Rischi tossici per i calendari di Natale
Ritirati dal mercato alcuni calendari di Natale
Frasi che volevano uscire, pensieri a metà, dialoghi rubati, descrizioni bloccate in volo, incipit mai continuati, personaggi vissuti un giorno, stralci di capitoli che non ci sono più, articoli postati... e qualcosa di me
venerdì 30 novembre 2012
Rischi tossici per i calendari di Natale
Monti & Grillo.Solo Parole
Monti & Grillo.Solo Parole
Le parole più cercate dagli italiani nel 2012
Le parole più cercate dagli italiani nel 2012
Femmine&Femminismo&Volti
Femmine&Femminismo&Volti
Femministe: chi erano e chi sono?
Femministe: chi erano e chi sono?
Conclusioni altrui
Conclusioni altrui
Libri terminati postumi da altri autori: giusto o no?
Libri terminati postumi da altri autori: giusto o no?
Il trasloco di Serena
Nonostante la lunga passeggiata, è
ancora mattina presto. Oggi sono uscita di buon'ora, per parlare con
Don Giò, mi rimane difficile pensare a lui come al parroco, è più
che altro il dispensatore di boni consigli. Alle porte del mio
matrimonio, un dubbio mi ha preso, e chi, meglio di lui, poteva
aiutarmi?
Essendo morto mio padre Marino, cinque
anni fa, dovevo capire chi mi avrebbe accompagnato all'altare. No,
capire non è giusto, decidere suona di menzogna. Avevo già deciso
la persona, nel momento in cui ho detto il mio Sì di fronte a
quell'anello, il solitario della mia promessa; ma non ho mai saputo
se era la scelta giusta, una scelta accettabile. La situazione è
molto delicata, volevo avere la sicurezza di non fare un gesto
biasimabile.
Don Giò, con la sua calma
rassicurante, mi ha fatto capire che non sbagliavo, se questo è
quello che suggerisce il mio cuore. Oggi pomeriggio andrò a
chiederglielo, sperando di non mettrelo in una situazione
imbarazzante, mi dispiacerebbe proprio; adesso non posso, ho da fare.
Come mi aspettavo, mia madre è nella
serra, posso salire in camera mia senza essere vista. Se non mi sente
rientrare, rimarrà là dentro fino al tardo pomeriggio, saltando
anche il pranzo, comparirà solo per un caffè e sparirà di nuovo
tra le sue piante, la rivedrò quando l'aria è già buia e
frizzante. Non bisogna essere maghi per prevederlo, quando lavora
nella serra, mia madre entra in un mondo tutto suo, incapace di
uscire dalla sua trance.
Salgo le scale che conducono alla zona
notte e, come d'abitudine, rallento il passo per godermi lo
scricchiolio del legno, sempre uguale da quando sono nata,
ventiquattro anni cullati da questo rumore. Adoro questa vecchia casa
in legno, costruita dal nonno Mauro, sarà difficile lasciarla.
Entro nella mia cameretta e il
disordine mi assale, mi prende da davanti, da dietro, mi circonda.
Oggi comincio, basta rimandare. Tutti gli scatoloni vuoti sparsi in
giro dichiarano, a lettere ben grandi, il mio scopo odierno.
Quante cose! Per fortuna a casa nuova
ho molto spazio, mi seccherebbe lasciarle qui, come un tenero
cucciolo, abbandonato nella vecchiaia. Ho anche molto tempo, posso
permettermi di fare con calma.
Riempendo gli scatoloni già lo so, non
potrò fare a meno di fantasticare su ogni oggetto, su ogni ricordo,
su ogni elemento della mia infanzia che farà capolino. Ecco perché è bene che mia madre rimanga nel suo verde e non mi disturbi, oggi
neppure il mio amato sarebbe ben accetto, mentre frugo nel passato.
giovedì 29 novembre 2012
NonC'èBisognoDiEssereFemministe
NonC'èBisognoDiEssereFemministe
Le parole di Carla Bruni scatenano una cascata di proteste su Twitter
Le parole di Carla Bruni scatenano una cascata di proteste su Twitter
La vicinanza
È una cosa che mi piace, leggo i libri
degli scrittori della mia città. Poi immagino dove abitano.
Non lo faccio apposta, ma è così.
Magari anche loro, ed ugualmente è così.
Non dicono niente, scrivono vaghi, poi
quel dettaglio, quello piccolo piccolo che la mente ignora ma che è
là, scivola via, dalla penna al foglio.
Allora è finita.
La storia è diversa, giro le pagine e
cammino tra i viali; il punto è il semaforo all'angolo, sulla
virgola sono al supermercato. Ormai non cerco più il libro, vedo i
miei vicini, con le loro storie, con le mie storie.
Preparo un caffè, ho invitato un
amico, è ciarliero; ecco ho quanto basta per il romanzo sul vostro
comodino.
Ieri sera ridevo di gusto, un comico in
TV. Sono bastate due frasi, contorno ad uno scetch già finito, è
anche lui un mio vicino, e assai. Non ho più riso. Vedevo la recita
della mia vita, dietro allo schermo.
mercoledì 28 novembre 2012
150 anni da Pinocchio a Harry Potter.
150 anni da Pinocchio a Harry Potter.
Mostra illustrazioni di Salani, 150 anni di immagini
Mostra illustrazioni di Salani, 150 anni di immagini
No finning | noelife.it
No finning | noelife.it
Decreto per fermare il finning
Decreto per fermare il finning
Lo chiamavano dottore
Lo chiamavano dottore, i vicini. Poi,
un bel giorno, se ne andò. Parlarono tra loro. Era così educato,
era così gentile, per così perbene.
Dal primo piano si diceva che fosse un
cardiologo in pensione, il panettiere sosteneva che fosse un
professore, la portinaia disse che era stato un grande archeologo.
Nessuno le credette, ma diceva il vero.
Aveva viaggiato in tutto il mondo,
aveva dormito nel deserto, aveva sentito sulla sua pelle tutte le
condizioni climatiche esistenti, era stato nomade trent'anni
consecutivi...
Non faticherete a credermi, se dico che
quella routine sedentaria degli ultimi tempi lo uccideva.
Dunque partì.
Un fremito lo divorava dentro e lo
spinse a vagare in ogni direzione, una folle ricerca. Cercava quegli
occhi, quella donna che li aveva in viso, aveva incrociato lo sguardo
con il suo, una volta, prima di partire per la prima delle volte. E
lui, per avere quegli occhi non sarebbe mai partito, poi quegli occhi
se ne erano andati e lui sì, era partito. Tutti quei viaggi non li
avevano dimenticati, tutti quei viaggi per non andare a cercarli,
tutti quei viaggi che non erano riusciti a cancellare il loro
destino.
martedì 27 novembre 2012
Il caffè della crudeltà | noelife.it
Il caffè della crudeltà | noelife.it
Un caffè carissimo venduto sulla pelle degli Zibetti
Un caffè carissimo venduto sulla pelle degli Zibetti
Il barboncino
Le giornate della signora si
assomigliavano tutte, silenziose giornate monotone. Ma non era stato
sempre così. Da giovane la donna era considerata, ciò che, con poca
delicatezza, prende il nome di asociale. Non si era mai sposata,
fuggiva conoscenti e amici di infanzia, in ufficio si mimetizzava tra
le scrivanie. I suoi vicini da una vita la definivano strana, se non
peggio, ma a lei andava bene così, era gelosa della propria
solitudine, passava la vita ad occuparsi della sua più grande
passione, passione che, nonostante i tentativi, non riuscì mai a
trasformare in un mestiere. Si dichiarava comunque soddisfatta. Con
se stessa, sia chiaro, ogni parola in più veniva evitata.
Poi tutto cambiò, incontrò l'amore.
Il suo amore aveva le sembianze di un barboncino, altrettanto
silenzioso della padrona, la quale padrona mai, fino a quel momento
aveva desiderato un cane, ma non ebbe il cuore, nella sera fredda e
piovosa di Gennaio che fu, di lasciarlo là, in mezzo alla strada,
indifeso e abbandonato, dopo che l'aveva seguita sin dal
supermercato.
Portò dunque in casa due buste di
spesa e un trovatello; da quella sera cucinò per due.
Il trovatello non ebbe mai un nome,
diventò la sua fedele ombra, soppiantò addirittura la sua
originaria passione.
Come tutti sanno, suprema la legge
della natura, venne anche la sera in cui il trovatello morì;
l'anziana signora era felicemente neopensionata, finalmente poteva
godersi appieno il suo vecchio cucciolo.
Era di nuovo Gennaio, un'altra sera
fredda e piovosa.
La signora ne soffrì molto, e ancora
ne soffre, l'unico affetto degli ultimi lunghi anni. Nei primi
periodi pensò di impazzire, perché strana sì, ma pazza non lo era
ancora, come molti già affermavano da tempo. Poi si calmò.
Fu allora che le parole si vendicarono,
e tutte quelle che non aveva voluto, nè dire nè udire durante
quegli anni le si riversarono contro. Ironia del destino, con la
voglia di parlare si svegliava, e con la medesima voglia si coricava.
Non avvezza ai rapporti sociali non riusciva a fare nuove conoscenze,
quelle vecchie la evitavano da sempre; se escludiamo le cassiere, il
commesso e la postina mezza cieca, con i quali talvolta riusciva a
parlare, se si può dir parlare quello, rimaneva solo il nuovo
vicino, quel ragazzo serio che vedeva uscire ogni mattina e di cui
ogni sera attendeva il ritorno.
lunedì 26 novembre 2012
una lettera
Una bottiglia vaga nel mare. È una
bottiglia di vetro opaco, verde scuro. Il tappo di sughero ben
sigillato con la cera. Sembra provenire dai tempi remoti e da
leggende della superstizione popolare. Siamo a largo della Sicilia.
