzo.
Calligrafia precisa, morbida,
armoniosa. Sembrava più femminile, non scritta da un uomo; eppure
così sicura, così perfetta.
Questo messaggio è stato un dono
prezioso, inaspettato.
Era passato precisamente un anno, dal
giorno in cui persero la vita i miei genitori, alle dieci della sera
il bar già vuoto, eccetto me.
Una sera lugubre, un'aria
spiacevolmente frizzante, rara da noi; la sera adatta per il dolore
di un ragazzo.
Ero, come ho detto, solo. Non posso
biasimare i miei amici, quel giorno si erano fatti vivi tutti,
nessuno escluso; più di metà della popolazione di Laguna era
entrata nel locale, anche solo per un caffè, per una scatola di
caramelle. Eppure era diverso. Nessuno era entrato per caso; tutti
avevano la loro scusa, i miei clienti, tutti quelli che la sera si
fermavano anche solo per un saluto; nessuno aveva scherzato, nessuno
si era trattenuto più del necessario, nessuno, dopo una furtiva
occhiata al mio volto, aveva osato alludere a niente. Sembrava che
tutti si fossero dati appuntamento per starmi vicino, e non me lo
volessero far sapere, oppure non se la sentissero di farlo fino in
fondo.
Laura, invece, non era apparsa. Neppure
una telefonata che, d'altronde, ero stato il primo a non fare. Ma lei
è mia sorella, capivo il suo contegno, fin troppo bene sentivo,
dentro di me, le sue motivazioni.
Forse insieme ci saremmo consolati,
forse non saremmo stati abbastanza forti.
Mentre meditavo, su questo ed altro,
una figura, che non avevo sentito entrare, di fronte a me. Stupore,
imbarazzo, vergogna, timidezza, sì anche timidezza, avvolsero i miei
gesti quel tanto che bastava, a me per recuperare il fiato, a lei per
salutarmi con un sorriso e chiedere, come ti senti?
Nessuno, ancora, era riuscito a
porgermi quella domanda, sgorgata così naturalmente dalle labbra di
Don Giò.
Ci sedemmo insieme e ben presto
l'imbarazzo svanì. Il motivo della mia reazione forse vi sembrerà
puerile; era quasi trascorso un anno, per la precisione 363 giorni,
dal mattino in cui non ebbi il coraggio di recarmi a un funerale
tanto importante per me, e, in quella fredda giornata, né io né mia
sorella, pensammo a far dire una messa in memoria, e, per di più, in
tutto quel lasso di tempo, io evitai, accuratamente, la parrocchia e
il giovane parroco.
Don Giò non dava a intendere di
essersene preso a male; discorremmo fino a tarda notte. Non ricordo
esattamente di cosa, non sembrava un prete, piuttosto un vecchio
amico.
Nel momento di andarsene mi lasciò il
suo saluto sul libro e uscì; il fastidioso vento non era affatto
smesso, anzi sembrava alzarsi sempre di più. L'ultima immagine che
vidi di lui, quella sera, fu la sua corsa in bicicletta verso casa
sua, là alla chiesa. Pedalava come un forsennato, tenendo
delicatamente in mano un lembo della sottana che mai si levava.
Poteva sembrare un'immagine ridicola, ma a lui donava dignità. Andai
a letto molto più sereno.
domenica 9 dicembre 2012
Margherita Dolcevita - Guida al Finzionato
Margherita Dolcevita - Guida al Finzionato
Cronaca dal derby
Cronaca dal derby
Il farsi della scrittura
Il farsi della scrittura
Zuccarino ne parla in un libro, e noi ci scherziamo sù.
