mercoledì 31 ottobre 2012

Quello strano pescatore

OGGI NOCE STANCA, IL RE DEL MARE E MOLTO FURIOSSO
La prima e una delle pochissime scritte di Marino.
Andò così.
Era di nuovo inverno e, per il secondo anno di fila, inverno voleva dire freddo, pioggia e vento.
I vecchi dicono che, ai loro tempi, le stagioni erano più miti, frottole, si sono scordati diverse annate, a quanto mi risulta. In quella, di mite, c'era ben poco.
Pioveva, come se tutta l'acqua del cielo dovesse abbattersi su di noi in una sola notte, il vento non era troppo freddo ma implacabile, il mare in bufera. Ogni tanto mi sembrava che le onde mi entrassero nel bar, magari si sarebbero portate via quel vecchio biliardo.
In tale sera, erano tutti rintanati nelle loro casette, fatta eccezione per qualche incallito di TV, che, evidentemente, non ne possedeva ancora una, seduto nella seconda sala.
Ai tempi c'era ancora quella piccola in bianco e nero, che trasmetteva solo se di buon umore.
Una testa sbucò da dietro il vetro, ho tempo di vederlo e riconoscerlo, ma è solo un attimo, poi il vecchio Marino fece il suo ingresso, pulce bagnata. Prima aveva controllato che non ci fosse troppa gente, con il locale pieno non entrava mai.
Almeno in quegli anni era cosi, poi, sposandosi, è diventato meno eremita, ma di poco.
"Scusa se ti infradicio tutto."
Si scusò con quel modo impacciato di rivolgersi alle persone, che non è migliorato molto; poi mi stupì. Ancora non sapevo che negli anni mi avrebbe continuato a stupire. Si avvicinò al Diario e scrisse la sua frase. Aveva una grafia storta e incerta, da bambino.
"E scusa se c'è qualche errore ma non sono mai davero andato a scuola."
Abbozzò uno dei suoi rari sorrisi, era più un ghigno che un sorriso ma, dificilmente mi crederete, i suoi sorrisi erano rassicuranti.
Era infreddolito, lo si vedeva bene, nonostane il suo piccolo corpo abituato a ogni intemperia. Preparai un tè, per me e per lui, e mi accostai per ascoltarlo. Si trattava di una delle rare occasioni in cui era propenso a parlare, di sè voglio dire.
Marino era un uomo senza amici, credo di essere stato l'unica persona che più si avvicinava a quel ruolo, nella sua vita. Dico uomo anche se non credo arrivasse alla trentina, lui era uno di quelli che la giovineza non sapeva come fosse fatta, nè ove si nascondesse.
Di questo strano personaggio sapevo ben poco, almeno della sua vita passata.
Viveva solo, in una delle case più vecchie di Laguna, quelle al limitare sud, tutte in legno, avete presente? Non vi sono mai andato ma là si assomigliano tutte, le poche rimaste in piedi, piccole, umide e scalcinate. Credo fosse orfano da molti anni, perchè mai ho visto i genitori, tantomeno sentiti rammentare. Suo padre, questo sì, era un pescatore, aveva trasmesso al figlio l'amore per il mare e per le sue leggende.
Marino non pescava, come faceva la maggior parte, da molti anni, sui grandi pescherecci ormeggiati al porto; no, lui ogni mattina partiva con Noce, la piccola barca a remi paterna, e buttava la sua ancora solitaria.
Ignoro anche come e a chi vendesse i pesci pescati, però, ogni sera, lasciava il suo piccolo gioellino vicino al mio bar, come pochi altri facevano, e rimaneva, se il tempo lo consentiva, ad annusare il suo mare.