Karol!
Mio amato giglio, e vento odiato. Solo
il mio cuore sa, l'amore che mi hai infuso dentro appena ti ho visto,
e il dolore che mi hai provocato, da quando ti ho meglio conosciuta.
Figlia della libertà, mi sono illuso
di poterti tenere in gabbia, povero sciocco che sono.
Ho causato pene ad entrambi. Nonostante
tutto, spero ogni giorno di ritrovarti; che tu, uccellino, torni da
me.
Non sono o no, un meschino uomo triste?
Poterti avere, l'abbaglio più grande
della mia esistenza.
Ogni sera, torno a passeggiare sulla
riva, un uomo solo con la sua fedele pipa, nella vana speranza di
ritrovarti, acqua di fonte per la mia povera anima, altrettanto
bella, pura e sfuggente.
Da sempre.
E, ogni sera, l'incontro muore dentro
me, torno a casa, anche il passo silenzioso del Persiano mi è
angusto, nella notte stellata.
Non ti voglio rattristare con lo
strazio di un povero amante, ti scrivo per parlarti di tuo figlio,
mio figlio, nostro figlio, unico frutto di uno sterile amore. Ma era
dunque amore, il tuo? O capriccio passeggero di una mente troppo
labile.
Anche da lui solo delusioni; poichè,
occhi di gatto, non ti sei portata via anche lui, nella tua fuga? Lui
che ha i tuoi occhi felini e nel corpo cova la stessa brama, la
stessa inquitudine, lo stesso febbrile bisogno, di cosa non si sa.
Guardo lui e vedo te, le sue mani
narrano per me i dolori che mi hai provocato.
Speravo avesse ereditato il mio
carattere almeno, dal momento che con tale fardello sulle spalle mi
hai abbandonato. Ma io sono medico, non padre, e padre mai lo sarò.
La sua natura si è dunque plagiata,
sull'immagine di una madre che mai ha conosciuto e di cui non sa
niente. Almeno non da me, l'unico nell'isola ad aver annusato la tua
essenza.
Ho creduto negli ultimi anni che si
fosse ravveduto, ottimi studi in medicina lo avrebbero condotto a
prendere il mio posto, mio unico desiderio riguardo alla sua vita.
Ebbene, proprio ieri sera mi ha profondamente deluso, la stessa
delusione che da più di venti anni mi arde, la stessa delusione che
mi infliggesti tu, sua madre.
La sua pelle, che ha il tuo stesso
sapore, ha inspiegabilmente lasciato gli studi, di punto in bianco.
Farà il guardiano della spiaggia, sai che onore. Compagno di una
donna fuggita e padre di un anonimo portinaio del mare. Che
soddisfazione!
Vanvera di sogni e desideri,
inclinazioni e bisogni naturali. Quando capirete che sono solo parole
vane, che la vita non è luogo di sognare? Non avrei mai mai salvato
tutte le vite umane che mi sono capitate nella mia carriera, se mi
fosse trastullato nelle vostre chimere.
Si aggiuange amarezza ad altra
amarezza, ma forse tu, attrice girovaga, non conosci tale parola. E
come potresti? La tua vita scorre cieca, nell'incoscenza dei tuoi
desideri.
Ti imploro ancora una volta, torna e
cambia per me. Sei sempre in tempo, come io sono sempre in tempo a
mostrarti cosa è la vita se tornerai.
Lo sarò sempre, fino alla morte.
O mare, talvolta impetuoso, talvolta
calmo, ora tiepido e ora freddo, trasparente come la purezza, nero
come la paura, porta il mio messaggio alla mia amata Musa che io
tanto odio; portaglielo per me, ovunque ella sia.
Giuseppe
domenica 25 novembre 2012
“Mi piace essere un sugo Barilla”, ecco il contest
“Mi piace essere un sugo Barilla”, ecco il contest
Grande concorso indetto da Barilla
Grande concorso indetto da Barilla
giovedì 22 novembre 2012
Quando la polemica precede il film
Quando la polemica precede il film
Lo Hobbit non è ancora uscito ma fa già polemica
Lo Hobbit non è ancora uscito ma fa già polemica
una scelta
Tra le mie molte convinzioni, c'è che
ciascuno di noi sa, quale è stato l'ultimo momento dell'infanzia,
ciascuno conserva per tutta la vita il ricordo dell'attimo, della
stagione, dell'avvenimento in cui ha avuto la consapevolezza di
essere ormai cresciuto. Nella mia vita la differenza tra il Michele
bambino e il Michele giovane uomo vive in un'estate, l'estate della
maturità.
È stata la prima estate diversa da
quelle che avevo vissuto fino a quel momento, è stata la prima
estate che non trascorso insieme al mio amico Carlo.
Qualcosa era cambiato, non potevamo più
essere i due adolescenti sognatori e idealisti, dovevamo affrontare
la vita vera. Mentre io studiavo per gli esami, Carlo era partito per
il suo primo torneo importante, a Parigi. Solo dieci mesi prima,
seduti sulla sabbia a guardare il tramonto, potevamo crogiolarci in
decisioni fini a sè stesse.
Il ragazzino timido, il cuore d'oro e
le passioni strampalate che si tiene alla larga dal mondo, e il suo
amico che ama il mare, credendo, come l'altro, di voler vivere senza
accettare compromessi, non esistono più; al loro posto due giovani
uomini, alle prese con le prime vere scelte.
La prima estate senza Carlo, mi sentivo
solo in sua assenza, avere tanti amici non bastava, il rapporto
genuino che avevo con lui non era replicabile. Ero tuttavia immerso
nello studio, volevo uscire con il massimo dei voti, per rendere mio
padre fiero di me, almeno una volta nella vita, vederlo sorridere.
Avevo preso l'abitudine di studiare in spiaggia, dando un aiuto al
vecchio Gaspare, il guardiano del litorale. È una cosa che ho
continuato a fare per anni, andare ad aiutarlo appena avevo un attimo
di tempo, fino a che non è andato in pensione. A causa mia.
Per me era solo un piacere, capite?
Carlo venne solo qualche giorno, fine
Giugno, poi ripartì e ricominciò i suoi allenamenti. Lo vedevo
limpidamente, anche lui non era più un ragazzo, aveva preso la sua
strada. Fosse rimasto di più, magari la mia vita sarebbe stata
diversa, almeno in quegli anni. Il mio amico, seppur più giovane di
me, era già più maturo.
Così non andò, sono costretto a
narrarvi quali furono i fatti, prendendo io tutte le responsabilità
di ciò che avvenne. Ancora non avevo finito di dare gli scritti che
comparvero, in casa, quiz di preparazione per l'ammissione al test di
medicina.
Io non chiesi niente, lui neppure disse
niente; preso il diploma iniziai ad esercitarmi su questi. Ne
parlammo solo una volta, nel corso dell'estate.
"Il test è il 7 Settembre."
La notizia mi colpì appena uscito
dalla doccia, lui, pipa in mano, stava per uscire a passeggiare. Il
persiano di turno ci guardava, indifferente.
Non avevo mai creduto di studiare
davvero medicina, prima di quel momento, ma non mi opposi. Ancora ora
mi chiedo il perchè. Potrei dare la romantica spiegazione che
tentavo di riscattare la memoria di mia madre attraverso la mia
persona. Molto commovente, purtroppo, potevo ingannarmi, a quel
tempo, adesso sono decenni che non mento a me stesso.
Fu tutto più prosaico e meno sublime.
Mi lasciai trasportare.
A fine estate tornò di nuovo Carlo,
per un saluto. In quei pochi mesi era diventato un uomo, la decisione
di abbandonare tutto per dedicarsi solo al tennis gli aveva mutato lo
sguardo. Fino all'ultima volta che l'ho visto fu accompagnato da
quello sguardo e da quella determinazione. Lo sguardo di un uomo che
crede in sè stesso, lo sguardo di un uomo in pace con sè stesso.
mercoledì 21 novembre 2012
Treno
Uno dei due ragazzi ha la felpa verde,
neri riccioli, sta giocando con una barchetta di carta fina. Una
folta barba nasconde il volto quasi infantile. Una cuffietta
all'orecchio, l'altra è per il suo compagno, batte il piede a tempo,
canticchia una melodia allegra.
Il suo compagno quasi dorme, appoggiata
la testa sul vetro del finestrino, gli occhi socchiusi. Azzurra la
felpa e azzurre le scarpe. Ha corporatura robusta, un tatuaggio da
cattivo sull'avambraccio e lunghi capelli biondi. Nonostante ciò è
tenero, nella sua ostentata sicurezza da adolescente.
Siamo partiti insieme, da una sperduta
stazione. Io con il mio carico di pensieri, loro con la loro vociante
allegria; io ancora lavoro da sbrigare, loro con i racconti delle
loro avventure; io senza più fretta, loro con l'adrenalina
dell'impazienza.
Il treno è in viaggio da alcune ore,
dopo il tramonto, questa buia sera autunnale ci ha inghiottito con la
sua pioggia, fredde luci distanti illuminano a giorno la carrozza.
Luci cattive che mettono a nudo le anime, le luci della solitudine.
