mercoledì 21 novembre 2012

Treno


Uno dei due ragazzi ha la felpa verde, neri riccioli, sta giocando con una barchetta di carta fina. Una folta barba nasconde il volto quasi infantile. Una cuffietta all'orecchio, l'altra è per il suo compagno, batte il piede a tempo, canticchia una melodia allegra.
Il suo compagno quasi dorme, appoggiata la testa sul vetro del finestrino, gli occhi socchiusi. Azzurra la felpa e azzurre le scarpe. Ha corporatura robusta, un tatuaggio da cattivo sull'avambraccio e lunghi capelli biondi. Nonostante ciò è tenero, nella sua ostentata sicurezza da adolescente.
Siamo partiti insieme, da una sperduta stazione. Io con il mio carico di pensieri, loro con la loro vociante allegria; io ancora lavoro da sbrigare, loro con i racconti delle loro avventure; io senza più fretta, loro con l'adrenalina dell'impazienza.
Il treno è in viaggio da alcune ore, dopo il tramonto, questa buia sera autunnale ci ha inghiottito con la sua pioggia, fredde luci distanti illuminano a giorno la carrozza. Luci cattive che mettono a nudo le anime, le luci della solitudine.
Tra poco scenderemo, ho fatto chiaro nei miei pensieri, ho finito il mio lavoro, mi sono messa comoda. I ragazzi hanno perso il loro colore, il loro vociare, la loro esuberanza. Aspettano stretti nelle loro poltrone, confortati dalla loro musica, iniziano a sentirsi piccoli in un mondo troppo grande, iniziano a capire che quel mondo di cui fino a ieri erano i padroni non è l'unico mondo.
Mi dispiace, ragazzi, il capotreno ha fischiato, devo scendere, dovete scendere, dobbiamo scendere, il domani è arrivato e voi, e io, e tutti, come sempre, siamo impreparati.

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