Zuccarino ne parla in un libro, e noi ci scherziamo sù.
sabato 8 dicembre 2012
Triste, disastroso e stanco. Natale d'Italia
Triste, disastroso e stanco. Natale d'Italia
Cosa ne pensano gli Italiani
Cosa ne pensano gli Italiani
venerdì 7 dicembre 2012
Rinnovamenti culinari
Rinnovamenti culinari
Insetti in cucina? Potrebbe essere il futuro
Insetti in cucina? Potrebbe essere il futuro
L'arte per la ricerca. Seletti contro la sclerosi
L'arte per la ricerca. Seletti contro la sclerosi
Idee regalo per aiutare la ricerca medica
Idee regalo per aiutare la ricerca medica
Un giovane
Mi feci aiutare da mio fratello con i
bagagli, e il viaggio ebbe inizio.
Alla partenza il treno quasi deserto,
sulla banchina poche mani, saluti muti. Guardavo le spalle di mio
fratello che si allontanavano, e tutto era come irreale.
Tra i bagagli il mio lavoro, che poteva
aspettare. La mia attenzione, fuggente, cercava un oggetto su cui
trovar quiete. Vanamente. L'inquietudine celata, sopita, domata
iniziava di nuovo a farsi sentire, non potevo negare a me stesso il
molteplice motivo di quel viaggio.
Nello scompartimento non ero solo, un
giovane uomo insieme a me. Salendo sulla carrozza era già lì. Aveva
alzato gli occhi un attimo, veloce gesto di cortesia, aveva abbozzato
un cenno di saluto ed era tornato alle sue occupazioni. Lo spiavo dal
riverbero del vetro; la sua immagine tendeva a catturarmi.
Sedeva comodo, leggermente storto,
eppure pareva che non sedesse affatto, ma che fosse la poltrona a
sorreggere lui, una sorta di galleggiamento. Le gambe, abbandonate
inerti, dondolavano appena. Il giovane uomo stava scrivendo,
appoggiandosi sul braccio destro per avere un sostegno. Era mancino.
Usava una penna in plastica trasparente, rossa, una comunissima penna
pubblicitaria con la bianca scritta TANTRA, un piccolo insignificante
particolare che così tanto contrastava con l'immagine globale.
Pesanti occhiaie, barba di alcuni giorni, lunghi boccoli neri che
cadevano ribelli sulla fronte. Eppure la sua persona appariva
oltremodo curata e ordinata. Affidabile. Scuri, il viso e le mani,
una carnagione propria di chi passa molto tempo all'aria aperta, una
strana voglia biancastra alla base del collo.
Scriveva velocemente, e con gli occhi
attenti seguiva la penna muoversi veloce. Occhi neri, occhi che
brillavano, occhi che scintillavano, occhi vivi. I suoi occhi erano
il suo biglietto da visita migliore.
Quel giovane mi rimaneva simpatico e
proprio per questo non mi andava di interromperlo; lo lasciavo
scrivere con quel fare veloce, e mi godevo la soddisfazione sulla sua
pelle. Perché ne traeva soddisfazione, questo era evidente. Già,
dentro me, s'insinuava la curiosità.
Cosa? A chi? Perché?
Il giovane non faceva minimamente caso
a me, ogni tanto s'interrompeva, alzava gli occhi e sorrideva; ma io,
vi assicuro, non c'entravo niente. Era tutta una storia tra lui e le
sue parole.
Mi tornò in mente il mio, di lavoro. E
il motivo del mio viaggio. Quello ufficiale; poi c'era l'altro,
quello importante, quello ufficioso, quello brutto, quello che sapevo
solo io. E ritenni opportuno mettermi anch'io a scrivere qualche
appunto. Il giorno dopo, in un ristorante del centro per iniziare,
nel suo ufficio successivamente, mi aspettava il mio editore. Avrebbe
atteso me e le mie tre ventiquattrore; avevo ancora un po' di tempo
per salvare la mia situazione lavorativa.
La prima è una valigetta marrone
consunta, i lacci tendono a cedere e le cerniere s'inceppano, lisa
dal troppo prolungato uso, mi segue dalla pubblicazione del mio primo
romanzo. Mi portò fortuna e allora io la porto con me. Quel giorno
conteneva una copia dell'ultima mia opera in stampa, che sarebbe
uscita a breve nelle librerie tedesche, e un numero pressoché infinito di documenti a essa inerenti. Io e Oleg, il non solo
editore, dovevamo solo perfezionare le ultime linee di marketing. Poi
la seconda valigetta, nera, seria, lucida e luccicante, regalo di
Natale, dell'ultimo Natale ad essere specifici, della mia fidanzata.