Tornava a casa poche ore, uno degli uomini che dormiva meno di me; in quella casa che mi immagino odorosa di muffa, e, prima dell'alba, era già a largo, lui e la sua misera canna. Spero non avesse dato un nome anche a questa.
A nessuno sarebbe mai passato per la mente di rubare il suo vecchio gioiellino, ridotto a una bagnarola.
"Noce non ce la fa più."
Era affranto, come se parlasse di una persona, non di una barchetta da due soldi.
"Ogni pochi giorni devo riparare qualche falla, il legno è provato. Ho anche tentato di portarla da Gabriele, quello dell'officina navale."
Lungo silenzio. Attesi. Con Marino non si deve chiedere, si ammutolirebbe di colpo.
"Gabriele ha parlato molto della moglie, che è di nuovo incinta, e mi ha consigliato, dopo ciance vane, di cambiarla."
Altro silenzio. Mi diede il tempo per un rapido conto mentale. Ancora incinta? Deve essere il quarto o il quinto, ormai. E solo pochi anni più di me.
"Lui non sa che mio padre mi insegnò a pescare da sopra Noce, la cambierò quando cadrà a picco."
Per lungo tempo si dedicò al suo tè, ormai freddo, poi cambiò, d'un tratto, argomento.
"Hai visto il tempo di oggi? È un vento strano, un vento che si alza molto raramente."
Aveva ragione, io non sono mai stato uomo di mare, e di venti ne so poco, ma per quel poco qui abbiamo di solito caldi venti da est o sudest, proprio al massimo quelli umidi da suovest. Quello soffiava da norest, non ricordavo un vento simile; non importava molto, credo di avervi già spiegato come è la mia memoria.
"È il vento dell'ira del Re del Mare, soffierà per tre giorni poi svanirà nel nulla, di colpo."
Mi narrò la leggenda.
Il Re del Mare è ghiotto di pesci e ha i suoi allevamenti personali, nel fondo degli abissi. Sono pesci magici, più buoni di tutti gli altri e con lische che spariscono da sole con la cottura, sono sani e forti. Uno di quelli può sfamare una famiglia una settimana. Sono la più grande prelibatezza esistente, ma nessun pescatore desiderebbe mai tirarne su uno.
Talvolta, un pesce magico sfugge all'allevamento del Re e finisce nella rete di uno sventurato. Il poverino si dibatterà nel letto per tre giorni, in preda ad atroci dolori, mentre il Re soffierà la sua collera infinita, da nordovest, facendosi sentire da tutto il paese dello sventurato. Dopo tre giorni, in cui nessun pescatore avrà preso niente, la sua ira si placherà all'improvviso, il pescatore sventurato potrà rimettersi in piedi, senza patire le pene più tremende, il vento calerà all'istante e la pesca riprenderà.
Questa mattina qualcuno di noi ha avuto una pesca infruttuosa, non vorrei mai essere nei suoi panni.
Il vecchio Marino sapeva raccontare leggende, eccome. Tutta la goffaggine spariva all'istante ed era capace di farti sognare. E, in più, ne era il massimo conoscitore in paese, io rimango segretamente convinto che Marino cerdesse realmente all'esistenza del Re del Mare. Molti Laguni venivano a cercarlo per le sue storie, lui ne era orgoglioso.
Una sera mi disse che era bello consolare le persone con le storie. Aveva questo strano istinto qui, anche se non capiva gli altri uomini, non riusciva a penetrare i loro sentimenti, ma sapeva che le sue leggende avevano un potere lenitivo, o forse la sua voce, e gli piaceva narrarle.
"Le leggende me le narrava mio padre. Volevo bene a mio padre."
Ed era il volevo bene più infantile e dolce che avevo mai sentito.