Tra poco scenderemo, ho fatto chiaro
nei miei pensieri, ho finito il mio lavoro, mi sono messa comoda. I
ragazzi hanno perso il loro colore, il loro vociare, la loro
esuberanza. Aspettano stretti nelle loro poltrone, confortati dalla
loro musica, iniziano a sentirsi piccoli in un mondo troppo grande,
iniziano a capire che quel mondo di cui fino a ieri erano i padroni
non è l'unico mondo.
Mi dispiace, ragazzi, il capotreno ha
fischiato, devo scendere, dovete scendere, dobbiamo scendere, il
domani è arrivato e voi, e io, e tutti, come sempre, siamo
impreparati.
martedì 20 novembre 2012
Contatti nel blu | noelife.it
Contatti nel blu | noelife.it
Gli squali in mostra
Gli squali in mostra
One Life, è in scena la vita | noelife.it
One Life, è in scena la vita | noelife.it
Documentario in arrivo
Documentario in arrivo
Incipit
Molti anni fa, quando scrivere era
ancora un sogno, ed ero solamente un mediocre fotografo, avevo l'idea
di pubblicare un libro sui treni della mia vita.
E questa frase potrebbe voler dire
qualsiasi cosa.
Ogni volta che salgo su di un treno è
come una nascita, e scendendo muori; condensate in poche ore,
emozioni di ogni genere. Al di là del vetro, le immagini acquistano
spessore, un'identità che chiama per essere meglio osservata, patina
nuova su elementi già visti. I paesaggi risultano più appetibili;
quando viaggio in treno desidererei vivere ovunque. Gli incontri
forzati negli scompartimenti e nelle banchine pulsano
predestinazione, e ti scopri con più interesse per il tuo vicino di
posto che per quello di casa. Una voglia insana, lo sai, eppure
ineludibile, assale te in questi momenti, capire chi, come, perché,
scoprirli tutti, condividere chilometri con le loro storie.
Per me è una malattia, lo è sempre
stata.
Il mio fantomatico libro d'esordio, così
come lo vedevo già rilegato, si componeva di tanti capitoli quante
le volte in cui ero salito su di un treno, e di ciascun viaggio
narrava il ricordo più assordante. Chiedo scusa già da ora, qualche
volta i miei ricordi sono estremamente rumorosi, e il fastidio non è
poco.
Poi lasciai perdere, scrissi di un
fotografo fallito e feci fortuna; il libro sui treni rimase là, già
rilegato, nella mia immaginazione. Lo farò adesso e parlerò solo di
un treno, un treno in particolare, quel treno che ha cambiato la mia
vita.
lunedì 19 novembre 2012
Pellegrino Artusi, Precursore Di Un’epoca
Pellegrino Artusi, Precursore Di Un’epoca
Bookcity milano: la figura dell'Artusi
Bookcity milano: la figura dell'Artusi
L'altea marina
Caro Bonsai,
mio caro e unico davvero fedele
confidente! Colui al quale posso dire ogni cosa, scrutando proprio in
fondo al mio animo, posso confidarti anche le cose che temo dire a
mia madre.
Questa mattina mi è capitato un fatto
totalmente inspiegabile, così effimero e così irreale insieme, che
temo abbia lasciato un segno, indelebile dentro me.
Sono ancora molto turbata.
Buon bonsai, se non avessi te, a chi lo
potrei raccontare?
Questa mattina mi sono svegliata
all'alba, come ho preso l'abitudine a fare, e sono scesa nell'orto di
mia madre. Lei preferisce lavorare nelle ore più fresche della
giornata e le do pienamente ragione. Io, però, più che aiutare
lei, inizio dedicandomi alla mia altea marina. Sai, la pianta che il
papà mi ha regalato per il compleanno?
Adesso che ha iniziato a fiorire è
bellissima, e la fioritura andrà fino in autunno inoltrato. Mentre,
a fine inverno, papà m'insegnerà a potarla. Adesso è un
cespuglietto, ma quando crescerà sarà alta più di due metri e
larga almeno uno, che bello non vedo l'ora. Intanto mi godo questi
fantastici fiori. Sono attinomorfi a forma di coppetta, cioè, per te
che sei un bonsai e non sai un accidente delle altre piante, sono
quei fiori che con i petali che partono in tutte le direzioni da un
punto centrale. Blu violetti e la parte centrale porpora.
È molto bello che i miei genitori mi
spingano nella mia idea di dedicarmi al giardinaggio e avere una mia
serra, un giorno.
È vero che vi sono portata, però, con
i loro consigli, chiunque avrebbe il pollice verde.
Insomma, ero lì inginocchiata davanti
alla piantina, quando mi sono ritrovata da tutt'altra parte. Ero in
una spiaggia bellissima, lambita da un mare addormentato, rosato per
il sole nascente. Non era la spiaggia di Laguna, sono sicura, ma
avevo la sensazione di conoscerla bene, era troppo familiare per non
averla mai vista.
Strano, vero? L'unica spiaggia in cui
sono mai stata è questa del mio paese.
Inoltre mi sembrava di essere lì, e di
non esserci insieme. Come fossi rarefatta.
La spiaggia inizialmente mi pareva
deserta, poi ho visto la figura di un giovane di lontano. Non so
perché, ma anche se non lo vedevo in viso ero sicura che fosse
giovane; era seduto sulla riva e mi dava le spalle. Volevo
avvicinarmi per capire bene e tutto è tornato come prima, non ho
avuto neanche il tempo di mettere in pratica il mio progetto.
Di nuovo davanti alla mia bella altea,
in ginocchio sulla terra umida. Ero sicura di non essermi mai mossa,
anche la posizione rimaneva la medesima, ma mi sentivo strana, un
alone salmastro mi avvolgeva, facendomi girare la testa.
Mia madre era vicino a me e appariva
turbata. Alle mie domande ha risposto niente e si è rimessa a
zappare. Mi è sembrata strana, ma forse strana lo ero solo io. Mi
sono avvicinata per dirle tutto...e poi quell'idea di irrealtà che
mi pervadeva mi ha bloccato. Ho detto semplicemente che non mi
sentivo bene e che tornavo in camera, senza mentire perché la testa
mi gira davvero molto.
Mentre io salivo le scale barcollando,
l'ansia saliva dentro di me. Sempre di più.
Sono forse impazzita? Cosa dovrei fare?
O è solo la mia fervida immaginazione da ragazzina?
Ho paura.
domenica 18 novembre 2012
Un mondo Porno
Un mondo Porno
Bookcity Milano: incontro con Walter Siti e Antonio Scurati
Bookcity Milano: incontro con Walter Siti e Antonio Scurati
giovedì 15 novembre 2012
La folla
In mezzo a tutti loro, una donna. In un
angolo. Seduta. Raccolta. Appena respirava. Eppure vedevi subito che
era là. La folla era disordinata, vociante, volgare, oltremodo
rumorosa. La folla era sporca, puzzava. La folla si accalcava, e più
si avvicinavano gli uni agli altri, più la loro disperazione sembrava
meno.
La donna no, non so perchè fosse stata
là; la donna era elegante.
Tacchi alti, neri stivali molto
classici e un pantalone severo, la giacca di buon taglio, senza una
piega. La piega ai capelli, impeccabile, il trucco da bambola di cera.
Gli occhi immaginateveli, grandi occhiali li coprivano, una lieve
fragranza avvolgeva quel corpo. Il corpo non sembrava tale, stava,
come disegnato; non un'espressione, non un gesto, niente rivelava la
vita in lei. Niente.
Intorno un circo di colori. Ma lei no,
era lontana, lontana da lì, chissà dove. Due uomini parlavano, e
per parlare dovevano urlare, una madre riparava con il suo corpo un
passeggino, una ragazzina volgarmente truccata, un vecchio
sonnecchiava, un ragazzo con un cellulare.
Lei continuava a non esserci e la vita
intorno non la toccava.
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mercoledì 14 novembre 2012
La birreria
In Germania, nostra madre aveva venduto
ogni cosa, i nostri pochi parenti erano ormai morti, e le amicizia
perse di vista. Era la prima volta che mi capitava di nuovo, dover
rimanere lassù per tutto quel tempo, le riprese sarebbero durate
almeno un anno, fui costretto a trovarmi un appartamento da
affittare.
Vi dirò, non andò così bene.
Nello stesso concetto di prendere un
appartamento in affitto nella mia terra d'origine, abbandonata
nell'infanzia, qualcosa grugniva, dentro me, cosa non riesco a
spiegarvelo. Già non avevo accettato il lavoro di buon grado, io
sono uno scrittore, capite, parole, carta e inchiostro, non attori
scene e telecamere; Oleg aveva dovuto usare tutta la sua perspicacia
e tutto il suo buon senso per convincermi.
L'idea non mi piaceva, ma mi sarei
rassegnato; un presagio infausto iniziava a strisciare lento.
Oleg mi consigliò un residence vicino
agli studi, una nuova costruzione, moderna e funzionale. Questa volta
mi impuntai, facendo di testa mia. In un quartiere distante, in
periferia, c'era un parco, bello lo ricordavo, con un simpatico
laghetto; mio zio Felip vi portava sempre me e mio fratello, la
domenica mattina. Ho vaghi ricordi di anatre, o forse papere, o forse
è solo la mia immaginazione e qualche film dimenticato. Volevo
abitare là, vivano a quel parco della mia infanzia, insieme ai
ricordi di mio fratello e di mio zio, in quel vecchio quartiere in
rovina. Trovare qualcosa fu una vera impresa, fui costretto ad
accontentarmi di due stanzette poco illuminate, che affacciavano
direttamente sulla strada. Quella tana aveva tutta l'idea di essere
nata come garage e poi ristrutturata in un secondo momento, puzzava di
chiuso e di muffa, un odore assordante ad ogni ora.