Questa conteneva il romanzo che avevo appena terminato; Oleg aveva
letto qualche anteprima e ne era rimasto letteralmente orripilato,
come sempre. Dal giorno dopo avremo iniziato il braccio di ferro
sulle modifiche da apportare. Se proprio devo essere sincero, dato il
mio umore dell'epoca, sarebbe stata la prima volta che non mi sarei
accanito su ogni virgola, per portare avanti le mie idee. Infine, la
terza valigetta acquistata per l'occorrenza; in tutta fretta il
pomeriggio precedente, nella merceria cinese all'angolo. Ma era
pressoché ancora vuota.
Iniziare un nuovo romanzo, per chi non
lo sappia, non è impresa da poco; spesso accade che me ne vado in
giro per mesi a scrivere e scrivere, bozzette e spunti, iniziando
decine di storie diverse, senza che nessuna sia degna di questo nome.
Poi arriva l'idea, straccio tutto il resto e parto come un treno. Da
molti mesi attendevo quell'idea e la terza valigetta del mio viaggio
conteneva solo sputi di letteratura che il mio editore voleva
ugualmente visionare, e io avevo ugualmente la speranza di scrivere
qualche riga decente nelle ultime ore rimaste.
Il mio silenzioso compagno aveva appena
vinto la parte di un protagonista. Di quale storia, dovevo ancora
inventarlo; il suo personaggio, però, mi piaceva.
Uomo, circa trent'anni, viso che
oscilla tra il particolare e il bello, buona cultura, leggermente
eclettica, autodidatta(?), animo inquieto e solitario ma generoso.
Bisogno di libertà. Viaggiatore. Intraprendente e curioso.
Viaggiatore di nuovo, molto viaggiatore. Talvolta tenebroso.
Lo chiamai Jack, e iniziai a scrivere.
giovedì 6 dicembre 2012
AnamorfismoDiRelero
AnamorfismoDiRelero
Relero, un artista del nostro tempo
Relero, un artista del nostro tempo
Un incontro
Caro Bonsai,
devo narrarti un'estate quanto meno
singolare.
Triste? Rassegnata? Lenta letizia?
Non lo so, la mia vita è un puzzle
dove finalmente si scorge l'immagine principale.
Mi aspettavo mesi terribili, mi
aspettavo il ricordo dei miei cari genitori pugnalarmi in ogni mio
gesto, mi aspettavo di non bere più caffè alla mattina, adesso che
non è più mia madre con le sue piccole mani forti a stringere la
moka per il dolce risveglio della famiglia.
Eppure a fine inverno ho potato
l'altea, così come mio padre mi aveva spiegato. Le mie mani si
muovevano guidate dalla sua voce, la sua voce di quando stava bene,
non la voce rotta dalla malattia che ho sentito l'ultima volta. A
luglio è fiorita per lui, per l'amore di mia madre, per la mia vita
che deve, nonostante tutto, andare avanti. Non credevo di riuscire,
anche quest'estate, di allevarla con amore, senza sentire la costante
e quieta presenza materna, nell'orto alle mie spalle. Ma lei è
cresciuta, fiera, dichiarazione di eterna speranza.
Anche la mia piccola serra sta
crescendo, e un giorno diventerà una grande serra rigogliosa, di una
bellezza senza pari. Io vi entro dentro e sono nel mio mondo, sono a
casa, sono circondata dalle persone che amo di più. La serra è il
mio passato, è la mia esistenza presente, è il grido di vita verso
il futuro.
A Laguna tutti sono molto gentili con
me, il loro cambiamento di atteggiamento mi ha stupito. Fino a un
anno fa ero la figlia di Mauro, l'amabile giardiniere, adesso sono la
donna dei fiori, ho anch'io un'identità propria. Hanno capito la mia
scelta e, credo, tacitamente approvata; hanno lenito il mio dolore con
il silenzio e il rispetto.