martedì 30 ottobre 2012

Durante il recupero della concordia... | noelife.it

Durante il recupero della concordia... | noelife.it
Ritrovamento cozze giganti durante il recupero della concordia

Madrid e le sue pecore | noelife.it

Madrid e le sue pecore | noelife.it
Il centro di Madrid invaso da pecore per una storica manifestazione.

Uomini soli

CHI È SERGIO?
Già, chi è in realtà quell'uomo piccoletto, così silenzioso che, nessuno, conosce davvero bene?
Sergio, gentile e riservato, sempre in ordine, sempre con la stessa espressione stampata sul volto.
Sergio è un cassiere della banca, via Rosmini angolo via Volta, sì proprio quella, davanti al fioraio.
Si mi dica, di cosa ha bisogno signora? Per questo si deve rivolgere al mio collega. Posso avere il numero del conto? Come desidera.
Poi, ogni sera, compra una rosa rossa e la porta a casa. Arriva a piedi, sono solo dieci minuti di cammino, vie anonime, sempre gli stessi passanti, con le stesse stanche facce, incontra.
Sergio abita in un bilocale, al terzo piano di un palazzo della periferia, vista sul cortile in cemento da un piccolo balconcino. Sale le scale, non prende mai l'ascensore, apre la porta, serratura di sotto due mandate, serratura di sopra quattro, lascia la rosa da qualche parte. La mattina successiva la butta. Sempre. Non so il perché.
Sergio vive solo, non ha moglie né altre donne nella sua vita. Nessuno che si ricordi di averlo visto in dolce compagnia. Ormai va per i quaranta.
Non ha animali in casa, neppure un pesciolino rosso, e non ama le piante. Nel suo balcone tiene solo la biancheria ad asciugare, nient'altro. Abiti, grigi come lui.
Anche il piccolo appartamento è grigio, anonimo, dozzinale.
Sergio, il lunedì sera, ogni lunedì sera, gioca a calcetto con vecchi compagni. Dalle nove alle dieci, dopo, subito a casa, non rimane mai fuori, nemmeno a primavera, quando l'aria è invitante. Si ode per un poco lo scrosciare della doccia, poi, la luce si spegne fino al primo mattino.
Sergio, il martedì sera, ogni martedì sera, guarda la tv, trasmettono una vecchia serie poliziesca che gli concilia il sonno. Ogni anno esce quella successiva, le storie si ripetono, sempre uguali, sta per iniziare la dodicesima, mi sono informato ieri. Sergio registra tutte le puntate, su vecchie VHS; in attesa della serie successiva, le riguarda. Sempre di martedì. Alle 22:30 la serie finisce, che sia in diretta o registrata, e dopo poco la luce si spegne, fino al mattino.
Sergio, il mercoledì sera, ogni mercoledì sera, va al cinema, c'è lo sconto convenzionato con la banca; è insieme ad un collega, solo come lui. Se preferiscono film differenti, guardano film differenti. Sergio giallo, il collega commedia d'amore; Sergio azione, il collega dramma sentimentale; Sergio horror, il collega animazione. Comprano insieme i popcorn, prima dello spettacolo, e si aspettano, dopo, per augurarsi la buonanotte. Il mercoledì sera è facile che ritardi un poco, rispetto al solito.
Sergio, il giovedì sera, ogni giovedì sera, approfitta della piscina comunale, quella in fondo all'isolato, che fa apertura serale chiudendo più tardi, 22:30 per la precisione, e va a nuotare. 22:00, tutti fuori dall'acqua, poi mezz'ora per cambiarsi. Entro le undici ha già spento la luce del suo appartamento.
Sergio, il venerdì sera, ogni venerdì sera, botta di vita, va a cena fuori. Ospite fisso del collega depresso, vedovo da una vita, solo pure lui. Da quelle serate scappa presto, con la scusa della stanchezza, accumulata in settimana. E, più o meno alla stessa ora, sta dormendo.
Sergio, di sabato, poiché è un brav'uomo, si occupa della casetta. Si concede solo qualche ora di sonno in più, poi riassetta e pulisce, fa il bucato e stira quello della settimana precedente, scende al supermercato e torna con lo stretto indispensabile per i sette giorni successivi. Nel pomeriggio, il barbiere. Per la sera ordina una pizza.
Sergio, la domenica, si alza di buon ora e va in stazione. Circa un paio d'ore con un regionale vecchio e sporco, immerso in un paesaggio di cartongesso, sempre uguale, sempre grigio. Arriva in un paesino, sperduto nel nulla, avente nome Zibbo. Nel cartello della stazione è orsì ZIB O.
Di domenica, Sergio, pranza dalla madre. Lasagne troppo secche, arrosto troppo crudo, e patate al forno troppo bruciate. Poi tiramisù troppo carico e caffè troppo sciapo. Verso metà pomeriggio la saluta e torna a casa, ormai il week end è finito.
Domani Sergio ricomincerà con il suo lunedì. Il suo solito lunedì, sempre grigio, sempre uguale.
Sergio è un uomo metodico, la vita sembra capire, mai gli offre imprevisti, mai niente sconvolge i suoi ritmi. Sergio, oltre a essere molto metodico è anche molto solo.
Combatte il senso di vuoto con la sua metodicità, vanamente.