Ma era vicino al parco.
La sera rincasavo tardi e spesso mi
fermavo su una panchina, tra quelle davanti al laghetto, a riguardare
gli appunti della giornata, a leggere, a scrivere, a pensare, a
rilassarmi, a sentirmi a casa, vicino al mio natio cordone. Davanti a
quel lago scrissi la mia prima poesia, e, da quella sera, talvolta ne
compongo, inedite, quelle sono solo per me. Più che poesie, pensieri
volanti.
E
torno, nuovamente a sera.
Mi
spoglio dei pensieri,
che con
me hanno vagato,
nudo
rimango ad ammirare
la
semplicità di un ricordo vago,
sponde
morte di un lago di città.
Alcune sere non tornavo alla tana se
non a notte inoltrata. Prima, non vi riuscivo. Erano quei giorni in
cui l'inquietudine saliva fitta, come nebbia nel mio cuore; erano le
sere in cui girovagavo a lungo senza meta, nella buia città quasi
deserta. Agli angoli delle strade, agli incroci, ai semafori...
chiedevo indicazioni a solitari passanti, per il gusto di sentire una
voce diversa dalla mia, che urlava nella testa pensante. Entravo in
qualche squallida birreria lontano da casa, lì rimanevo fino a che
non m'acquietavo.
Era una di quelle sere.
Oleg, alcuni chilometri da me, sedeva
in un lussuoso ristorante, discutendo le sorti del nostro lavoro.
Avevamo già iniziato le riprese ma, come spesso e purtroppo accade,
ancora erano troppe le incognite. La bella quanto dura direttrice
della casa di produzione concedeva la sua stessa persona, per le
fondamentali decisioni. Io non ero stato invitato, e se da un lato mi
bruciava questo declassamento, dall'altro ero ben felice di aver
evitato quella cena faticosa.
Lo avrete capito, era un periodo in cui
mi limitavo a scivolar via tra i vari avvenimenti della mia vita,
aspettando di tornare alla vecchia cara routine.
Pioveva fitto e regolare, una pioggia
grigia e insistente, ricordava l'autunno alle porte. Avevo camminato
a lungo, ero stanco e bagnato, finito in una zona che non riuscivo a
riconoscere, forse appena fuori città. In una strada male
illuminata, un insegna di legno, con lettere sbeccate. Recava la
semplice parola BIER, e una fioca luce proveniva dall'interno. Scesi
i pochi gradini ed entrai in un classico locale bavarese, vuoto
eccetto per la giovane, che di bavarese non aveva nulla, dietro al
massiccio bancone. Era intenta a sistemare qualcosa alle sue spalle,
quindi non mi vide arrivare, nè mi sentì, forse troppo concentrata
per farlo. Si girò di colpo, arrossendo, come se fosse stata colta
in atti disdicevoli, tentò malamente un sorriso di accoglienza. Era
una bella ragazza, dagli occhi dolci, seppur allora l'imbarazzo le
confondeva i lineamenti.
Ordinai qualcosa per rifocillarmi,
sedendomi ad aspettare.
Iniziai a leggere il libro che avevo
con me, che io scriva in tedesco non presuppone che io legga nella
stessa lingua; l'italiano, stampato su un foglio di ruvida carta, è
molto più appassionante.
La ragazza arrivò con la mia birra, i
miei wustel, e i miei crauti. Era buffa, nel suo costume, produceva
uno strano contrasto agli occhi. Vidi che sbirciava tra le righe. Non
disse niente ma, prima di tornare dietro al suo massiccio bancone,
dette l'ultima occhiata al libro, evidentemente incuriosita.
Continuavo a essere l'unico avventore,
ogni pochi minuti controllando il cellulare, cercando un cenno da
Oleg, che non arrivava. Volevo, dovevo, sapere come era andata con la
bella e dura Asli. Vedevo il mio corpo dall'esterno, cambiare
posizione ogni pochi minuti, la mia inquietudine trasmettersi
intorno, sentivo gli occhi impauriti guardarmi con interesse.
Lentamente, la birreria si riempì, mi dimenticai di Oleg, di Asli e
di lei senza nome, fui catturato dalla lettura.
Posso dire, letteralmente, senza
sbagliare, che il sonno mi svegliò dal mio torpore; mi riscossi e
decisi di tornare alla mia tana. Alzandomi e dirigendomi verso il
bancone non trovai più la giovane dai lineamenti delicati ma un
ragazzone rubizzo, con la stazza da rugbysta. Chiedendo indicazioni
per tornare al parco con il laghetto, mi sorpresi che fosse così
vicino.
Per alcuni giorni non pensai più alla
vecchia birreria. Nè alla giovane.
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Un sogno
Oggi ho conosciuto uno scrittore,
indossava un vestito bruttissimo, ma era uno scrittore. Portava con
sè un'agenda, piena di numeri e simboli, ma era uno scrittore.
Abbiamo conversato per un poco, il suo fare mi annoiava, mi sentivo
tradito, non era brillante come doveva.
Oggi ho conosciuto un cantante ed era
simpatico, le sue battute erano argute, ma la sua voce
insopportabile; era un cantante, ma il sentirlo parlare mi
infastidiva. Mi ha presentato la fidanzata.
Oggi ho conosciuto una modella,
fidanzata con un cantante. Non era truccata e piena di difetti sul
viso, ma era una modella. Insieme a lei, un'amica.
Oggi ho conosciuto una ballerina,
vestita come un fiore ma scordinata nei movimenti; stava cadendo,
dall'alto dei suoi tacchi, ma era una ballerina.
Tornando a casa mi sono fermato a
parlare con un uomo; oggi ho conosciuto anche un giornalista. Era
molto affabile ma sembrava un perfetto ignorante.
Dopo tutti questi incontri sono giunto
a casa, e mi sono svegliato. Al di là dello specchio ho visto un
uomo. Ho conosciuto il signor Nessuno, era nessuno, ma era felice.
martedì 13 novembre 2012
Una storia romana
Una coppia si sposa, confusa tra le
tante altre della capitale.
Lui è Luigi, 30 anni; suo padre
possiede la maggiore catena di ferramenta del Lazio. Adesso Luigi è
il direttore del negozio più grande, più importante, più centrale
della catena. Spera che suo padre gli passi, interamente, lo scettro,
e a breve, ma teme di dover dividere la cospicua eredità con la
sorellastra, avuta dal genitore fuori dal matrimonio. Come
quest'ultimo, cresciuto negli agi, con la sua bella pappa pronta, il
suo massimo impegno è stato sempre fare la bella vita.
Lei è Teresa, 20 anni; viene dai
quartieri popolari. È una ragazzina sciocca e frivola, attratta da
un mondo che non le appartiene, cresciuta tra gli stenti. Non aveva
esitato a usare il suo bel corpo per esaudire i suoi capricci.
Finalmente riusciva ad accaparrarsi un bel riccone, gnam gnam.
In una clinica privata della
capitale nasce Sofia, la primogenita di Teresa, 22 anni.
Il padre Luigi è assente, questioni
di lavoro. O fandonie.
Teresa non si preoccupa troppo, lo
avrebbe già lasciato se non fosse che è estremamente ricco. Da due
anni non fa niente dalla mattina alla sera, oltre che a godersi i
soldi dell'amico, e a ripagarsi degli stenti patiti nell'infanzia.
Per festeggiare la nascita, Teresa
regala un'auto nuova alla sorella gemella, una decappottabile
d'epoca.
Molto bella e molto lussuosa.
Uno degli aspetti più interessanti
della nuova vita era che la famiglia del marito era facoltosa, ma non
conosciuta, poteva godersi la vita senza dover preoccuparsi degli
obblighi della mondanità.
Tra un anno si regalerà un bel
nasino nuovo e si darà una gonfiatina alle labbra.
Luigi se ne accorgerà appena.
Nasce Ivan, nella stessa clinica
dove, dieci anni prima, era venuta alla luce la sorella maggiore
Sofia. Teresa ha 32 anni e due tette nuove, sode da far paura.
Recentemente è stata tentata di
lasciare il marito, ma la morte del suocero le ha fatto cambiare
idea. Luigi adesso possiede tutta la catena di ferramenta, alla
faccia della sorellastra. Ha solo 42 anni, ma la sua vita di eccessi
lo fa sembrare più vecchio.
Va a vedere il figlio e, per
l'ennesima volta, non si accorge del seno nuovo di Teresa.
Una Teresa quarantenne mette al
mondo la sua terza figlia, Benedetta, nella solita Clinica, ormai
nota. Ivan ha 8 anni e la primogenita Sofia è appena diventata
maggiorenne.
La donna ha già prenotato una bella
seduta di liposuzione per il mese prossimo, ovviamente anche per la
sorella. Sembrano ancora due ragazzine, mentre il marito cinquantenne
invecchia sempre di più. Continua a essere un gran Don Giovanni, e
con i suoi saldi si circonda di ragazzine vere.
Non si reca alla nascita di
Benedetta, è impegnato con una delle sue amichette, che, tra
parentesi, è anche amichetta di Sofia. Sua compagna di classe.
Se Teresa rimane ancora con lui è
per la convinzione che a breve tiri le cuoia, così potrà ereditare
un bel gruzzoletto.