Quando qualche signora, scusandosi
impacciata per il disturbo, viene a chiedermi consigli sul suo
giardino, o quando qualche innamorato, muovendosi sula punta dei
piedi, entra da me per comprare un regalo alla sua dama, capisco la
stima che mi sono guadagnata. Mi sento Laguna fino al midollo,
vivendo quasi fuori dal loro mondo.
La serra di Sonia, indicando la mia
casa, lo dicono sottovoce. Sonia, la ragazza delle piante. Questo
sono e non potrebbe essere altrimenti.
Talvolta mi capita di pensare
all'esperienza di un anno fa, alle parole rivelatrici di mio padre,
alla lettera di confessione di mia madre, ma sono solo attimi. Sono
gli attimi in cui ho più chiaro, nella pelle, il motivo per cui sono
diversa. Immagino mia nonna, chissà se anche lei provava quel che
sento io. Ho partecipato a consiglio tre volte, adesso so che non
devo averne paura, non c'è niente di preoccupante.
Quando, la sera, finisco con le mie
piante, spesso è così tardi che non ho voglia neppure di cenare,
rimanere in casa, col cielo buono e le stelle amiche è uno spreco
per la natura; spesso vado a respirare la solitudine del mare.
È in queste sere che ho fatto amicizia
con Marino, un uomo solo quanto me, un uomo che come me non è mai
solo perché ha una passione che dimora dentro; Marino vive di mare,
di pesca e di sapore salmastro sulla pelle. È giovane, ma sembra già
vecchio; sembra senza età.
Mi ha fatto subito una buona
impressione perché assomiglia, fisicamente, molto a mio padre, lo
stesso piccolo corpo coriaceo, le mani dal lavoro indurite, ma,
appena ha aperto bocca, ho capito che tra lui e il buon Marino c'è
in comune solo la bontà. Parole lente, avvolgenti, cullano come la
litania delle onde, la litania della sua vita. Le parole di mio padre
erano fresche, vivaci, premevano per uscire, erano le parole dei
virgulti di primavera.
Marino trascorre le sue serate seduto a
riva, ripensando a certe leggende passate, di cui è gran
conoscitore. Non sapevo, ma già, io del paese non so nulla, che ci
fossero ancora uomini che pescano sulla loro piccola barchetta a
remi. Lui, Noce, non l'abbandonerà fino a che non colerà a picco,
anche se dovesse rimanere l'unico uomo non imbarcato sui pescherecci.
Nella notte ne custodisce il sonno, una mamma con il bambino.
Noce?
"Mio padre la chiamava così,
molti anni da farmi dimenticare quanti, per farmi ridere. Diceva
perché era che andava veloce; è sopra lei che mi ha insegnato a
pescare; è sopra lei che ho capito quale sarebbe stato l'unico senso
della mia vita."
Non c'è amarezza nelle sue parole, nè
gioia, nè delusione nè felicità, solo una placida passione
rassicurante.
Quante sere abbiamo passato insieme!
Due atomi a condividere una solitudine di pace. Poche parole
coprivano lo sciabordio, costante sottofondo dei nostri delicati
convegni...
mercoledì 5 dicembre 2012
Caleidoscopi&Fotografie
Caleidoscopi&Fotografie
Single saudite, uno sguardo diverso
Single saudite, uno sguardo diverso
War Dolphin | noelife.it
War Dolphin | noelife.it
I Delfini Americani finalmente a riposo
I Delfini Americani finalmente a riposo
Affari di cuore contro i Maya
Affari di cuore contro i Maya
Il primo trapianto di cuore
Il primo trapianto di cuore
Un sogno
Quel sogno gli aveva lasciato un senso
di vuoto; era stata lei la protagonista della sua notte, l'alba
l'aveva trovato distrutto, nere occhiaie sul volto dell'uomo triste,
e una rabbia che non riusciva a sfogare.
Non era l'idea di lei a far male, ma
tutto ciò che implicava l'idea di lei.