CHI E' ADRIANA?
Dire Adriana è dire vita. Adriana, se abiti in zona, la conosci di sicuro. È quella ragazza sudamericana, bellissima, che gira per le vie, sempre sorridente. Più che altro conoscerai la sua risata, così fresca e cristallina.
Adriana abita nello stesso palazzo di Sergio, all'ultimo piano; puoi sempre sapere se è casa, basta tendere l'orecchio aspettando che quella risata si rifranga sulle scale.
Adriana, che il suo nome di battesimo lo cela a tutti, è arrivata in città dal Portorico da pochi anni, totalmente sola e spaesata, adesso insegna balli caraibici in un paio di scuole e vive con il fidanzato, portoricano anche lui. L'uomo, invece, dubito che tu lo conosca, non c'è mai, viaggia spesso per lavoro, quale sia il lavoro non si sa. Dopo molte settimane di assenza, torna per qualche giorno, sono i soli pochi giorni che i vicini la vedono triste, la sentono litigare. Lei vorrebbe non farlo partire più, trattenerlo, cambia lavoro, rimani con me, litigano sempre, poi, all'improvviso, lui sparisce di nuovo, per tornare chissà quando.
Adriana la mattina si alza tardi e, con il caffè in mano, esce sul suo balcone, più grande di quello dei piani inferiori, e stira i suoi muscoli. Ha già acceso la musica, da dentro, nell'appartamento. Per venti minuti buoni rimane così, una gamba al suolo, l'altra appoggiata alla ringhiera, tendendola al massimo. Poi inverte. Ha belle gambe Adriana, da ballerina. Chi la vede non si gira, anzi. Lei non si offende, ride, ti saluta. Buon giorno signor Rossi. Ni hao, Mr Hung.
Poi inzia a danzare, da sola, con un cavaliere immaginario.
Al ritorno dai suoi corsi lava i lunghi capelli setosi, nei mesi più caldi li asciuga al balcone, la testa totalmente piegata in avanti, canticchiando, totalmente assorta. Il profumo di muschio che emanano si spande in tutto il cortile. È un'ora in cui il palazzo è pieno, molti uomini affacciati l'ammirano pettinarsi. Sergio non vi ha mai fatto caso.
Di sera, Adriana esce sempre, solo pochi sono svegli, quando i suoi passi leggeri salgono veloci tutte le scale fino all'ultima rampa, con la chiara luce dell'alba. Nemmeno lei usa l'ascensore, deve tenersi in forma.
Ogni tanto esce con altre ragazze come lei, compagne, non amiche, vanno a ballare in qualche locale del centro. Ogni tanto esce sola, va a esibirsi, ballando, in qualche locale di periferia, per arrotondare. Non importa dove sia stata, Adriana non torna mai a casa sola. Con lei un uomo, sempre diverso, sempre che si trattiene poco, se ne va quando ancora sono pochi quelli svegli, che lo possono vedere.
Anche Adriana è una persona sola, molto sola, lontano dalla sua casa e dal suo uomo.
Con la danza e il piacere a pagamento combatte il senso di vuoto, ma anche la sua è una lotta vana.