I suoi capricci sono sempre più
lussuosi, e la sua fame di denaro smodata.
lunedì 12 novembre 2012
L'uragano Sandy colpisce anche le tartarughe | noelife.it
L'uragano Sandy colpisce anche le tartarughe | noelife.it
Sandy ha interrotto il boom di nascite delle tartarughe marine
Sandy ha interrotto il boom di nascite delle tartarughe marine
La fedeltà di Dasher | noelife.it
La fedeltà di Dasher | noelife.it
Dasher, il cane che salvò il padroncino di 2 anni
Dasher, il cane che salvò il padroncino di 2 anni
In Spiaggia
Non dimentico, non posso dimenticare.
Anche al mio amico la vita stava
cambiando molto, in quegli stessi anni aveva appena iniziato a
cambiare veramente, si era svegliato dal suo torpore. Finalmente.
Arrivai in Sicilia poco dopo
Ferragosto, lo trovai come sempre, sulla spiaggia che vigilava. Di
fianco, un testo di medicina. Ancora non riuscivo a capire quella
dedizione per degli studi che non lo interessavano minimamente.
Ho lasciato l'università, le sue
parole di saluto.
E quel libro? Indicai al suo fianco.
Abitudine. Poi rimase in silenzio.
Tuo padre, come l'ha presa? Conoscevo
abbastanza bene il vecchio Giuseppe.
Non lo sa ancora. Ho deciso di prendere
il posto di Gaspare, fare il guardino della spiaggia. È quanto
meglio possa desiderare dalla vita.
Quando farete il passaggio di consegne
in municipio? Guardiano della spiaggia era un titolo comunale.
Ancora non gli ho detto che voglio
prendere il suo posto.
Hai già dato la disdetta ufficiale in
facoltà? Fissavo i suoi occhi grigi.
A settembre quando riaprirà la
segreteria; adesso sarebbe inutile. Si strinse nelle spalle, un gesto
che solevo fare spesso io.
Ma scusa hai detto che hai lasciato, ma
sembra che non hai lasciato proprio un bel niente. Avrai pensato di
lasciare, magari. Mi sono finalmente seduto al fianco di lui.
Quello che conta è la risoluzione,
sai? I suoi occhi mandavano lapilli, un gatto al buio.
Mi raccontò una storia strana, una
specie di visione che aveva avuto, una mattina, in cui in realtà non
aveva visto proprio niente, ma aveva capito che non poteva continuare
a quel modo. Doveva seguire il suo essere.
L'episodio mi convinse poco, ma quello
che conta è la risoluzione, come aveva appena detto lui.
Ero felice, il mio amico si era reso
conto di star vivendo la vita del padre e ne voleva porre rimedio,
doveva cercare la sua.
Lo convinsi a render noto il fatto
prima della mia partenza; parlò con il padre e con Gaspare quella
sera stessa.
Le reazioni furono molto differenti.
domenica 11 novembre 2012
Festeggiamenti letterari
Festeggiamenti letterari
San Martino: qual è lo scrittore giusto per festeggiare?
San Martino: qual è lo scrittore giusto per festeggiare?
giovedì 8 novembre 2012
Triste come un uomo
Per l'ultima volta, si disse, è
l'ultima volta che mi sveglio così. L'uomo sapeva che non era vero,
ma continuava a mentirsi, ogni mattina.
Lo aiutava ad alzarsi e ad affrontare
la giornata; giornata che sapeva sarebbe stata triste, triste come
era lui, triste come era diventato. Sono diventato un uomo triste,
disse al suo specchio, mentre si radeva. Non era un buon modo per
aiutarsi.
L'uomo triste andò in ufficio e vi
rimase fino a tardi; rimaneva spesso fino a tardi in ufficio, almeno
quando poteva; l'uomo triste era bravo nel suo lavoro, e lavorava
molto, molto più del dovuto, molto più degli altri colleghi, molto,
più di chiunque conoscesse. Solo lavorare gli distraeva la mente.
Alcune mattine usciva di casa con la
borsa della palestra, il completo da ginnastica che profumava di
bucato, un morbido accappatoio, il bagnoschiuma tonificante nuovo, un
paio di ciabatte mai usate. Non faceva la differenza, sapeva già,
uscendo, che mai sarebbe andato. Non più.
Prima non era così, prima i pensieri
che durante l'allenamento lo venivano a trovare non erano dolorosi.
In ufficio guardava lo schermo con la
testa inclinata, e una mano a sorreggerla; doveva risolvere un
difficile problema, sempre dei compiti più difficili si faceva
carico, aveva meno possibilità di distrarsi. Quando si alzava, con
obbiettivo il distributore dell'acqua, levava la mano dai capelli,
molti fili rimanevano sul palmo. La folta chioma dei tempi felici lo
abbandonava, come lo avevano già abbandonato i tempi felici, da
tempo. La massa ricciola era nera, quel nero che ti giri a guardare,
quel nero che sembra tinto, nero piume di corvo dopo un acquazzone. I
capelli che perdeva erano grigi, il grigio dei pensieri.
L'uomo tornò a casa e fece quello che
ogni sera faceva. Da solo, in silenzio. Fece la doccia, stirò una
camicia, cucinò con cura e assaggiò solamente il cibo che aveva nel
piatto, poi se ne andò a letto. L'uomo non prestava più attenzione
ai dettagli, non fece più caso a niente, molti di essi un tempo lo
avrebbero fatto ridere di gusto, magari con lei.
Miliardi di anni prima.
Si addormentò con fatica, come sempre
succedeva, con la stessa convinzione nel cuore, la stessa di tutte le
sere.
Domani sarà di nuovo così.
Questa era una convinzione mai l'aveva
abbandonato; anche nel tempo felice, chiudendo gli occhi, domani sarà
ancora così, ma con il sorirso sulle labbra.
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Diario di una botanica
Caro Bonsai,
sono di nuovo qui che ti scrivo, se
continuo così diventerò una scrittrice e non una fioraia.
Di nuovo ho l'animo in tumulto.
Oggi è stata una giornata molto
intensa, molto strana, molto triste, molto importante per la mia
vita. Ho una tale confusione in testa, solo due cose chiare.
Papà sta male.
Non sono pazza, come credevo da due
mesi.
Il resto è una gran confusione, te
l'ho detto, vediamo se riesco a mettere un barlume di ordine.
Il papà era a letto con la
broncopolmonite, da una settimana oramai. Aveva ragione la mamma,
quando non voleva che andasse a lavoro con l'influenza. Ma lui senza
piante non vive, ed è più testardo di un mulo. Diceva che l'aria
settembrina dei giardini l'avrebbe guarito, invece l'ha inchiodato a
letto.
Dovevi sentire la mamma, una
broncopolmonite alla tua età non è una passeggiata, e altre storie
simili. Lui faceva, ma io sono forte come una quercia, sono un
baobab. Sempre voglia di scherzare.
Questa mattina era peggiorato molto e
la mamma ha chiamato il vecchio dottore, che poco dopo era qui.
Mentre lui si dirigeva verso la camera, io e lei rimanevamo sedute al
tavolo della cucina, il bricco del caffè ancora intatto tra noi.
Non dicevamo una parola ma leggevamo
emozioni in volto.
La stanza ha iniziato a essere molto
rumorosa e il tempo non passava più.
Finalmente il medico ci ha raggiunto,
passo pesante e aria grave, si è seduto e si è servito una tazza di
caffè, lo stesso che noi non riuscivamo a bere. Mamma l'aveva
letteralmente buttato giù dal letto.
Lui parlava e io ero come in un altro
mondo, ha detto che l'infezione si era allargata, alcuni passaggi
poco chiari, e, in conclusione, che mio padre aveva contratto una
forma di meningite fulminante.
Contratto, che parola brutta.
Mia madre si sforzava di non piangere;
papà ha al massimo una settimana di vita e forse poche ore con le
proprie facoltà mentali integre. Ci ha lasciato due scatole di
antibiotici ma ha detto di non nutrire false speranze. Sarebbe
tornato in serata.
Lui è uscito e la mamma è salita
nella camera dove giaceva il papà, io non mi sono mossa. Non sono
riuscita a fare niente, nè a formulare alcun pensiero, gli oggetti
intorno a me apparivano ora falsi, ora sfocati, la terra e la sedia
erano due entità distanti.
Nozione del tempo nuovamente persa.
Mamma è venuta a chiamarmi, perchè il
papà mi doveva parlare. Ho temuto per un istante qualcosa del tipo
ultimo saluto alla figlia, straziante per entrambi e inutile a
modificare il corso degli eventi; ma lui non è il tipo.
Avevo ragione, aveva qualcosa di più
importante da riferirmi, aveva una RIVELAZIONE.
Mi ha parlato della mattina in cui mi
capitò il fatto strano, tu sai di cosa parlo, la mamma gliel'aveva
raccontato quel giorno stesso mentre faceva colazione. Entrambi
avevano deciso di confidarmi tutto solo quando uno di loro stava per
lasciare questa terra.
Era giunto il momento.
Ha detto che loro sapevano cos'era
stata in realtà la mia avventura, e la temevano fin da quando ero
più piccola, in fondo mia nonna materna era una delle poche persone
con la capacità. Mia madre non l'aveva ereditata e neppure mio padre
ce l'ha, è una caratteristica prevalentemente femminile. Si
ricordano pochi uomini così a Laguna.
Però sono entrambi iniziati. Ovvero
sono tra coloro, pochi, che conoscono e tramandano il segreto del
nostro paese, il grande e inquietante segreto. Mi ha parlato di un
consiglio, cui anche io sarei stata introdotta, il consiglio segreto
degli iniziati, si riuniscono in una grotta.