Il giovane uomo era un matematico,
aveva i pensieri suddivisi in segni e cifre, solo il pensiero di lei
non era schematizzabile, una vertigine interiore lo assaliva.
Lei non era particolarmente bella, lei
non era particolarmente simpatica, il carattere di lei non era
particolarmente amabile; ma lei era lei. Era unica e lo era solo per
lui. Questo il punto, come lui lo era solo per lei. E questo l'altro
punto, l'equazione era stata facile.
Lui amava lei, un bel più a grande
lettere, lei amava lui, un uguale ancora a grandi lettere, loro erano
felici e avrebbero trascorso tutta la vita insieme. Il foglio lindo,
l'idea lucida, lineare. Non ne avevano mai parlato ma era così, lo
sapevano entrambi, non poteva essere diversamente. Sarebbero andati
via lontano, si sarebbero sposati, avrebbero avuto una casa, dei
bambini, tanti bambini, e sarebbero invecchiati insieme. Felici.
A quell'epoca erano ancora molto
giovani, si godevano il loro fresco amore, poi in tal modo sarebbe
stato il loro futuro. Gli anni passarono e i progetti si fecero più
vicini alla realizzazione, poi quella strana questione, dura come il
diamante e fragile come la grafite, che prende il nome di amore,
svanì.
Svanì prima in lei, e lui sentì
svanire ogni sua certezza; non sto qui a raccontarvi la sua
disperazione, sappiate che fu grande, sarebbe penoso, per me, per voi
e per lui se ci sentisse, e anche per lei che pure soffriva
enormemente; questo vi basti. Svanì anche la disperazione, lasciando
il posto a qualcosa di ancora più tragico, il nulla, il vuoto.
Cerchiamolo di capire, quest'uomo triste.
L'uomo, prima di essere triste, era un
uomo che aveva conosciuto l'amore, uno dei pochi fortunati che era
riuscito a conoscerlo davvero, era un uomo che aveva saputo amare,
come pochi riescono realmente a questo mondo.
Ogni cosa di colpo si frantumò e
l'uomo smise di credere nell'amore, smise di credere in ogni cosa,
essendo l'amore l'unica sua certezza.
L'uomo triste continuava a desiderare
una casa, una moglie, dei bambini, tanti bambini, ma la voce dentro
sè, quella che zitta non sa stare, l'aveva convinto che mai più era
possibile per lui la magia, mai avrebbe aperto il cuore a una donna.
Quel cuore che aveva ben chiuso in uno scrigno, al sicuro mentre un
serpente rosicchiava lentamente l'animo.
martedì 4 dicembre 2012
Didone
Didone
La donna innamorata
La donna innamorata
Eroi... antipatici - Top 5
Eroi... antipatici - Top 5
I protagonisti più antipatici di tutta la letteratura
I protagonisti più antipatici di tutta la letteratura
Giovanni
La stessa storia, identica a ieri,
medesima a una settimana fa, con la vecchiaia, le mie sere sono
diventate tutte uguali, prima non mi succedeva così.
Termino le mie silenziose preghiere, in
ginocchio sul duro pavimento, a Dio affidando me in anima e corpo.
Una volta steso sul mio vecchio letto, il corpo si ribella, il sonno
sfugge, l'insonnia mi assale. Non c'è antidoto.
Le mie labbra ricominciano a muoversi,
il silenzio delle preghiere cancellato dal tono della mia voce,
ancora calda e profonda, nonostante i settant'anni alle porte. Non
parlo più a Dio, parlo a me stesso, mi racconto la mia vita, a me
medesimo quasi fossi un estraneo, ripercorro lunghi anni, scivolati
via lievi. È l'unico modo che funziona, per addormentarmi, ho
provato tutto, solo questo funziona.
Da giovane il mio sonno era profondo e
caldo, adesso, un punto lontano cui giungo solo nel cuore della notte
o alle prime ore dell'alba, quando va bene.