CHI È MARIA?
Oppure, per essere cortesi, anche se lei chiede il tu, la Signora Maria?
Maria che gira onnipresente per i corridoi? È mastodontica e senza età, non potete non averla vista. Anche lei, non vi stupirete più, abita lo stesso palazzo degli altri, nello stesso grigio quartiere, della stessa grigia città, dimenticata dal mondo. E anche lei usa le scale non l'ascensore, ha paura, di questi congegni moderni.
Lei vive in un appartamento al primo piano; senza piccolo balcone i piani più bassi, mi dispiace. Insieme a Rocky, il suo vecchio barboncino grigio. Cioè, un tempo era bianco il cane, ma poi, sarà il posto, sarà l'età, è diventato così anche lui. Prima, la signora lo portava a spasso fuori, a ogni ora, per combattere la noia; adesso, anche il cane si è stancato, inizia a ringhiare se tenta di farlo scendere una volta di troppo. E, in casa, non è molto di compagnia.
Maria dorme poco e all'alba è in piedi, lei, Adriana rientrare, la vede sempre; una sistematina alla casa e una al cane, almeno UNA passeggiatina di mattina e UNA di sera sì però, non fare troppe storie, guarda le notizie, guarda il meteo, compra il pane e il latte, e poi?
E poi inizia la noia.
Ecco perché la trovi costantemente in giro per i corridoi alla ricerca del burro. Ma quale burro e burro, chi ci crede più, ormai? Qualche pensionato o qualche casalinga ci deve essere per forza. In fondo il pettegolezzo è sano, in piccole dosi; sa già tutto di tutti e il gioco dura poco. Nel suo giro ha trovato la signora Rosa, che non sta molto bene, su via non faccia complimenti, le faccio io la spesa. Devo passare anche in farmacia? Altri minuti che scorrono. Anche il signor Anselmo è influenzato. Non le serve niente? Ne è proprio sicuro? Vabbè, vorrà dire che almeno mi lasci cucinare per lei, altrimenti come avrebbe fatto? È inutile per il povero Anselmo spiegare che il suo è solo un raffreddore molto forte e che la figlia gli ha lasciato l'insalata di riso in frigo, Maria è già partita verso i suoi fornelli. Già che c'è, farà anche i biscotti per quel figliolo che abita al secondo piano, sembra così denutrito, piccinino. Che, Rocky, secondo te il portiere la gradirà una bella crostata? Ormai sono qui. Infornata dopo infornata giunge il pomeriggio. Va alla scuola, a prendere il nipote della sua vicina, che ha sempre qualcosa da fare. E altro tempo passa. Poi, la funzione del pomeriggio; non è così religiosa, ma non ne perde una. Occupa il tempo sentendosi migliore. Alla fine si ferma, per parlare con il parroco, in sacrestia. Padre, c'è qualcosa di cui avete bisogno? Qualcosa che posso fare per rendermi utile? Grazie, Maria, non ti preoccupare, fai già tantissimo, lo sai che alla minima cosa te lo faccio sapere, non ho niente di nuovo. La donna torna a casa, intristita. E sfoga il suo malumore su Rocky, con la seconda passeggiata della giornata.
Tornata a casa beve un tè con i biscotti. Quelli che voleva portare al ragazzo e si è scordata. Porterà la crostata a lui, allora.
Poi sferruzza, nel via vai del rientro serale. Intanto il profumo di muschio si spande nel cortile. Sta facendo sciarpe colorate, su sciarpe colorate; appena arriverà il freddo inizierà a regalarle in giro.
Finalmente, con il buio, si sdraia nel suo vecchio letto.
La signora Maria non si ricorda da quanti anni conduce quella vita, immersa nella noia e nella solitudine.
Con la scusa di aiutare il prossimo combatte il suo vuoto, vanamente.

CHI È PINO?
E qui ci divertiamo, ve lo prometto; Pino è il Portiere, che tutto vede e che di tutti sa; Pino sono io.
Questo palazzo, sapete, è un alveare, che pullula. Tanti piccoli appartamenti, tante celle che puzzano di solitudine e grigiore. Anche le vite, quelle che sembrano più belle, da qui, dal mio posto, appaiono nella loro grettezza, nella loro mediocrità, le crepe rivestite di stucco non si possono nascondere, agli occhi di un portiere.
Io vi vedo la mattina scendere in strada, con gli occhi ancora gravidi di sonno, io vi vedo ritornare a sera, con, nella pelle, sudore stanco e stressato, io sento i vostri discorsi, ascolto le vostre litigate, conosco i vostri segreti, le vostre confessioni, la vostra spazzatura la divido io, io raccolgo le cose che vi cadono dalla finestra, io smisto la vostra posta, agli occhi di un portiere nulla sfugge.
Io non ho una vita, non ho più una vita, o, meglio, questa è la mia ultima vita, in cui ho deciso di non vivere; molto tempo mi rimane, per spiare le vostre. È solo un modo per non addormentarmi, qui, seduto nella guardiola stretta, con la testa appoggiata al tavolino sgangherato.
Buona sera signora Anna, come sta?
Credete sia divertente? Che mi interessi davvero sapere dell'ulcera del suo persiano?
Anche io sono molto solo, sapete? È una solitudine più infinita di tutte le vostre. Ci ho messo molto a trovarla, la più sperduta, la più anonima, la più uniforme. La più sicura, l'unica sicura, credo. Chi lo guarda mai, realmente, in faccia, il portiere? Quello là dietro al vetro, nello sgabuzzino? Avete troppo da fare, voi, e fate bene, a ignorarci; chi siamo noi, portieri? Per il resto devo aspettare, e chissà se verrà mai il giorno. O meglio, la notte.
Non ci state capendo niente, vero? Avete ragione. Infatti, come sempre, ho sbagliato. Nemmeno un inizio so fare. Parto dalla fine, poveri voi. Perché oggi ho capito di avere un'altra possibilità, di non addormentarmi, intendo. E forse qualcuno di voi, potrà avere anche beneficio dalla mia storia. Ritroverete fatti, parole, momenti e persone delle vostra e capirete alcuni perchè. Forse.
Ho deciso di raccontare la mia storia, qui dietro, con il tavolino che balla, scrivo e scrivo; la signora Anna passa col persiano tra le braccia, nemmeno si accorge, che non l'ho salutata.
Venite con me?
Se venite, io mi impegno a non ingarbugliarmi troppo, ma se sbaglio fermatemi, mi raccomando.