Si può essere iniziati per eredità
familiare, come noi, o per posizione. Il consiglio serve
ogniqualvolta succedono problemi, o c'è da gestire qualche
imprevisto.
Le domande erano tante; ho preferito
tacere.
Sono tornata in camera mia e la mamma è
andata a trovare il parroco, che dopo poco l'ha seguita qua per
l'estrema unzione.
Dopo ancora, oggi questa casa era un
viavai continuo, è arrivata l'ambulanza per portarlo in ospedale.
Non credo che metterà più piede in
questa casa.
Mamma è andata con lui, io sono
rimasta qui, con la mia angoscia e i miei pensieri.
Scusa, caro Bonsai, se non ti ho
scritto di più sulle rivelazioni di mio padre, ma ho paura. Anche se
il papà ha detto che non c'è nulla che io possa temere, il tremore
si è impossessato del mio corpo.
Le domande non si placano, ma si
moltiplicano e si fanno più insistenti.
Perchè la maggior parte dei Laguni è
all'oscuro di tutto? Chi sono gli altri iniziati? Quali possono
essere le emergenze da gestire? Perchè ho ereditato il Dono da mia
nonna e cosa comporta?
Se metto a tacere tutti i miei dubbi,
la consapevolezza che forse non sentirò più la voce del mio amato
papà mi toglie il respiro.
Quanto vorrei addormentarli per
chiudere definitivamente questa terribile giornata.
La tua piccola e terrorizzata
martedì 6 novembre 2012
Una donna
Aveva voglia di parlare e questo non
era certo una novità.
La signora si mise alla finestra ad
attenderlo. Era anziana ma si conservava bene, non dimostrava più di
cinquant'anni.
Sono forse io.
Lui invece poco più di trenta. Almeno
così credeva lei, non si conoscevano molto bene. Lui era
semplicemente il suo vicino. In realtà non le stava nemmeno troppo
simpatico, ma era sempre disponibile per scambiare due parole, ed era
questo che a lei interessava. Nient'altro.
Aveva un costante bisogno di parlare
negli ultimi mesi.
L'imbrunire catturava il suo sguardo.
Un manto scuro s'impossessava della strada, e lei, gli ultimi uccelli
sui pali, rimaneva a guardare.
La pace invadeva il tranquillo isolato,
non contagiandola.
Viveva inquieta. Inquietamente spostava
il peso da una gamba all'altra, la gonna della fine dell'estate lunga
fino alle ciabatte. Vecchie, da casa, una fascia con disegnato un
motivo geometrico. Inquietamente sistemava i suoi capelli; anni di
permanente le avevano fatto dimenticare il suo vero aspetto.
Fu fortunata, il giovane arrivò. Era
un uomo come tanti altri, niente in lui rivelava qualcosa di
particolare. Sovente, negli ultimi mesi, tardava in ufficio, lo
sentiva rientrare a sera inoltrata, quando scuse per affacciarsi, non
ve ne erano. Lavorava molto, la donna ignorava anche cosa facesse.
Si salutarono, cortesia appena
impercettibile. Lei fece un'osservazione sul tempo, lui spostò la
ventiquattr'ore nell'altra mano e rispose meccanicamente.
Probabilmente pesava molto.
Aveva il volto tirato, sparì subito
dopo dentro il suo portoncino.
Anche la donna fu costretta a
rientrare; inquietamente si sedette e accese la tv.
La piaga del bracconaggio | noelife.it
La piaga del bracconaggio | noelife.it
Polenta e usei: gli uccelli protestano
Polenta e usei: gli uccelli protestano
La strada
La strada stesa sotto il sole, sembra
allungarsi ad ogni passo. Quello zaino sulle spalle, pesa, fardello
di una colpa che sentiva, seppur sapendo di non avere.
Respira la polvere, che alzano i suoi
piedi, adesso la strada è diventata un sentiero, non piove da molto
nella calda regione.
Il paesaggio, un tempo noto, non le è
più familiare, è convinta di aver sbagliato strada. Non un segno,
all'orizzonte, che la rincuori. Procede fidandosi del suo istinto.
Si ferma a riposare, appoggiata con la
mano a un nodoso tronco, sul palmo la corteccia disegna per lei.
È passato così tanto tempo che... non
ci pensare, cammina, la strada è lunga. Lei vuole arrivare, lei ha
paura di arrivare, non è certa di sapere.
Il sole si sta abbassando
all'orizzonte, è meno faticoso procedere, il riverbero non acceca
più.
I piedi, nelle pesanti scarpe fuori
stagione, fanno male, avrebbe bisogno di refrigerio. Lei ricordava un
ruscello, che non riesce a vedere. Dovrà aspettare ancora, per
fortuna la destinazione è prossima.
Eccola, quella collina, adesso ha la
certezza di aver imboccato la strada giusta.
Dietro la casa, dentro l'uomo.
Finalmente lei è lì davanti. Dopo tutti questi anni è riuscita a
tornare, finalmente, dopo tutti questi anni che diritto ha di entrare
in quella vita, nuovamente, dopo tutti questi anni non si sente più
sicura.
Dopo tutti questi anni, dopo tutta
questa immensa attesa, gira la testa per ammirare ancora una volta il
suo sogno, poi si allontana.
Lui è alla finestra, e di fermarla non
ha il coraggio.
lunedì 5 novembre 2012
Cani e... cioccolato | noelife.it
Cani e... cioccolato | noelife.it
Perché fa male il cioccolato ai cani?
Perché fa male il cioccolato ai cani?
domenica 4 novembre 2012
La partenza di giugno
Giugno è sempre stato il mio mese
preferito, non chiedetemi perchè. A Giugno può succedere tutto. Ed
era Giugno. Ed era quel treno. Il mio treno. Il treno che preferisco.
Parto di prima mattina e giungo che la serata è al termine; diretto,
l'unico diretto tra le due cittadine assai distanti; molte fermate,
molte ore, nessun cambio.
Giornate dense su quegli scomodi
sedili.
Potresti prendere l'auto. In due ore
sei già all'aereoporto, e in un altro paio d'ore arrivi direttamente
là. Ancora non capisco perchè ti ostini a voler perdere tutto
questo tempo, e a viaggiare così scomodo. Magari tu risparmiassi,
no, neanche quello.
Mia madre non capirà mai il mio
rapporto col treno. Ho sempre creduto che si ostinasse a non voler
capire, adesso ho cabiato idea. Radicalmente. È più probabile che
sia io, a non sapere trasmettere la mia idea, a non saper aprirmi
verso gli altri, per coglierne i loro, di messaggi. Sono io, quello
barricato in me stesso, nelle mie idee e nei miei pregiudizi.
Me lo ha detto quel treno, nella notte
di Giugno.
Io, così bravo a scrivere, e parlare,
e far parlare i miei personaggi, e inventare storie, e immedesimarmi
in uomini invisibili, e capire sentimenti di donne mai nate, io, che
creo mondi parallelei, con lo stesso realismo delle mie impronte
sulla soglia nei piovosi giorni autunnali, io, che non colgo i suoni
della mia vita. Percepisco la melodia ma, senza saperlo, mai avevo
udito le singole note.
Avevo chiesto a mio fratello di
accompagnarmi fino alla stazione; pochi giorni sarei rimasto, ma
avevo con me molti bagagli. I bagliori dell'alba di Giugno sono
splendidi, e frizzante l'aria sebbene si annunci già il calore, il
profumo della rugiada sornione aleggia.
Ci concedemmo un caffè al bar quasi
vuoto, i pendolari non erano arrivati.
"Allora?"
"Allora cosa?"
Si strinse nelle spalle e non rispose.
Il fatto è che io e mio fratello sia molto legati, ma, quanto a
parlare, è proprio un altro discorso. La mia vita era un maledetto
guazzabuglio, arenato come da giovane, nelle fotografie che non ero
capace di fare, ma con molti anni in più da sopportare.
"Quanto ti trattieni?"
"Poco, ancora di preciso non lo so, ma poco."
"Poco, ancora di preciso non lo so, ma poco."
Mi guardava, e dietro a quegli occhi,
gemelli dei miei, muto rimprovero colmo di fraterno amore. Io, con il
mio carico di inquietudini, di sbagli, di strade interrotte, di
ripensamenti, lui con le sue nette limpide definitive scelte. Aveva
vent'anni, disse qui, e lì vive ancora, disse questo, e tale rimane
il suo lavoro, disse lei, e sono ancora felicemnte sposati. Io...
"Perchè non ti stabilisci lassù
in maniera definitiva?"
Effettivamente sarebbe stata la
soluzione migliore per il mio lavoro, però...
"Te andresti mai via da qua?"
E lui alzò il sopracciglio, assumendo
quella vecchia espressione che, da ragazzo, aveva fatto strage di
cuori.
Una ragazza semplice
...serpenti sotto il letto, accendi la
luce, veloce...
Una volta accesa la luce la ragazza si
sentì più sicura. Tutta colpa di quella piccola fobia nata
nell'infanzia.
In un prato vicino casa giocava, con
sua sorella gemella e un palloncino colorato che, come i palloncini
colorati hanno di vizio, finì su di un cespuglio, e da sotto il
cespuglio, disturbato dal fragore delle due bambine, usci un
serpentello. Le due bambine, seppur gemelle, niente avevano in
comune. La nostra ragazza si terrorizzò, l'altra gli tirò spavalda
un legnetto, e più una era terrorizzata, più l'altra diventava
spavalda, e più l'altra diventava spavalda più prendeva in giro
quella terrorizzata, e più veniva presa in giro più quella
terrorizzata si terrorizzava ancora di più.