Altrimenti rimango sdraiato, fino al
suono della sveglia, a ripercorrere le tappe che conosco benissimo,
notte dopo notte, io, le macchie di umidità sul soffitto, i suoni
che fluiscono dalle mie labbra.
Non dovrei lamentarmene, Dio mi ha
concesso la Grazia di giungere alla vecchiaia in salute, devo
accettare la mia insonnia come uno dei suoi doni; eppure, ogni notte,
è inevitabile ricordare, da giovane era tutto diverso.
I miei racconti partono proprio da là,
ogni sera; talvolta riesco ad arrivare fino ad oggi, talvolta ho la
fortuna di assopirmi prima. Stasera spero davvero di riuscire a
dormire verso i quarant'anni, cinquanta al massimo; domani, un
incontro importante attende.
Negli anni, fisicamente, sono cambiato
poco; i capelli brizzolati mi accompagnano da sempre, a quanto
ricordi. Gli occhi chiari non hanno perso lucentezza; solo il mio
corpo, con il tempo, si è rimpicciolito.
Dicevano, da ragazzo avevo il fisico
più prestante di Laguna; in realtà mai ci ho creduto, fino in
fondo. Però tutti i torti non li avevano. Adesso continuo a teneremi
in forma, ma, sapete, l'età, quella che è. Girando per Laguna, in
sella all'inseparabile Scheggia, non pedalo più così energico.
Don Giovanni, il playboy mancato,
dicevano di me gli amici, sfruttando il mio nome, il successo con le
donne e il mio totale disinteressamento. Ancora loro non sapevano,
ancora non sapeva nessuno, solo a Dio e al mio confessore avevo
svelato i miei progetti.
Me ne andai da Laguna, per lunghi anni,
quando tornai era l'80, Don Giovanni lo ero sul serio, con tanto di
tonaca nera. Mi affrettai, comunque, a precisare che preferivo essere
chiamato Don Giò, ragioni più che evidenti.
Quando il vecchio parroco morì, rimasi
solo io, a Laguna, l'unico prete dell'unica chiesa e vi sono rimasto
per quaranta stagioni, di pesca e raccolto, ringraziando Dio ogni
mattina, per questo mio ufficio. Essere parroco a Laguna è
un'esperienza particolare. In ogni senso.
La mia Chiesa, dedicata alla Madonna, è
affacciata sul mare, già un privilegio grandissimo....
Ben presto capii, che, se c'era
qualcosa da poter fare, per servire veramente Dio, era mescolarmi a
loro, vivere le loro vite, diventare amico, confidente e guida,
prendere familiarità con le loro case, fargli sentire la mia
vicinanza, acquisire la loro fiducia, portare il Verbo nel loro
semplice mondo, con il loro semplice modo.
Devo ammettere, il rapporto con i miei
fedeli non me lo sarei mai immaginato così splendido. In sella alla
mia Scheggia, la tonaca in mano, altrimenti mi si impiglia, percorro
il paese e faccio visita alle mie pecorelle.
Gli uomini si fidano di me, mi vedono
uno di loro, che può realmente migliorare le loro vite nella
pratica, con i giusti consigli del Signore.
Le donne si fidano di me, dicono di
leggere la bontà, nei miei occhi trasparenti.
Cerco di rimanere giovanile, per
permettere anche ai ragazzi di fidarsi maggiormente di me.
Anche i bambini piccoli si ricordano di
me, per come vado in bicicletta, una mano sul manubrio e l'altra alla
sottana.
Potrei essere felice del mio operato,
ma Dio ci insegna, le nostre aioni non sono mai abbastanza,
infinitamente meglio avrei potuto servirlo. E allora? E allora ogni
notte mi ritrovo qui, a narrare la mia esistenza a mezza voce, e
interrogarmi sulle mie azioni, ogni notte devo superare un esame con
me stesso, si ripeterà sino a che avrò voce e lucidità. Poi verrò
a quello finale, con il Signore.
Una cosa però, la devo confessare,
durante questi miei esami ho un vezzo. Rivivo con particolare
emozione le cerimonie, da me celebrate, che mi hanno più colpito.