lunedì 29 ottobre 2012

Il caffè

Dopo aver nascosto tutto sotto il letto, apre la porta, la casa è piccola, ma l'uomo è anziano, gesti precisi da orefice, molto lenti. Al di là una donna, come lui anziana, attende, dubitando che sia in casa. Il sorriso ricambiato, genuino quello di lei, cortese di lui, che di lato si sposta per lasciarla entrare.
Come stai? Alzata di spalle.
L'anziano signore poco gradisce la visita della sua dirimpettaia, ma è un anziano cortese e ospitale, sui fornelli una caffettiera attende, pronta per ricevere il calore della bassa fiamma. Con eguali gesti misurati la mette a bollire, poi si accomoda.
Seduti l'uno di fronte all'altro, i due ospiti non dicono una parola, solo con le tazzine in mano scioglieranno le loro lingue.
Abbiamo il tempo di guardarci in giro.
La stanza ampia, ma spoglia, si abbraccia con un'occhiata. Una vecchia cucina sbeccata, il forno usato come dispensa, sembra decenni che sia così, intorno al tavolo quattro sedie spaiate, logoro il divano, sotto il lenzuolo che lo ricopre. Una lampada del dopoguerra troneggia incontrastata. Nell'unico mobile, che a tutto serve, poche foto sono esposte, tra i soggetti un volto di donna, bella e austera, nella stanza si respira la sua mancanza. Le stesse foto intravediamo nella camera da letto, egualmente spoglia, egualmente triste.
Ecco abbiamo finito, salvo che per una specie di magazzino, la chiave che lo chiude è nella tasca dell'uomo.
Fischia la moka sui fornelli, ed è la donna da alzarsi, pochi anni in meno e poche energie in più gli impongono questo dovere. Movimenti precisi, di chi conosce l'ambiente. Vissuti per anni vicini, solo il buongiorno era d'obbligo. Fino a pochi anni prima due anziane coppie si ignoravano felicemente; candido amore degli anni sfioriti si consumava dietro a quelle mura. Entrambi vedovi, nel giro di un mese, rimasero.
L'uomo meccanicamente il suo cucchiaino nella tazza girava, ascoltando il tintinnare nella porcellana, per una vita sua moglie gli aveva girato il caffè; la donna lentamente muoveva il suo, per una vita aveva mescolato anche quello del marito. Molto sola si sentiva, adesso, e la solitudine si sommava al dolore; anche il mio vicino si dovrà sentire così, pensava. Era il giorno in cui, per la prima volta, aveva bussato. Un vassioio di biscotti appena sfornati che poi non portò più, erano quelli che faceva al marito; a presentarsi per il caffè, continuò.
L'uomo arso dal dolore preferiva la solitudine, mai disse niente, ma neppure lei chiese. Lei non chiedeva, parlava, raccontava, esponeva, argomentava; come risposta qualche breve cenno di assenso le poteva bastare. L'uomo non l'ascoltava più, alla donna.
Le piante del suo balcone morte durante l'afosa estate lo trovarono intento a guardarsi le mani. Mani vecchie, stanche, rugose, macchie della pelle che geometrici motivi disegnavano.
Passava ad osservare il viso della defunta moglie, e la donna che mai aveva avuto la patente, passava a lamentarsi del caro benzina. Quel viso da Gioconda, serio che sorride.
Dalla benzina, e se c'era un nesso lo perdevo io, arrivavano al cuciolo che la donna voleva adottare, ogni giorno un animale diverso. All'uomo cadeva lo sguardo su quel libro segreto che, male aveva nascosto sotto il divano.
Le campane della chiesa, oggi lo salvano, la donna sparisce dietro alla porta.

