sabato 3 novembre 2012

JACK


Jack sedeva là, ormai da mezzora, e il suo corpo tendeva ad abbandonare la tranquilla posa di poco prima per irrigidirsi, una leggera tensione nervosa lo incupiva.
Non vedeva la città da molti anni, dieci o poco meno, lì, quando era un ragazzo, non c'era un bar. Era giunto all'indirizzo, segnato dietro a quel vecchio biglietto da visita, con cospicuo anticipo, ed era entrato. Una ragazza dall'aria stanca stava lucidando alcuni calici da vino. Vino italiano. Calibrava ogni gesto, poi li allineava nella mensola alle sue spalle.
Dovrei incontrare una persona, sa se sia già arrivata?
Il tono è cortese, distante ma non distaccato.
La ragazza guardò intorno nel piccolo locale vuoto, e le venne da ridere.
Credo dovrà attendere, accompagnando le sue parole con il miglior sorriso che le riuscì. Quell'uomo attirava sorrisi, anche se, a ben guardarlo, non sembrava molto felice.
Si fece preparare un toast ben cotto e una spremuta di arancia, sedendosi ad attendere ad un tavolino, illuminato dal sole pomeridiano. Era stanco e affamato, spossato e impolverato dal viaggio, ma si sentiva ancora sereno. E sopratutto soddisfatto. Finalmente avrebbe incontrato lei, quella donna che inseguiva da molti anni, quella donna che avrebbero potuto rispondere a molti perché, quella donna che avrebbe potuto finalmente far chiarezza nel suo passato.
Arrivò la spremuta, era fresca e dissetante. Arrivò il toast, era caldo e buono, ma non gli tolse la fame; ne ordinò un secondo, scorrendo i titoli di un quotidiano locale. A Jack sembrava impossibile, tutti quegli anni di assenza e succedevano sempre le stesse cose; niente cambiato di una virgola, anche se, da come ricordava, erano molte le cose da cambiare.
Ripose il giornale e prese un pesante tomo dal borsone da viaggio. La ragazza, nel porgergli il nuovo toast, scorse una lingua strana stampata sulle pagine.
"Vieni da lontano?"
Chiese incuriosita, ma subito si pentì della domanda.
Mosca.
Evidentemente l'uomo non aveva voglia di parlare molto.
"Ma non vi sono rimasto a lungo, fino a pochi mesi fa vivevo ad Oslo."
E adesso? Lei preferì non esternare questa nuova interrogazione e tornò dietro al bancone.
Rimasero così a lungo.
Lui leggeva assorto, fino alla più insignificante cellula conquistato dalle pagine, in quella lingua assurda, lei con i suoi bicchieri, ormai tutti brillanti, lo guardava rapita. Notava il corpo di lui che iniziava a dare segni di inquietudine, sentiva l'ansia salire nei suoi respiri, ma annusava l'aroma della vita che pulsava, provenir da lui.
Un notiziario alla radio lo distolse dal suo libro, facendogli volgere gli occhi al grande orologio con le lancette turchesi.
"È giusta l'ora?"
Lei annuì.
"Allora inizio a temere di aspettare invano."
Ormai si trovava nel piccolo bar da più di un'ora. Lei non commentò nulla ma, con un singolo, semplice gesto, gli offrì una sigaretta.

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