lunedì 29 ottobre 2012

Il caffè

Dopo aver nascosto tutto sotto il letto, apre la porta, la casa è piccola, ma l'uomo è anziano, gesti precisi da orefice, molto lenti. Al di là una donna, come lui anziana, attende, dubitando che sia in casa. Il sorriso ricambiato, genuino quello di lei, cortese di lui, che di lato si sposta per lasciarla entrare.
Come stai? Alzata di spalle.
L'anziano signore poco gradisce la visita della sua dirimpettaia, ma è un anziano cortese e ospitale, sui fornelli una caffettiera attende, pronta per ricevere il calore della bassa fiamma. Con eguali gesti misurati la mette a bollire, poi si accomoda.
Seduti l'uno di fronte all'altro, i due ospiti non dicono una parola, solo con le tazzine in mano scioglieranno le loro lingue.
Abbiamo il tempo di guardarci in giro.
La stanza ampia, ma spoglia, si abbraccia con un'occhiata. Una vecchia cucina sbeccata, il forno usato come dispensa, sembra decenni che sia così, intorno al tavolo quattro sedie spaiate, logoro il divano, sotto il lenzuolo che lo ricopre. Una lampada del dopoguerra troneggia incontrastata. Nell'unico mobile, che a tutto serve, poche foto sono esposte, tra i soggetti un volto di donna, bella e austera, nella stanza si respira la sua mancanza. Le stesse foto intravediamo nella camera da letto, egualmente spoglia, egualmente triste.
Ecco abbiamo finito, salvo che per una specie di magazzino, la chiave che lo chiude è nella tasca dell'uomo.
Fischia la moka sui fornelli, ed è la donna da alzarsi, pochi anni in meno e poche energie in più gli impongono questo dovere. Movimenti precisi, di chi conosce l'ambiente. Vissuti per anni vicini, solo il buongiorno era d'obbligo. Fino a pochi anni prima due anziane coppie si ignoravano felicemente; candido amore degli anni sfioriti si consumava dietro a quelle mura. Entrambi vedovi, nel giro di un mese, rimasero.
L'uomo meccanicamente il suo cucchiaino nella tazza girava, ascoltando il tintinnare nella porcellana, per una vita sua moglie gli aveva girato il caffè; la donna lentamente muoveva il suo, per una vita aveva mescolato anche quello del marito. Molto sola si sentiva, adesso, e la solitudine si sommava al dolore; anche il mio vicino si dovrà sentire così, pensava. Era il giorno in cui, per la prima volta, aveva bussato. Un vassioio di biscotti appena sfornati che poi non portò più, erano quelli che faceva al marito; a presentarsi per il caffè, continuò.
L'uomo arso dal dolore preferiva la solitudine, mai disse niente, ma neppure lei chiese. Lei non chiedeva, parlava, raccontava, esponeva, argomentava; come risposta qualche breve cenno di assenso le poteva bastare. L'uomo non l'ascoltava più, alla donna.
Le piante del suo balcone morte durante l'afosa estate lo trovarono intento a guardarsi le mani. Mani vecchie, stanche, rugose, macchie della pelle che geometrici motivi disegnavano.
Passava ad osservare il viso della defunta moglie, e la donna che mai aveva avuto la patente, passava a lamentarsi del caro benzina. Quel viso da Gioconda, serio che sorride.
Dalla benzina, e se c'era un nesso lo perdevo io, arrivavano al cuciolo che la donna voleva adottare, ogni giorno un animale diverso. All'uomo cadeva lo sguardo su quel libro segreto che, male aveva nascosto sotto il divano.
Le campane della chiesa, oggi lo salvano, la donna sparisce dietro alla porta.

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