Tra battesimi, matrimoni e funerali, ripercorro anche la storia dei
Laguni insieme alla mia; i pensieri vanno alle loro anime.
Tra qualche mese si aggiungerà un
matrimonio alla mia lista, sposerò due cari ragazzi, li ho visti
crescere, adesso due giovani fantastici, cui dedico molte mie
preghiere.
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lunedì 3 dicembre 2012
Animalisti contro i mattoncini Lego | noelife.it
Animalisti contro i mattoncini Lego | noelife.it
La Lego è diseducativa, la protesta degli animalisti
La Lego è diseducativa, la protesta degli animalisti
domenica 2 dicembre 2012
IL BAMBINO
Il bambino era un bravo bambino, e
questo lo vedevi da lontano, per il resto era un bambino come tanti.
Camminava per strada, nell'ombra della
mattina, tra poche settimane sarebbe iniziata la scuola.
Il bambino aveva una camminata strana,
non da bambino, una camminata seria. Non ciondolava la testa, non
dondolava le braccia, non trascinava i piedi. Era un bambino che
diceva buongiorno alle signore alla finestra e aiutava gli anziani ad
attraversare la strada, era un bambino che non conosceva parolacce e
raccontava sempre la verità.
Era un bambino che cresceva solo, in
una casa con genitori assenti, era un bambino timido che solo si
sentiva perché di amici non ne aveva molti. Questo invece lo vedevi
da vicino, se andavi lì e gli scrutavi il volto; il bambino allora
ti avrebbe chiesto, scusi signore, ha bisogno, e lo avrebbe
fatto con un sorriso, un sorriso triste, non un sorriso da bambino,
un sorriso di convenienza, come aveva imparato a fare dagli amici dei
genitori. Anch'essi tutti molto seri.
Il bambino era anche un bel bambino,
non molto alto ma di greche proporzioni, cenere i capelli, sempre
distesi i lineamenti delicati, da bambina. Gli occhi azzurri, sempre
vigili, si guardava intorno in cerca di immagini belle. Al bambino
piaceva osservare, ed era un bambino dolce, con poco si commuoveva.
Appariva un bel sorriso, se il suo sguardo incrociava un bel fiore,
una farfalla, un gatto sulla strada. Il bambino annaffiava il prato
del suo giardino solo per veder comparire, ai suoi piedi, un piccolo
e fugace arcobaleno.
Questa volta fu una bambina a
illuminargli gli occhi, una bambina un poco più piccola di lui, su
un prato rincorreva una farfalla. Era bella la bambina, perché era
intenta, concentrata, totalmente dedita al suo compito. Ma il bambino
era educato, sapeva di non dover fissare, e proseguì per la sua
strada.
Entrato nel supermercato estrasse dalla
tasca un biglietto sgualcito, poche richieste nella tremolante
calligrafia. Impiegò poco tempo, dicendo scusi quando doveva
passare, per favore quando non arrivava agli scaffali alti, prego
quando cedette il posto nella fila a una donna incinta, arrivederci
alla cassiera, mentre stava andando via.
Sulla strada del ritorno la bambina con
le trecce rosse era ancora là, la farfalla anche. Lei le arrivava
vicino ma non la toccava, la osservava intenta, posata sopra un
fiore, la farfalla riprendeva il volo e la bambina dietro. Erano
belle quelle due, era bella la farfalla dai tanti colori, era bella
la bambina dai passi leggeri e spensierati.
Proseguiva per la sua strada, il
bambino, e, come ogni mattina di tale estate, portò la spesa fino
alla porta dell'anziano vicino. Gli piaceva quell'uomo, era cortese,
gentile, lento e pacato. Anche a quell'uomo piaceva il bambino, per
gli stessi motivi.
Un biscotto al cioccolato lo aspettava
come premio, la lista per l'indomani, poi, si salutarono.
I luoghi dei libri
I luoghi dei libri
Travata negli USA la biblioteca di Harry Potter
Travata negli USA la biblioteca di Harry Potter
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