Un piccolo disastro.
Come c'era da aspettarsi il piccolo
episodio si concluse banalmente, la povera e innocua biscia vide bene
di strisciar via in tutta fretta e le due sorelline misero il
broncio. Se non ricordo male per cinque minuti, ma potevano essere
anche quattro o sei.
Da quel giorno a una delle due non
passò più la fobia dei serpenti, alla nostra ragazza appunto che
finì di vestirsi e scese in strada, un jogging leggero nelle vie
deserte.
Aveva dormito poco, ma si sentiva
riposata, in forze, sfilava felice lungo le costruzioni addormentate.
Lasciava la sua testa vagare beata, non ascoltava le preoccupazioni.
A differenza di altri che abbiamo conosciuto lei era veramente
felice, anche se molti ne dubitavano.
La ragazza non dava nell'occhio, la sua
felicità, una felicità sottile.
Viveva sola, in un piccolo monolocale
di periferia, aveva un lavoro semplice e pochi amici, erano passati
molti anni dal suo ultimo uomo. Quale contrasto con la sua esuberante
sorella che viveva nella bella casa del fidanzato, villettina in
centro, aveva un lavoro molto ammirato, contornata da amici cui
sapeva sempre imporsi, esistenza scintillante e forse superficiale.
Ma è presto per giudicare.
Torniamo alla ragazza con la fobia dei
serpenti, lei era molto soddisfatta, aveva scelto quel quartiere per
la tranquillità che vi regnava, aveva arredato la sua piccola casa
con cura, riuscendo a farla divenire specchio di sè, il suo lavoro
era una passione. Nel tempo libero si dedicava ai suoi numerosi
hobby, e ai suoi amici, pochi ma cari. Allorchè un uomo giusto
avesse bussato alla sua porta lei sarebbe stata pronta per aprire,
non prima, e l'attesa non la disturbava.
Come avrete capito la ragazza che
temeva i serpenti era una ragazza semplice, come semplice e delicata
la sua bellezza.
sabato 3 novembre 2012
JACK
Jack sedeva là, ormai da mezzora, e il
suo corpo tendeva ad abbandonare la tranquilla posa di poco prima per
irrigidirsi, una leggera tensione nervosa lo incupiva.
Non vedeva la città da molti anni,
dieci o poco meno, lì, quando era un ragazzo, non c'era un bar. Era
giunto all'indirizzo, segnato dietro a quel vecchio biglietto da
visita, con cospicuo anticipo, ed era entrato. Una ragazza dall'aria
stanca stava lucidando alcuni calici da vino. Vino italiano.
Calibrava ogni gesto, poi li allineava nella mensola alle sue spalle.
Dovrei incontrare una persona, sa se
sia già arrivata?
Il tono è cortese, distante ma non
distaccato.
La ragazza guardò intorno nel piccolo
locale vuoto, e le venne da ridere.
Credo dovrà attendere, accompagnando
le sue parole con il miglior sorriso che le riuscì. Quell'uomo
attirava sorrisi, anche se, a ben guardarlo, non sembrava molto
felice.
Si fece preparare un toast ben cotto e
una spremuta di arancia, sedendosi ad attendere ad un tavolino,
illuminato dal sole pomeridiano. Era stanco e affamato, spossato e
impolverato dal viaggio, ma si sentiva ancora sereno. E sopratutto
soddisfatto. Finalmente avrebbe incontrato lei, quella donna che
inseguiva da molti anni, quella donna che avrebbero potuto rispondere
a molti perché, quella donna che avrebbe potuto finalmente far
chiarezza nel suo passato.
Arrivò la spremuta, era fresca e
dissetante. Arrivò il toast, era caldo e buono, ma non gli tolse la
fame; ne ordinò un secondo, scorrendo i titoli di un quotidiano
locale. A Jack sembrava impossibile, tutti quegli anni di assenza e
succedevano sempre le stesse cose; niente cambiato di una virgola,
anche se, da come ricordava, erano molte le cose da cambiare.
Ripose il giornale e prese un pesante
tomo dal borsone da viaggio. La ragazza, nel porgergli il nuovo
toast, scorse una lingua strana stampata sulle pagine.
"Vieni da lontano?"
Chiese incuriosita, ma subito si pentì
della domanda.
Mosca.
Evidentemente l'uomo non aveva voglia
di parlare molto.
"Ma non vi sono rimasto a lungo,
fino a pochi mesi fa vivevo ad Oslo."
E adesso? Lei preferì non esternare
questa nuova interrogazione e tornò dietro al bancone.
Rimasero così a lungo.
Lui leggeva assorto, fino alla più
insignificante cellula conquistato dalle pagine, in quella lingua
assurda, lei con i suoi bicchieri, ormai tutti brillanti, lo guardava
rapita. Notava il corpo di lui che iniziava a dare segni di
inquietudine, sentiva l'ansia salire nei suoi respiri, ma annusava
l'aroma della vita che pulsava, provenir da lui.
Un notiziario alla radio lo distolse
dal suo libro, facendogli volgere gli occhi al grande orologio con le
lancette turchesi.
"È giusta l'ora?"
Lei annuì.
"Allora inizio a temere di
aspettare invano."
Ormai si trovava nel piccolo bar da più
di un'ora. Lei non commentò nulla ma, con un singolo, semplice
gesto, gli offrì una sigaretta.
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venerdì 2 novembre 2012
Un tuffo a Laguna
...
Io,
come sapete già, mi chiamo Pino, ma ignorate è che sono nato a
Laguna, ed è normale che non l'abbiate mai sentina nominare, prima
d'ora; mi sono accorto, negli anni, quasi nessuno la conosce.
Tuttavia,
per capire me, e la mia storia, dovete prima capire Laguna, cosa vuol
dire nascere, vivere e crescere laggiù.
Si
dice che fu chiamata così perché prima era una palude, bonificata
da un eroe venuto dal mare e nel mare tornato subito dopo, ma è una
leggenda dei vecchi, i libri di storia non dicono niente.
Laguna
è una cittadina, si snoda lungo la costa del mare più limpido che
si sia mai visto, il mare in cui i tramonti sono i migliori al mondo.
Laguna è più lunga che larga, solo una via principale l'attraversa
tutta, da sud a nord, parallela alla costa. È interamente immersa
nella campagna.
Sornione
è lo strano nome del fiume che la taglia a metà, non è
grandissimo, ma sul suo estuario ci hanno costruito il porto, fulcro
della città.
Scusate
mi interrompo, ho già sbagliato.
Io
adesso vi dico tutto per benino, questo è così, quello è colà,
ma, realmente, io non lo so più. Era così, era cosà. Potrebbe
essere cambiato tutto, anche se ne dubito. Facciamo finta che sia
ancora come l'ho lasciata io, va bene? Mi aiuta a sognare meglio. E
sognare è importante.
Dicevo,
il porto. Prima che lo costruissero, un vero porto non c'era. Del
porto sono sicuro, anche se, neppure questo, c'è sui libri; non è
una leggenda, perché c'è una grossa targa con la data e il nome di
tutti gli uomini che l'hanno costruito. Prima le barche dei pescatori
erano solo piccole imbarcazioni a remi, tutte in legno, che venivano
lasciate sulla spiaggia, quella a sud del fiume.
Stop,
altro errore, io continuo a dimenticare cose. Ma sapete, parlare di
un posto come quello è complicato, e io sono un uomo semplice, lo
sono sempre stato, siate buoni, magari, appena parto un poco con la
storia, tutto migliora.
La
prima è che il porto è solo un porto di pescatori, ma poi lì ci
torniamo; la seconda è che c'è una grande differenza tra la riva
sud e la riva nord. La riva sud è una spiaggia continua, granellini
bianchi e finissimi, come nei film, mentre a nord, dopo il porto, o,
se vogliamo, dopo la foce, iniziano le scogliere, le insenature, i
golfi piccoli piccoli che saranno massimo, ma guardate esagero, cento
metri, da un capo all'altro, e quelli grandi un paio di chilometri,
le spiaggette nascoste, le baiettine interne, isole di sabbia grandi
appena per sedersi, e via così, anche quando finisce la città e
inizia la terra brulla e cespugliosa, che trovate dopo Laguna. Ci
sono anche tante grotte sommerse, o mezze sommerse, a saperle
conoscere, a nord; ad alcune arrivi solo dal mare, altre anche dalla
scogliera, ma, di solito, da sopra, sono passaggi stretti e
pericolosi, quasi mai praticabili. E poi c'è anche differenza tra
chi abita su o giù, il modo nostro per dire a nord e a sud, ma
questo lo dico dopo sennò ingarbuglio, a voi, e perdo il filo, io.
Sornione,
il fiume, è largo un chilometro quando la strada ci passa sopra. In
quel punto la strada diventa un ponte, via del Ponte Alto è
chiamata, anche se tanto alto in realtà non lo è. Passato sotto il
ponte, il fiume diventa porto.
Vi
piace Laguna? Carina, vero?
Però,
io avevo iniziato pensando di parlarvi delle persone di Laguna,
adesso devo rimediare.