domenica 28 ottobre 2012

Emma

Si chiamava Emma, la donna affacciata alla finestra. Quella casa laggiù, in fondo al paese. Emma, la lattaia. Veniva chiamata così perchè tutte le mattine scarpinava fino alla casa del fattore, sul ripido pendio e, con a prestito il suo calesse, distribuiva il latte appena munto, nelle abitazioni della valle.
Emma la lattaia era giovane, ma sapeva il fatto suo. A quei tempi era necessario.
Giungevano, al di là delle sue spalle, forti rumori di martello; suo marito falegname aveva la bottega annessa alla piccola casetta. Matteo si chiamava, ma tutti lo conoscevano come l'Orbo. Non starò a spiegarvene il motivo.
Emma sparì e chiuse le imposte dietro a sè.
In quei giorni la loro era una dimora felice; Emma era una giovane donna felice, e la sua era una di quelle felicità limpide e lampanti che niente può nescondere o demolire. Il rotondo viso, arrossato dal sole e dalla vita sui monti, sempre solare, sempre ridente. Era robusta, una sana corporatura forte delle contadine giovani, con le spalle possenti e il fazzoletto sulla nuca. Irradiava una bellezza particolare, tutta sua, una bellezza di buon cuore, una bellezza gioviale, una bellezza materna. Non perderò molto tempo a dirvelo, Emma era molto amata.
Non era passato un anno dal suo matrimonio con l'Orbo, che molti bisbigliavano la sua scelta. Si vociferava che il fattore voleva portarla a nozze, era vedovo ma ancora giovane, la giovane Emma avrebbe fatto un salto nella scala sociale, ma si rivelarono solo voci, e lei accettò la proposta di Matteo. Il falegname oltre a essere molto più vechio di lei e orbo, aveva una salute cagionevole e delicato di corpuratura. In contro era un uomo onesto, gentile ed educato, per di più un gran lavoratore.
La coppia era serena, mi correggo, per quell'anno fu serena, e molto. Sebbene la guerra perdurasse da anni, loro, tra i monti, se la passavano bene.
Poi arrivò il 7 Maggio, e con esso una nuova chiamata alle armi. Anche l'Orbo dovette partire, abbandonò i suoi attrezzi, baciò la moglie e disse che sarebbe stato presto di ritorno.
Dopo poco la prima lettera, lui la lesse sicuro, poichè la risposta, nella traballante grafia da semianalfabeta non si fece attendere. Emma lo informava che era in dolce attesa. Le donne giù al lavatoio, le mani vizze e fredde, davano i consigli della loro maggiore esperienza. La pancia crebbe ed Emma scrisse ancora. Anche questa volta la risposta non tardò. La condussero dall'indovina del paese, mezza erborista e mezza pazza, che vide un maschietto nel giovane corpo.
Il parto si preannunciava imminente ed Emma scrisse ancora, la risposta tardava, lei non cedeva, può essersi persa, pensava. Partorì, con solo la levatrice del paese al suo fianco e una seconda lettera non ebbe risposta. Emma attendeva, fiduciosa, mentre tutti in paese le consigliavano di desistere; aveva un bel bambino tra le braccia, doveva essere fiduciosa. Quel bambino ero io.
Caddero le foglie e le sue illusioni le seguirono; un inverno rigido si preannunciava, sarebbe stato un duro inverno, per la giovane. Fu il buon fattore a dare una mano a mia madre, prendendola in casa come domestica.
E gli anni iniziarono a passare placidamente.