Noi,
i Laguni, ci conosciamo tutti o quasi, almeno di vista; siamo persone
semplici, viviamo con poco, legatissimi alla nostra terra, cordiali e
riservati, gioviali, sempre in festa, ma per nulla, seri e laboriosi
nelle nostre attività, onesti e buoni. Viviamo beati nella nostra
isoletta di pace. Di pace sì, perché è così lontana da tutto che
nessuno ci passa mai, così, per caso, ero per la strada e sono
venuto a vedere com'è Laguna, nessuno ci viene in vacanza, cose da
turismo noi non ne abbiamo, né ne vogliamo, dal nostro porto non si
arriva in nessuna isola, il mare davanti è sconfinato, industrie non
ve ne è, solo qualche piccola attività artigianale del luogo, ogni
tanto arriva un grande camion a rifornire questo o quel negozio. Poi
basta, riparte subito e noi restiamo in pace. Non è che non amiamo
gli sconosciuti, solo che nessuno ha motivo di venirci, tutto qui. E
noi sempre gli stessi siamo. Ogni tanto qualcuno, un forestiero, si
stabilisce lì, appare dal nulla e non ha tanta voglia di parlare del
suo passato, ma si rivelano tutti brava gente, alla fine, oppure
altri, qualcuno dei nostri prende e se ne va, senza dire niente a
nessuno. Ma anche queste sono cose rare, capitano solo una volta ogni
molti anni, forse capitano da tutte le parti, non è strano, ma da
noi, dato che siamo sempre quei pochi, si vede di più.
In
città due cose sono importanti, la terra e il mare.
La
terra, perché la campagna è piena di orti, che le donne del paese
coltivano con cura, cresce di tutto in una terra fertile e amata come
la nostra. Poi le primizie si vendono al mercato, o si scambiano con
i vicini.
Il
mare, perché è la nostra seconda terra, quasi tutti i nostri uomini
sono pescatori; tornano al tramonto, con le reti cariche. Nel porto
c'è uno slargo chiamato il Mercato del Pesce, ma solo dalla gente,
in realtà non ha un nome vero e proprio. Funziona così. Prima che i
pescatori scendano con le loro ceste, sui pescherecci salgono gli
Chef a scegliere quelli più belli, servono nelle loro grandi cucine.
Quello che rimane, viene venduto ai Laguni radunati. Non avanza mai
niente, ma nessuno ritorna a casa senza quello che voleva.
Quasi
tutta la cittadina è sviluppata a nord, il mercato, non quello del
pesce, l'altro, i negozietti, le scuole, il piccolo ospedale, il
municipio, le banche, la posta, i ristoranti, tutto dopo il ponte. E
gran parte delle persone vivono dopo il fiume. È dopo il fiume che
vengono fatte le feste, è dopo il ponte che la gente va al mare.
Prima
del fiume solo poche case, quasi tutti anziani, oppure gli amanti
della solitudine, della tranquillità. Se preferiscono così fanno
bene, noi li rispettiamo, non ci sono distinzioni di migliore e
peggiore. Lì c'è solo un bocciodromo, un centro anziani, un piccolo
bar, e l'asilo nido per i bambini piccoli. Quella spiaggia, seppur
bellissima, viene frequentata poco, anziani che passeggiano al
mattino, coppiette innamorate al tramonto, ragazzini che giocano a
calcio, incursioni veloci, rapide, solitari notturni.
Prima
vi parlavo degli Chef, ma mi sono dimenticato di spiegare come mai ce
ne sono così tanti, in un posto così piccolo; una delle nostre
specialità sono i ristoranti di pesce. Come cucinano il pesce i
Laguni, non ve ne è altrove, non potete immaginare. Ci sono
ristoranti di tutti i tipi, e, siccome sono tutti così diversi tra
loro, lavorano tutti, non si è mai visto uno fallire. Ci sono quelli
specializzati nelle fritture, quelli nelle grigliate, quelli che
propongono specialità al forno e quelli ottimi per i primi piatti.
Alcuni invece si dedicano semplicemente ad assaggini sfiziosi. Poi ci
sono quelli più rustici ed economici e quelli più lussuosi,
ristoranti per coppiette, quelli da giovani, quelli per famiglie.
Andare a mangiare pesce a Laguna era sempre un piacere, trovavi
sempre quello che desideravi.
Mio
padre, Gino, invece, fece un'altra cosa. Magari non aveva grande
fantasia ma gli arrivò un'intuizione geniale. Lui diceva che
gliel'aveva mandata il mare. Io so che non era vero, però. Era stata
la mamma dal cielo. Aprì la prima e unica pizzeria.
A
tutto tondo.
Divenne
pizzaiolo provetto e trasmise a me la sua arte e passione.
Chi
era Pino? Era il grande pizzaiolo.
Cresciuto
tra farina e forno, iniziai da subito ad innamorarmi di quell'impasto
grumoso che dovevi lavorare come fosse stato un bambino perché poi,
se eri stato bravo con le dosi e con le mani, diventava una bella
palletta tonda e liscia. Iniziai a provar piacere nel vederla
crescere piano piano, sotto il panno che si gonfiava, fino a che non
era della consistenza giusta. Accarezzarla nuovamente per farne
diventare un bel disco schiacciato, alto tutto uguale, tutto bianco.
Farla tutta bella con i condimenti, più bella non si può e poi, con
la pala, sollevarla delicatamente per infornarla. Assistevo
stupefatto alla magia e, se ero bravo nel tirarla fuori al momento
giusto, usciva così fragrante, così profumata, così bella
marroncina che non avrei mai voluta farla mangiare a nessuno, la
dovevo conservare talmente era perfetta.
Amavo
il mio lavoro quasi quanto il mare. Era bello, a fine serata scendere
giù nella spiaggetta.
Ah
sì, perché, dimenticavo, A tutto tondo era una pizzeria sul
mare, avevamo una terrazza bellissima su di una scogliera ampia e una
caletta sabbiosa, sottostante. Mio padre fece costruire una scalinata
per accedervi, la baia era a disposizione dei clienti, se lo
volevano, per un po' di tranquillità dopo cena. Io vi scendevo ogni
sera.
Amavo
il mare alla follia, guardarlo, entrare nell'acqua tiepida, ma,
sopratutto, nuotare sotto le stelle. Questa era la cosa migliore.
Niente al mondo la superava. Le stelle, il mare, la pace, la
soddisfazione della serata. E io, che nuotavo tranquillo.
Per
me era il massimo, davvero. Poi mi successe una cosa che mi fece
cambiare idea, trovai qualcosa che amavo maggiormente.
Una
sera conobbi mia moglie.
giovedì 1 novembre 2012
La cena
Lui annodò la cravatta, lei usci dal
bagno che di fiore profumava.
Cara, sei pronta?
Un attimo ed eccomi.
È lui ad allacciarle gli orecchini, ed
è lui a tirarle su la cerniera del vestito.
Per strada si girano, non prendiamo
l'auto, ti dispiace?
Due passi, figurati.
Mano nella mano, le ombre della sera si
allungano, sicura sugli alti tacchi, a suo agio seriamente vestito.
Discorrono, si animano, paiono davvero felici.
La borsa che vorrei comprare.
Una vecchia chiude la saracinesca del
suo negozio.
La partita di tennis di Giovedì, ti
ricordi il mio collega?
Ragazzi in bicicletta, ignari del
resto.
Il cucciolo che potremmo adottare.
Un ragazzo solo, aspetta ad un angolo.
Il film dove vorrei portarti.
Arrivano finalmente al ristorante, ci
sono già tutti, affrettano il passo, sorridono, si scusano.
Il loro tavolo è già pronto; quello
là? Sì, andiamo.
Un bracio intorno alla vita, lei è
trascinata, si lascia manovrare inerte, sempre. Quest'idea che tutto
succeda, ma che non sia lei a muoverlo.
Chiacchiere e risate, progetti da
amici. Lui talvolta le cerca la mano, e lei allora il sorriso;
invidia negli altri.
Quando a lui squilla il cellulare, un
cenno, scusate, si alza, ma è breve, estremamente breve, tornato a
sedersi sembra più torvo, un'impressione, si china all'orecchio di
lei, lavoro, un sussurro, voce non sicuro.
Perchè mai deve dirmelo, i pensieri di
lei, tra gli smalti con le amiche.
Lei ha bisogno di ritoccare il trucco,
scusi mi sa dire... ma la risposta non esce da quelle labbra, solo
uno sguardo che profuma d'invito, un veloce bigliettino che sparisce
tra le mani. Anche lei al ritorno sembra più tesa, si è truccata
troppo, pensa lui.
La torta la mangia solo lui, quella di
lei, che alle labbra gli viene portata. Lampi di rimprovero alle
altre fidanzate, le ragazze esasperate, ogni volta voi due ci fate
litigare, tutti ridono, l'hanno detto con lievità.
Lei è stanca, per tornare a casa, lui
la deve tenere stretta per la vita; comunque a piedi è voluta
andare. L'eco dei tacchi nelle buie vie centrali, solo loro sotto la
luce dei lampioni. Un gatto spelacchiato nemmeno alza la testa, la
stanchezza degli anni gli ha intrigato i baffi.
Continuano a parlare, di questo, di
quella, del weekend, delle vacanze, della festa cui andranno e quella
che vogliono organizzare.
Però lo prendiamo un cane, vero?
Casa, arredo a nuovo. Si sono divertiti
a sceglierlo insieme. Lei è stanca, crolla sul letto; lo stesso
letto scelto da lei ma che le arreca un senso di estraneità.
Lui accende la televisione, la sua vita
potrebbe essere uno qualunque di quei programmi. Uno vale l'altro.
Si addormentano quasi nello stesso
momento, tuttavia felici.
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