Il porto all'alba

I fumi dell'alba lentamente si dissipano verso l'alto e la mattina inizia a irradiare il suo chiarore sulla città. Questa città che apre un occhio e si stira, ma credetemi, fa finta, questa è una città che non dorme mai. Già, ma dove siamo?
In nessun luogo e in nessun tempo, o forse mi sbaglio, questa città è esistita e nessuno di noi lo saprà mai, sepolta sotto cumoli di scartoffie ingiallite, oppure esisterà, in un tempo che ormai non potremo vedere. Che importa? Questa nostra città da favola e da leggenda, sospesa in un tempo che fluttua, è un semplice scenario in cui la nostra storia ha origine. O meglio, mi correggo di nuovo, da cui la farò partire, dato che è, l'origine di una storia, concetto quanto mai splendidamente sfumato, a perfetta discrezione del narrante. E la nostra è una storia di uomini, e poco tange, me, voi, o loro il dove, io voglio raccontarvi il cosa successe, e questo state pur tranquilli, è assai reale.
Prima che l'alba ci abbandoni del tutto voglio farvi notare due particolari di questo scenario, in cui solo i più fantasiosi di voi avranno iniziato a vedere qualcosa. Contate tre pontili partendo dalla vostra destra e, tra le tante navi ormaggiate, ce ne è una che ha appena calato l'ancora, la bandiera che sventola è quella Verderame del Signore, la stiva è vuota, viene dall'isola dell'Oro, dove ha scaricato ingenti quantità alimentari, ma sopratutto, se la licenza è permessa, manifatturiere, stipate orrendamente all'andata; a bordo solo l'equipaggio e, nascosto nella ricca dispensa, le navi del Signore non badano a spese, un ragazzetto impaurito. Diciamo pure un nerastro ragazzetto impaurito, sia per naturale carnagione, sia per la costante esposizione al sole dell'isola dell'Oro, o, e io propenderei più per questa, sia per il sudiciume, raccolto nell'angusta tana che si era trovato nei tre giorni di navigazione, tale il tempo necessario per raggiungerla; lascio a voi la scelta. Ancora non sta credendo di essere riuscito a scappare, immagina che adesso non gli si prospetti un seguito facile.
Accanto, un'altra nave, è arrivata giusto qualche minuto prima, anch'essa con la verde bandiera issata. L'equipaggio è già sceso, solo alcuni mozzi mancano all'appello, non mi stupisco che siano finiti in mare, nel lembo percorso nei tre giorni; insieme all'equipaggio sono scese delle donne, a vederle non servono domande, vi darò solo un'informazione in più che non potreste intuire da altri particolari, ma che, ai fini della nostra storia non è secondaria; quelle donne mancano da là da circa un annetto. Alcune sono giovani e altre meno, e una, forse la più giovane in assoluto è visibilmente incinta; una bellezza che magari ci fu, adesso non si vede, solo dolore nel suo corpo, si vede da lontano che sta male, e la malattia sembra asciugarla. Barcollando cammina in disparte, la potete vedere poco lontano, eccola, sta entrando in una taverna, e possiamo scommettere che difficilmente varcherà quella soglia nuovamente.
Adesso, che l'alba ci ha davvero abbandonato, possiamo allargare la visuale.
Questa città viene detta "Il Porto", e, a pensarci è molto strano; il regno del Signore si sviluppa su di una miriade di piccole isolette e lungo tutta la costa, che insegue tale tratto di mare, ma solo questo è il porto. L'unica ipotesi, e temo proprio che sia giusta, perchè è il più malfamato. Si narra che anticamente il Regno fosse costituito solo dall'Isola dell'Oro e che la stirpe del Signori discenda semplicemente dall'allora padrone della ricca miniera. Sono però voci, non posso confermarvele, come anche sono voci che nessuno abbia mai visto i confini attuali di tale Regno. Non so dirvelo con precisione.
Se quest'aria umida vi entra nelle ossa come una lama, se quest'odore tra il pesce e il marcio vi fa rimpiangere di avere uno stomaco e se questo frastuono vi rintrona fino a farvi intontire non vi dò certo torto, nè posso dirvi che vi ci abituerete; qua, al porto resiste solo la feccia doc, o quelli davvero disperati come in ogni porto malfamato che si rispetti. Fosse stata in voga la pirateria, ai tempi della nostra storia, si sarebbe trovata bene qui; mi rincresce, il nostro porto è sprovvisto di pirati, ma, non temete, ogni altro traffico è praticato, ogni altro vizzio, se è quello che vi interessa, trova il modo di essere soddisfatto, e se siete più propensi ad affari poco puliti, prego, troverete chi fa per voi.
Al porto non giunge neppure il suono delle campane che il vecchio parroco suona puntualmente, credo che faccia dietrofront e se ne tornì in città. E cosa dire del resto della città? Tranquilla, placida, anonima, che dolcemente volta la testa per non sentire il suo olezzo malfamato? Il resto della città non mi ha mai interessato molto.